CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 giugno 2019, n. 15776
Licenziamento – Superamento del periodo di comporto – Risarcimento – Sopravvenuto difetto d’interesse del ricorrente a proseguire il processo – Cessazione della materia del contendere
Svolgimento del processo
1. La s.p.a. SIAD propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova del 17.1.2018 che, in parziale riforma della decisione della sentenza del Tribunale di Massa Carrara – confermativa della pronuncia conclusiva della fase sommaria che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a L. S. per superamento del periodo di comporto ed ordinato la reintegra dello stesso nel posto di lavoro – determinava il risarcimento del danno dovuto al lavoratore nella misura di cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2. Resiste con controricorso L. S.
Motivi della decisione
3. Va osservato che anteriormente alla pubblica udienza la ricorrente ha, in data 5.3.2018, depositato dichiarazione di rinunzia al ricorso sottoscritta dal solo difensore, notificata alla controparte.
4. La procura rilasciata dalla parte in calce al ricorso per cassazione non lo abilita espressamente e specificatamente (anche) a disporre del diritto in contesa mediante la rinunzia in oggetto.
5. Come questa Corte ha avuto modo di affermare, la legge non determina il contenuto necessario della procura, limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale (art. 82, 2° co., c.p.c.), e a stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati, mentre non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere (art. 84 c.p.c.).
6. Pure essendo stato escluso che la procura alle liti come nella specie conferita al difensore con l’utilizzo di formule ampie e generiche consenta a quest’ultimo di effettuare atti che importino disposizione del diritto in contesa, come transazione, confessione, rinunzia all’azione o all’intera pretesa azionata dall’attore nei confronti del convenuto, rinunzia agli atti del giudizio (v. Cass., Sez. Un., 14/3/2016, n. 4909; Cass., 17/12/2013, n. 28146; Cass., 5/7/1991 n. 7413; Cass., 28/10/1988, n. 5859; Cass., 7/1/1984, n. 99), è stato ritenuto che tale atto denoti peraltro la sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso, in quanto, pur se la dichiarazione di rinunzia, come nel caso di specie sprovvista dei requisiti di cui all’art. 390, 2° co., c.p.c., non è idonea a produrre l’effetto dell’estinzione del processo per avvenuta rinunzia ai sensi del combinato disposto dagli artt. 390 e 391 c.p.c., la stessa si palesa idonea a rivelare il sopravvenuto difetto d’interesse del ricorrente a proseguire il processo stesso e a determinare così la cessazione della materia del contendere (Cass. 27.7.2018 n. 19907, Cass. 23161/2013, Cass, 21.11.2012 n. 20428).
7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
8. Le spese seguono cedono a carico della SIAD.
9. Può nella specie farsi applicazione del principio, affermato da questa Corte, secondo cui, “in tema di impugnazione, il meccanismo sanzionatorio del raddoppio del contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, è applicabile solo laddove il procedimento per cassazione si concluda con integrale conferma della statuizione impugnata, ovvero con la “ordinaria” dichiarazione di inamissibilità del ricorso, non anche nell’ipotesi di declaratoria di inammissibilità sopravvenuta (cfr. Cass. 8648/2019, Cass. 3542 del 10.2.2017, Cass. 13636/2015, Cass. 12743/2016).
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
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