CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 giugno 2020, n. 11330

Tributi – Accertamento sintetico – Indici di capacità contributiva incongruenti con redditi dichiarati – Redditi del nucleo familiare – Imputazione al contribuente – Onere di prova contraria

Fatti di causa

Nella controversia traente origine dall’impugnazione da parte di V.N. di avvisi di accertamento relativi a iperf degli anni 2004, 2005, 2006 e 2007, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi, per brevità, C.T.R,), in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e rigettato l’appello incidentale proposto dal contribuente, riformava integralmente la decisione della Commissione di prima istanza che aveva parzialmente accolto, previa riunione, i ricorsi, determinando in euro 100.000, per ciascuna annualità, il reddito del contribuente.

In particolare, il Giudice di appello, rigettava le eccezioni sollevate dal contribuente sia in ordine all’erronea indicazione del soggetto passivo riguardo a un immobile, sito in Entreves, che di decadenza dal potere accertativo, con riferimento, all’anno 2004.

Nel merito, affermava che il contribuente non aveva fornito prove certe in ordine alla provvista necessaria per potere effettuare gli acquisti alla base dell’accertamento sintetico.

Per la cassazione della sentenza il contribuente ha proposto ricorso, articolato in quattro motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Il ricorrente ha, altresì, depositato memoria ex art 378 cod.proc.civ.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, articolato ai sensi dell’art.360, comma 1, n.4 cod.proc.civ., si deduce la nullità della sentenza per motivazione carente e manifestamente illogica. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la Commissione di secondo grado nell’affermare, in maniera del tutto illogica, che i redditi contestati sarebbero imputabili all’odierno ricorrente perché, secondo prassi e giurisprudenza, si deve tenere conto del nucleo familiare, non avrebbe, tra l’altro, fornito alcuna spiegazione sulle ragioni per cui alcuni beni indici, dei quali era titolare esclusivamente la madre del contribuente, erano stati a lui imputati

1.1. La censura è infondata.

La C.T.R. ha rigettato il motivo di appello, relativo alla erronea identificazione del soggetto passivo d’imposta, motivando principalmente sulla circostanza che la nuda proprietà dell’immobile di Entreves era stata acquistata dal contribuente, mentre l’affermazione secondo la quale ” prassi e giurisprudenza ritengono che l’accertamento effettuato ai sensi dell’art. 38 d.P.R. 600/73 debba tenere conto del nucleo familiare” integra ulteriore argomento motivazionale, in diritto, del quale non si apprezza l’illogicità, censurabile, in ipotesi (come effettivamente avvenuto con il secondo motivo di ricorso) sotto l’egida della violazione o falsa applicazione di legge.

2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art.360, co. 1, n.3 cod.proc.civ., la violazione o falsa applicazione dell’art.38 d.P.R. n.600/73 laddove la C.T.R., malgrado il contribuente avesse ribadito che gli indici di capacità contributiva fossero riferibili ad altro soggetto (madre convivente che aveva effettuato i due acquisti immobiliari, quelli delle autovetture e stipulato il contratto di locazione di altro immobile), aveva legittimato l’accertamento sintetico, facendo generico riferimento a prassi e giurisprudenza secondo le quali deve tenersi conto del “nucleo familiare”.

2.1. E’ incontestato, in atti, che il reddito sintetico imputato al ricorrente traeva origine dalle seguenti spese: immobile in locazione in Vigevano, acquisto di immobile in Vigevano, acquisto di immobile in Entreves, locazione di immobile in Entreves, acquisto di due autovetture. Il ricorrente ha dedotto, sin dal primo grado, che gli acquisti fossero stati effettuati esclusivamente dalla propria madre (convivente) che ne aveva approntato anche la provvista. Di contro l’Agenzia delle entrate, in controricorso, ha evidenziato che il contribuente era stato segnalato tramite la cd. lista T, a seguito dell’acquisto dell’immobile in Entreves, in comunione con la madre A.T. e che il ricorrente, nei documenti bancari prodotti all’Ufficio, aveva indicato conti correnti che avrebbero dovuto giustificare le somme contestate, intestati sia a lui che ai genitori N.R. e T.A., con la conseguenza, secondo la prospettazione difensiva dell’Agenzia delle entrate, che l’odierno ricorrente era il titolare sia dell’investimento principale che dei conti correnti bancari dai quali avrebbe dovuto evincersi la provvista con cui gli investimenti stessi erano stati effettuati.

3. Con il quarto motivo, da trattarsi unitamente al secondo siccome a questo connesso, il ricorrente deduce ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5 cod.proc.civ., l’omesso esame di fatti decisivi e, in particolare, di quelli risultanti dalle prove documentali (che vengono specificamente riportate in ricorso) che erano state offerte in giudizio al fine di provare la sussistenza della provvista necessaria agli acquisti contestati.

4 Le censure, mosse con i due mezzi, sono fondate. Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità (v., tra le altre, Cass. n. 1510 del 20/01/2017) <<in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi dell’art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973,(applicabile “ratione temporis”), è onerato della prova contraria in ordine sia alla disponibilità di detti redditi che all’entità degli stessi ed alla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere>>. In termini, questa Corte, già con l’ordinanza n. 1332 del 26/01/2016 aveva statuito che <<in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi dell’art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973,(applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento>>.

Alla luce di tali arresti giurisprudenziali, espressivi di un orientamento consolidato, ribadito anche da Cass., Sez. Sesta, n. 22025 del 21 settembre 2017, e che il Collegio condivide, è indubitabile che la nozione di “nucleo familiare”, inserita nell’art.38 su citato, assolve a una funzione di alleggerimento dell’onere della prova addossato al contribuente, il quale può giustificare la provenienza della disponibilità finanziaria per le spese contestate facendo riferimento anche al reddito dei familiari conviventi.

Nel caso, in esame, invece, tranne per l’acquisto della nuda proprietà dell’immobile sito in Entreves (come accertato nella sentenza impugnata), gli acquisti (o comunque le spese relative) dei beni indici di capacità contributiva, appaiono essere stati effettuati direttamente, siccome intestataria dei relativi contratti, dalla madre, convivente, del ricorrente.

Inoltre, la Commissione tributaria regionale, a fronte della copiosa documentazione allegata dal ricorrente al fine di dimostrare in capo alla madre la disponibilità della provvista finanziaria, ha omesso di esaminare i fatti emergenti da tale documentazione bancaria, non essendo idonea a integrare motivazione l’apodittica affermazione il contribuente non fornisce prove documentali certe relative alla provvista necessaria per potere effettuare gli acquisti.

4. E’, invece, infondato il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce, ai sensi dell’art.360, co, 1, n.3 cod.proc.civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n.600/73 laddove la C.T.R. aveva rigettato l’eccezione, ribadita con appello incidentale, di decadenza dal potere impositivo, motivandone la tempestività con la circostanza che nel caso in specie vi era omissione di presentazione della dichiarazione dei redditi con conseguente slittamento del termine di decadenza al 31 dicembre del quinto anno successivo.

4.1. E’, invero, incontestato che l’applicazione del più lungo termine per procedere all’accertamento derivi dalla circostanza, altrettanto pacifica, che il ricorrente aveva omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi e la circostanza, dallo stesso dedotta, di essere soggetto esente è rimasta affermazione oltremodo generica.

5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, rigettati il primo e il terzo motivo di ricorso, in accoglimento del secondo e del quarto, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti dei motivi accolti, con rinvio al Giudice di merito il quale provvederà al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e regolerà le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso, rigettati i restanti;

cassa, nei limiti dei motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.