CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2018, n. 18402
Tributi – IRPEF – Redditi soggetti a tassazione separata – Controllo della dichiarazione dei redditi ex art. 36-bis D.P.R. n. 600 del 1973 – Cartella di pagamento – Mancato invio avviso bonario – Nullità
Fatti di causa
1. Con cartella di pagamento ai sensi dell’art. 36 bis d.p.r. 600 del 1973 l’Agenzia delle entrate, con riferimento all’anno 2002, richiedeva ad A.V. il versamento dell’Irpef dovuta per redditi a tassazione separata, in quanto derivanti da indennità percepite per la cessazione dei rapporti di agenzia, per i quali era stato versato il solo acconto.
2. Il contribuente presentava ricorso deducendo, tra l’altro, la nullità della cartella perchè non preceduta dal previsto avviso bonario di cui all’art. 1 comma 412 della legge 311/2004.
3. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso in quanto l’Ufficio aveva provveduto allo sgravio di sanzioni ed interessi.
4. La Commissione tributaria regionale accoglieva il gravame del contribuente, evidenziando, in particolare, l’omessa motivazione della cartella, l’omessa indicazione del responsabile del procedimento, e che in caso di tassazione separata era prevista la comunicazione preventiva ai sensi dell’art. 1 comma 412 della legge 311/2004.
5. Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
6. Resisteva con controricorso il contribuente.
7. Restava intimata la Equitalia Sud s.p.a.
8. L’Agenzia delle entrate depositava memoria scritta.
9. Il contribuente depositava memoria scritta.
Ragioni della decisione
1. Anzitutto, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività, sollevata dal contribuente nel controricorso.
Infatti, l’art. 46, comma 17, l. n. 69 del 2009, che ha abbreviato in sei mesi il termine di proposizione delle impugnazioni ex art. 327 c.p.c, trova applicazione – ai sensi dell’art. 58, comma 1, della stessa legge – ai soli giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009. La riduzione del termine da un anno a sei mesi pertanto, si applica ai giudizi instaurati, non alle impugnazioni proposte, a decorrere dal 4 luglio 2009, essendo quindi ancora valido il termine annuale, qualora l’atto introduttivo del giudizio di primo grado sia anteriore a quella data, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass.Civ., 11 gennaio 2017, n. 461).
Non può convenirsi, allora, con la deduzione del controricorrente per cui l’instaurazione di un nuovo grado di giudizio determina l’applicabilità dell’art. 327 c.p.c., come novellato dalla legge 69 del 2009.
1.1. Va rigettata anche la seconda eccezione preliminare il controricorrente deduce la “violazione di legge articolo 137 c.p.c..Inesistenza della notifica del ricorso da parte dell’Agenzia delle entrate”, in quanto il ricorso per cassazione è stato notificato dalla Avvocatura dello Stato in base all’art. 55 della legge 69/2009, che consente la notifica di atti civili ai sensi della legge 21-1-1994, n. 53, quando la novella non era ancora in vigore, in base all’art. 58 della medesima legge.
Invero, l’art. 58 della legge 69 del 2009 prevede che “fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore” (4 luglio 2009).
In realtà, la possibilità per l’Avvocatura dello Stato di procedere alla notificazione degli atti processuali anche a mezzo posta ordinaria, prevista dalla 21-1-1994, n. 53 non costituisce una modificazione al codice di procedura civile, sicchè ben poteva l’Avvocatura notificare il ricorso per cassazione a mezzo posta ordinaria.
Si rileva che l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cass.Civ., Sez.Un., 20 luglio 2016, n. 14916).
Pertanto, la notificazione del controricorso da parte del contribuente ha sanato ogni eventuale vizio, per il principio del raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 comma 3 c.p.c..
1.2.Va respinta anche l’ulteriore eccezione di “tardività della notifica del ricorso da parte dell’Agenzia delle entrate”, in quanto “sulla busta sembra apposto il timbro postale con la data del 5 dicembre 2001”, primo giorno feriale successivo al termine di un anno e 46 giorni, mentre dal controllo eseguito attraverso il sistema informatico delle Poste Italiane, “la raccomandata sarebbe stata accettata” dal sistema solo il 6 dicembre 2001, quindi dopo il decorso del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.. Inoltre, sulla busta non si ravvisa la sottoscrizione del notificante prevista dall’art. 3 punto b della legge 21-1-1994, n. 53, a pena di nullità ex art. 11.
In realtà, con riguardo al difetto di sottoscrizione, come detto, la predisposizione del controricorso da parte del contribuente implica che l’atto processuale ha raggiunto il suo scopo ai sensi dell’art. 156 comma 3 c.p.c.. Il timbro postale, poi, in quanto meccanografico, prevale su quanto risulta dal sistema informatico, in cui il margine di errore è più ampio.
1.3.Con il primo motivo di ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.p.r. 600/1973, nonché dell’art. 7 comma 1 della legge 212/2000 e dell’art. 3 della legge 241 del 1990, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, in quanto la Commissione regionale ha ritenuto che la cartella non era sufficientemente motivata, in quanto atto non preceduto da altri provvedimenti, mentre trattandosi di procedimento ex art. 36 bis d.p.r. 600 del 1973, la cartella era il frutto di una mera attività di liquidazione della base imponibile indicata dal contribuente nella dichiarazione.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “Insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”, in quanto la Commissione regionale ha affermato che non si comprendeva quale fosse la somma effettivamente liquidata dalla Agenzia delle entrate, mentre la dicitura “comunicazione predisposta in data 15-5-2006” era una “mera formula di stile”.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente evidenzia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 36 bis d.p.r. 600/1973 sotto altro profilo e degli articoli 2 e 35 comma 3 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, in quanto la Commissione regionale avrebbe dovuto rideterminare l’imposta dovuta.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 412 della legge 311/2004, dell’art. 6 comma 5 della legge 212/2000 e dell’art. 36 bis del d.p.r. 600/1973, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, in quanto, non essendovi incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, al contribuente non spettava la comunicazione di cui all’art. 1 comma 412 della legge 311/2004.
5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 comma 2 della legge 212/2000, dell’art. 21 octies della legge 241/1990, dell’art. 36 comma 4 ter della legge 31/2008 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”, ricorrendo il vizio di nullità della cartella per la mancata indicazione del responsabile del procedimento solo per i ruoli consegnati a decorrere dall’1-6-2008.
6. Il quarto motivo è infondato.
6.1. Infatti, l’art. 1 comma 412 della legge 311/2004 prevede che “in esecuzione dell’articolo 6, comma 5, della legge 212/2000, l’Agenzia delle entrate comunica mediante raccomandata con avviso di ricevimento ai contribuenti l’esito dell’attività di liquidazione, effettuata ai sensi dell’art. 36 bis del d.p.r. 600 del 1973, e successive modificazioni, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata”.
Per la Suprema Corte, in tema di riscossione delle imposte, l’art. 1, comma 412, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, obbliga l’Agenzia delle Entrate, in esecuzione di quanto sancito dall’art. 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, a comunicare al contribuente l’esito dell’attività di liquidazione, effettuata ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata, sicché l’omissione di tale comunicazione determina la nullità del provvedimento di iscrizione a ruolo, indipendentemente dalla ricorrenza, o meno, di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (Cass. Civ., 20 maggio 2014, n. 11000; Cass. Civ., 22 giugno 2016, n. 12927; Cass.Civ., 23805/2016, in motivazione).
7. Tutti gli altri motivi sono inammissibili per carenza di interesse, in ragione del rigetto del quarto motivo, in quanto la cartella di pagamento è stata emessa in modo illegittimo in violazione della prevista comunicazione preventiva di cui all’art. 1 comma 412 della legge 311/2004. Infatti, la motivazione della sentenza poggia su più rationes decidendi, sicchè la conferma di una di esse, comporta il rigetto del ricorso per Cassazione.
8. Le spese del giudizio vanno poste a carico della Agenzia delle entrate e liquidate in favore dell’Avv. E.V., difensore antistataio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del resistente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 9.000,00, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15%.
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