CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2018, n. 18462
Lavoratore a domicilio – Pensione di vecchiaia – Contributi inferiori alle 52 settimane all’anno – Deroga ex art. 2, co. 3, lett. b), D.Lgs. n. 503/1992
Fatti di causa
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 788 depositata il 3.7.2012, ha respinto l’impugnazione avverso la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto il diritto della sig.ra Z. C., lavoratrice a domicilio assicurata per periodi contributivi inferiori alle 52 settimane all’anno, di percepire la pensione di vecchiaia usufruendo della deroga prevista dall’art. 2, comma 3, lett. b) del D.Lgs. n. 503 del 1992.
La Corte territoriale ha ritenuto applicabile la suddetta deroga anche ai lavoratori occupati in modo continuativo dando rilievo alla discontinuità della prestazione, accompagnata da carenza retributiva e contributiva, caratteristiche tali da assimilare la fattispecie esaminata a quella contemplata dalla citata disposizione derogatoria.
Per la cassazione della sentenza l’Inps ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, la sig.ra Z.
Ragioni della decisione
Col primo motivo di ricorso l’INPS ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2, comma 3, lett. b) del D.Lgs. n. 503 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Ha censurato la pronuncia della Corte di merito per aver disatteso il significato letterale del citato art. 2, comma 3, lett. b), estendendo la deroga al di là della fattispecie prevista relativa ai lavoratori subordinati che, fermi gli altri requisiti indicati, siano stati occupati nell’anno per un periodo inferiore a cinquantadue settimane.
Con il secondo motivo di ricorso l’INPS ha dedotto violazione degli artt. 12 e 14 disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 2, comma 3, lett. b) D.L.gs. n. 503 del 1992 e al D.P.R. n. 1403 del 1971, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Ha sostenuto come la Corte di merito avesse operato una non consentita applicazione analogica del citato art. 2, comma 3, lett. b), violando il canone del divieto di interpretazione analogica di disposizioni eccezionali che riconoscono ai lavoratori diritti di natura pensionistica.
I motivi, che si esaminano congiuntamente per la loro connessione logica, sono fondati.
L’art. 2 del D.Lgs. n. 503 del 1992 stabilisce: “1. Nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall’inizio dell’assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell’assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti. 2. In fase di prima applicazione i requisiti di cui al comma 1 sono stabiliti in base alla tabella B allegata. 3. In deroga ai commi 1 e 2: a) continuano a trovare applicazione i requisiti di assicurazione e contribuzione previsti dalla previgente normativa nei confronti dei soggetti che li abbiano maturati alla data del 31 dicembre 1992, ovvero che anteriormente a tale data siano stati ammessi alla prosecuzione volontaria di cui al D.P.R. 31 dicembre 1971 n. 1432, e successive modificazioni ed integrazioni; b) per i lavoratori subordinati che possono far valere un’anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati per almeno dieci anni per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare, è fatto salvo il requisito contributivo per il pensionamento di vecchiaia previsto dalla previgente normativa; c) nei casi di lavoratori dipendenti che hanno maturato al 31 dicembre 1992 una anzianità assicurativa e contributiva tale che, anche se incrementata dai periodi intercorrenti tra la predetta data e quella riferita all’età per il pensionamento di vecchiaia, non consentirebbe loro di conseguire i requisiti di cui ai commi 1 e 2, questi ultimi sono corrispondentemente ridotti fino al limite minimo previsto dalla previgente normativa”.
La deroga al nuovo regime previdenziale è stata introdotta, dal citato art. 3, comma 3, lett. b), a protezione di alcune categorie deboli di lavoratori subordinati che non possono far valere la contribuzione annua per l’intero anno solare per essere stati occupati per un periodo inferiore alle cinquantadue settimane.
La Corte territoriale ha ritenuto che il più favorevole regime previgente, conservato dalla norma derogatoria in esame, potesse estendersi alle lavoratrici e ai lavoratori che, a parità di altri requisiti (l’anzianità assicurativa di almeno venticinque anni), fossero stati occupati, per almeno un decennio, per l’intero anno solare, ma potessero vantare, al pari dei lavoratori non occupati per l’intero anno solare, un minor numero di contributi annui in ragione dell’orario lavorativo settimanale.
Tale opzione interpretativa è già stata respinta da questa Corte con le sentenze nn. 3044 e 10510 del 2012, che hanno affermato il seguente principio di diritto: “La deroga all’applicabilità del regime previdenziale introdotto con il D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 503, prevista, dal cit. D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 2, comma 3, lett. b), per i lavoratori, con anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati, per almeno un decennio, per periodi inferiori all’intero anno solare (“di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare”), non è suscettibile di applicazione analogica, né di interpretazione estensiva e non trova, pertanto, applicazione per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari che, a parità delle altre condizioni richieste dalla norma, possano far valere una minore contribuzione per aver lavorato, per circa un decennio, per l’intero anno solare, con orario inferiore alle ventiquattro ore settimanali. Né la disposizione si appalesa in contrasto con il canone di ragionevolezza, atteso il consolidato insegnamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità secondo cui la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali, salvo il limite della ragionevolezza, è comunque rimessa alla discrezionalità del legislatore che può sempre intervenire, con leggi peggiorative, persino su trattamenti pensionistici in corso di erogazione”.
Con sentenza n. 203 del 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera g), della legge n. 421 del 1992, e 2, comma 3, lettera b), del d.lgs. n. 503 del 1992, sollevata per contrasto con l’art. 3 Cost..
La sentenza n. 203 del 2014 ha ritenuto l’interpretazione della suddetta disposizione derogatoria adottata dalla Corte di legittimità “l’unica … costituzionalmente compatibile con il precetto dell’art. 76 della Costituzione (per il quale l’esercizio della potestà legislativa da parte del Governo deve svolgersi entro – e non oltre – l’ambito delimitato dalla delega legislativa), posto che il tenore della norma delegante è inequivoco nel riferire, testualmente, il più favorevole regime contributivo, che qui viene in rilievo, ai soggetti titolari di rapporti di lavoro a tempo determinato inferiore a 52 settimane per anno solare”.
La Corte Cost. ha sottolineato: “l’individuazione dei presupposti per il conseguimento dei trattamenti di quiescenza, al pari della determinazione della misura delle prestazioni o delle correlative variazioni, rientra, infatti, nel novero delle scelte riservate al legislatore, attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti, che tenga conto accanto alle esigenze di vita dei beneficiari anche delle concrete disponibilità finanziarie e delle esigenze di bilancio (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010, n. 30 del 2004, e ordinanza n. 256 del 2001). Tale libertà di scelta incontra pur sempre il limite della ragionevolezza …ma questo limite nella specie non è violato. La posizione dei lavoratori a tempo determinato, con rapporti che non coprono l’intero anno solare, ha innegabili connotati di peculiare debolezza, che non ricorrono identicamente nella situazione di lavoratori che – ancorché in concreto impiegati per periodi inferiori alle cinquantadue settimane dell’anno solare – siano, però, comunque assistiti da un rapporto a tempo indeterminato. L’avere il legislatore, con le disposizioni impugnate, inteso limitare la più favorevole disciplina, derogatoria al nuovo regime di riordino del sistema previdenziale, alla sola prima delle due comparate, ma non del tutto omogenee, categorie di lavoratori non presenta, quindi, alcun profilo di irragionevolezza”.
Questa Corte intende dare continuità ai precedenti finora richiamati e supportati dalla pronuncia della Corte Cost., risultando non pertinente il richiamo fatto dalla ricorrente, nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., alla sentenza Cass. n. 16677 del 2017.
Questa sentenza, in conformità ai precedenti dalla stessa richiamati, ha riconosciuto il diritto dei lavoratori con orario part-time verticale ciclico al computo, nell’anzianità contributiva utile per il diritto a pensione, anche dei periodi non lavorati, con riproporzionamento dell’ammontare dei contributi percepiti sull’intero anno a cui essi si riferiscono. Nulla è possibile inferire da tale pronuncia a favore della deroga invocata da parte resistente.
In base alle considerazioni svolte, il ricorso dell’Inps deve trovare accoglimento. La sentenza impugnata va quindi cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c., con rigetto della domanda proposta dalla ricorrente in primo grado.
Il diverso esito dei giudizi di merito e il carattere controverso della questione all’epoca di proposizione del ricorso in esame, antecedente rispetto alla pronuncia della Corte Costituzionale, giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dalla ricorrente in primo grado.
Compensa le spese dell’intero processo.
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