CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 marzo 2018, n. 5949
Cartella esattoriale – Contributi omessi – Intermediazione di manodopera vietata – Assenza di autonomia e indipendenza dell’attività svolta dalla società appaltatrice rispetto alla società appaltante – Contrasto rispetto ad un giudicato esterno
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 15.6.2012, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato sussistente in ragione di € 68.147,00 il credito vantato dall’INPS in relazione alla cartella esattoriale con cui era stato ingiunto a L.M. s.r.l. il pagamento di contributi omessi in danno di lavoratori ritenuti suoi dipendenti per violazione dell’art. 1, I. n, 1369/1960.
Contro tale statuizione ricorre L.M. s.r.l., con tre motivi. L’INPS resiste con controricorso, l’INAIL ha depositato delega in calce al ricorso notificatogli.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia violazione dell’art. 2909 c.c. per avere la Corte di merito affermato la sussistenza dell’intermediazione di manodopera nonostante che, successivamente all’udienza di discussione in appello, fosse passata in giudicato la sentenza con cui il Tribunale di Prato, decidendo in sede di rinvio da questa Corte sull’opposizione proposta dalla medesima società avverso l’ordinanza ingiunzione con cui la Direzione Territoriale del Lavoro di Pistoia le aveva irrogato sanzioni per i medesimi fatti oggetto del presente giudizio, aveva accolto l’opposizione, ritenendo nella specie insussistente l’intermediazione vietata.
Il motivo è infondato.
E’ sufficiente sul punto rilevare che, benché sia astrattamente denunciabile con ricorso per cassazione il contrasto rispetto ad un giudicato esterno intervenuto successivamente all’emanazione della sentenza impugnata, al pari di quanto avviene per il ius superveniens, stante che il controllo di legittimità non ha per oggetto solamente l’errore del giudice, ma è inteso a verificare anche la conformità della sentenza a diritto tenendo conto degli eventuali mutamenti del quadro normativo (così Cass. n. 5574 del 1999), nessuna violazione del giudicato è al riguardo configurabile, essendo rimasti l’INAIL e l’INPS estranei al processo conclusosi con la sentenza del Tribunale di Prato e non potendo l’efficacia riflessa del giudicato – intesa come affermazione oggettiva di verità – operare nei confronti di terzi estranei al processo quando essi siano titolari di un diritto autonomo, che cioè attinge la sua causa da un diverso rapporto giuridico (giurisprudenza costante fin da Cass. n. 3928 del 1968: v. da ult. Cass. n. 12252 del 2017), quale nella specie deve ritenersi il rapporto contributivo che la società ricorrente intrattiene con gli enti previdenziali rispetto alla pretesa sanzionatoria che nei suoi confronti aveva fatto valere l’autorità amministrativa.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1, I. n. 1369/1960, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza dell’intermediazione vietata nonostante che, in specie, non vi fosse prova che l’interposto difettasse di autonomia gestionale e di autonoma assunzione del rischio d’impresa.
Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
E’ infondato nella parte in cui, richiamando il dictum di Cass. n. 13785 del 2006, pretende di ravvisare una violazione di legge nel modo in cui la Corte di merito ha ricostruito la fattispecie astratta dell’interposizione vietata: valga al riguardo rilevare che la sentenza impugnata afferma correttamente che, all’uopo, occorre aver riguardo all’assenza di autonomia ed indipendenza dell’attività svolta dalla società appaltatrice rispetto alla società appaltante, che è precisamente ciò che è dato leggere nel precedente di legittimità dianzi richiamato, a sua volta conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.
E’ invece inammissibile nella parte in cui pretende di rimettere in discussione l’accertamento di merito compiuto dalla Corte territoriale, assumendo che essa avrebbe fatto malgoverno delle risultanze istruttorie: costituisce infatti orientamento consolidato di questa Corte il principio secondo cui in tanto si può censurare una sentenza di merito di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. (nel testo risultante dalla modifica apportata dall’art. 2, d.lgs. n. 40/2006, e anteriore alla novella di cui all’art. 54, d.l. n. 83/2012, conv. con I. n. 134/2012, cit.) in quanto il fatto su cui la motivazione è stata omessa o è stata resa in modo insufficiente o contraddittorio sia autonomamente decisivo, ossia potenzialmente tale da portare la controversia ad una soluzione diversa, l’indagine di questa Corte dovendo spingersi fino a stabilire se in concreto sussista codesta sua efficacia potenziale (cfr. da ult. Cass. n. 7916 del 2017), e poiché, nella specie, parte ricorrente non ha addotto alcun fatto la cui considerazione da parte dei giudici di merito avrebbe di per sé condotto ad un diverso e a sé favorevole giudizio, limitandosi a dolersi delle conseguenze tratte dalla Corte di merito dalle risultanze istruttorie, non può sul punto non ribadirsi che, anche prima della modifica apportata all’art. 360 n. 5 c.p.c. dall’art. 54, d.l. n. 83/2012, cit., la censura di vizio di motivazione non può essere volta a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, né per suo tramite si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento (cfr. ancora Cass. n. 7916 del 2017, cit.).
Con il terzo motivo, la ricorrente si duole di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per avere la Corte territoriale affermato che i conteggi depositati dall’INPS e volti alla quantificazione dell’obbligazione contributiva non fossero stati contestati.
Il motivo è infondato. L’art. 416 c.p.c.impone al convenuto di «prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione», in ordine ai fatti affermati dall’attore, il che, con specifico riguardo ai conteggi eventualmente prodotti da quest’ultimo circa l’ammontare del proprio credito, implica che non sia all’uopo sufficiente un mero dissenso (Cass. n. 25588 del 2010), ma occorra una critica precisa e puntuale che individui il vizio da cui il conteggio in considerazione sarebbe affetto e si offra contestualmente di provarne il fondamento (Cass. nn. 11667 del 2010, 6202 del 2004), dovendo ritenersi che la contestazione sia tamquam non esset qualora non involga specifiche circostanze di fatto suscettibili di dimostrare la non congruità e la non rispondenza al vero dei conteggi medesimi, le quali devono risultare dagli atti o essere successivamente provate (Cass. n. 83 del 2003). E poiché tanto non è dato rinvenire nelle censure che parte ricorrente ha mosso ai conteggi, sia nel corso delle udienze istruttorie che in sede di costituzione in appello (per come trascritte nel ricorso per cassazione), correttamente la Corte di merito ha ritenuto che le loro risultanze si fossero consolidate nell’importo indicato dall’INPS.
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Tenuto conto della difformità degli esiti in fatto del presente giudizio rispetto a quello conclusosi con la pronuncia passata in giudicato, si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
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