CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 marzo 2018, n. 5962
Pensione di inabilità – Requisito reddituale – Reddito imponibile ai fini Irpef, al netto degli oneri deducibili – Sussiste
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado, che ha riconosciuto all’attuale intimata la pensione di inabilità ritenendo sussistente il requisito reddituale, per l’accesso alla prestazione, sul presupposto che lo stesso dovesse essere apprezzato con riferimento al reddito imponibile agli effetti dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, al netto degli oneri deducibili.
2. La Corte territoriale, nel respingere il gravame dell’Inps, ha richiamato il precedente di questa Corte, sentenza n. 11122 del 1996, in relazione al limite di reddito previsto ai fini del diritto alla pensione spettante ai ciechi civili, ed ha condannato l’appellante alle spese del grado.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre l’INPS, con due motivi, cui resiste con controricorso, S.P..
4. Il Ministero dell’economia e delle finanze si è costituito al mero fine di partecipare alla discussione orale.
Ragioni della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la parte ricorrente assume che la Corte di merito non avrebbe minimamente spiegato le ragioni per le quali aveva applicato i principi affermati dalla Cassazione, nella sentenza n. 11122 del 1996, secondo cui: «In relazione al limite di reddito previsto, ai fini del diritto alla pensione spettante ai ciechi civili, dall’art. 14-septies, comma quarto, del D.L. 30 dicembre 1979 n. 663, introdotto dalla legge di conversione 29 febbraio 1980 n. 33, va preso in considerazione il reddito imponibile agli effetti dell’imposta sul reddito delle persone fisiche al netto degli oneri deducibili e specificamente degli interessi passivi di un mutuo, in considerazione sia dell’elemento letterale del riferimento da parte della legge ad importi “calcolati agli effetti dell’I.R.P.E.F.”, sia dell’elemento logico consistente nel rilievo, da un lato, che, se il legislatore ha permesso tale detrazione, è perché riconosce che la contrazione di un mutuo soddisfa bisogni elementari propri della generalità dei cittadini, e, dall’altro, che non è ipotizzabile che il Ministero dell’Interno debba ogni volta disaggregare i dati rilevanti ai fini fiscali per verificare l’ammissibilità o meno delle singole detrazioni, ai fini pensionistici in questione».
6. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 14 – septies del d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge 29 febbraio 1980 n. 33 e dell’art. 2 d.m. 31 ottobre 1992 n. 553 in relazione all’art. 12 della L. 30 marzo 1971, n. 118, si assume che, in base alla richiamata normativa e, segnatamente, secondo la previsione del d.m. n. 553 del 1992, i redditi da prendere in considerazione per la determinazione del reddito rilevante ai fini previdenziali ed assistenziali sono, da un lato, i redditi assoggettabili ad IRPEF, dall’altro anche quelli esenti da detta imposta, i quali comunque vanno indicati comprensivi, e cioè al lordo, degli oneri deducibili e delle ritenute fiscali.
7. I motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono manifestamente infondati.
8. La questione in scrutinio è se il reddito cui occorre fare riferimento per la pensione di inabilità sia quello imponibile e cioè, secondo la formulazione del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 3 (T.U.I.R.), la base imponibile da assoggettare a tassazione ai fini Irpef, costituita dal reddito complessivo del contribuente al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 del T.U.I.R. (quali tra gli altri le spese mediche, gli assegni periodici corrisposti al coniuge legalmente separato, i contributi assistenziali e previdenziali), ovvero il reddito lordo, comprensivo di tali oneri.
9. Il Collegio, condividendo la soluzione già adottata da questa Corte, con la sentenza 22 marzo 2001, n. 4158, confermata in anni più recenti (v. Cass., 4 giugno 2015, n. 11582; Cass. 25 ottobre 2016, n. 21529; Cass. 21 dicembre 2016, n. 26473), e superando, definitivamente, la contraria soluzione risalente a Cass. 16 marzo 2012, n. 4223, ribadisce che per la determinazione del requisito reddituale per le prestazioni assistenziali dell’assegno di invalidità e della pensione di inabilità, di cui agli artt. 12 e 13 della legge n. 118 del 1971, ciò che rileva è il reddito imponibile agli effetti dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 del T.U.I.R.
10. L’art. 14-septies del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, al comma 3 prevede che il reddito da considerare in tema di provvidenze in tema di invalidità civile è quello calcolato agli effetti dell’IRPEF.
11. Il comma 7, aggiunto dal decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, ha previsto poi che «Il limite di reddito per il diritto alla pensione di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili, di cui all’articolo 12 della L. 30 marzo 1971, n. 118, è calcolato con riferimento al reddito agli effetti dell’IRPEF, con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte».
12. L’art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, sulla revisione degli ordinamenti pensionistici, cui rimanda l’art. 12, comma 2 della legge n. 118 del 1971, fa poi riferimento al reddito assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone fisiche, con esclusione degli assegni familiari e del reddito della casa di abitazione.
13. In favore di tale conclusione milita l’osservazione che nell’ambito del sistema previdenziale ed assistenziale, è il legislatore che, nelle diverse fattispecie, individua quale debba essere il reddito rilevante al fine del diritto ad una determinata prestazione.
14. In tale sistema, è infatti lo stesso legislatore che nell’ art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, sopra richiamato, ha escluso dal reddito computabile gli assegni familiari e il reddito della casa di abitazione.
15. La stessa funzione cui assolve il sistema assistenziale, di sostegno a fronte di una situazione di bisogno, impone, ove non sia previsto diversamente, di fare riferimento al reddito di cui l’assistibile abbia effettiva disponibilità.
16. Nei suddetti benefici assumono rilievo (come già ribadito da Cass., Sez.U., 15 giugno 2005, n. 12796) il grado di bisogno della persona protetta, garantito dall’art. 38 Cost., e la sua capacità contributiva, valevole in generale ai sensi dell’art. 53 Cost.
17. Inoltre, quando il legislatore ha inteso includere nel computo del reddito per una prestazione assistenziale anche il reddito esente da imposta, lo ha fatto espressamente (come è avvenuto nel caso della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 6, che, quanto ai limiti di reddito previsti per l’assegno sociale, ha previsto che: «Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell’imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile») (così Cass. n. 11582 del 2015 cit.).
18. Che il d.m. 31 ottobre 1992, n. 553, emanato in virtù della delega contenuta nella legge 29 dicembre 1990, n. 407, abbia stabilito all’art. 2 che «nella, dichiarazione di cui all’art. 1 debbono essere denunciati, al lordo degli oneri deducibili e delle ritenute fiscali, i redditi di qualsiasi natura, assoggettabili all’I.R.P.E.F. o esenti da detta imposta» non induce a diversa conclusione, atteso che la predetta disposizione regolamentare individua esclusivamente gli oneri formali che il richiedente la prestazione deve assolvere, e non riveste alcun carattere interpretativo in ordine alla portata del requisito reddituale (v. Cass. 5 settembre 2013, n. 20387; Cass. 13 agosto 2012, n. 14456; Cass. 5 aprile 2012, n. 5479).
19. Né il riferimento ai «redditi assoggettabili» all’Irpef, piuttosto che ai «redditi assoggettati», assume il significato di includere la parte che afferisce agli oneri deducibili, considerato che il primo inciso ha riguardo alla natura qualitativa (assoggettabile o meno ad imposta) del cespite patrimoniale e non già al suo ammontare (al netto o al loro degli oneri deducibili).
20. In conclusione, l’impugnata sentenza ha applicato correttamente i riportati principi e con una motivazione sintetica ma esauriente ha ritenuto che il reddito della Strologo, al netto delle detrazioni, non superasse il limite previsto dalla legge per poter accedere alla prestazione richiesta.
21. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo in favore della parte costituita, seguono la soccombenza; nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi nei confronti della parte che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.
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