CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 marzo 2019, n. 7059
Rapporto di lavoro – Contratti a termine – Nullità – Natura fraudolenta della loro successione – Accertamento
Fatti di causa
Con sentenza in data 20 novembre 2014, la Corte d’appello di Milano rigettava il ricorso proposto da A.D.S., così parzialmente riformando, limitatamente alla pronuncia di improcedibilità nei confronti di A.L.A.I. s.p.a. in amministrazione straordinaria (dal 29 agosto 2008 con dichiarazione del suo stato d’insolvenza del 5 settembre 2008), la sentenza di primo grado, che oltre a ciò aveva (in tali pronunce confermata) rigettato nel merito nei confronti di (…) (C.A.I.) s.p.a. le domande di accertamento: a) di nullità dei termini apposti ai quattordici contratti a tempo determinato conclusi con la prima società, anteriori alla conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con comunicazione del 2 luglio 2007 (e riconoscimento di un’anzianità convenzionale dal 1° febbraio 2007); b) della natura fraudolenta della loro successione; c) di nullità di eventuali clausole novative; d) dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la prima società dal 20 agosto 1999; e) di maturazione di un’anzianità di servizio dalla stessa data alla cessazione del rapporto di lavoro con la società ora in a.s. e del diritto al riconoscimento da C.A.I. s.p.a. di un trattamento pari ad essa.
A motivo della decisione, la Corte territoriale ravvisava la cognizione del giudice del lavoro, per la natura di accertamento delle domande, senza alcuna funzione strumentale all’esercizio di azioni di contenuto patrimoniale incidenti sulla par condicio creditorum.
Nel merito, essa riteneva la legittimazione passiva di C.A.I. s.p.a. in quanto destinataria della domanda della lavoratrice di riconoscimento di un maggior trattamento retributivo: tuttavia da rigettare, per l’inapplicabilità del regime stabilito dall’art. 2112 c.c. (di cui rilevava peraltro l’inammissibilità per novità, siccome prospettata soltanto in appello), a causa dell’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro con la lavoratrice, cui era stata attribuita l’anzianità convenzionale (e non effettivamente spettante) presso A.L.A.I. s.p.a., in esito all’interpretazione degli accordi sindacali a base della sua assunzione.
Avverso tale sentenza la lavoratrice, con atto notificato il 20 (25) maggio 2015, ricorreva per cassazione con due motivi, cui resistevano le società con distinti controricorsi e A.L.A.I. s.p.a. in amministrazione straordinaria con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della l. 230/1962, del d.lg. 368/2001, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato 18 marzo 1999 allegato alla Direttiva 1999/70/CE, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, violazione degli artt. 3, 117 Cost., per omesso esame della domanda principale di nullità del termine dei plurimi contratti a tempo determinato stipulati da A. L.a.i. s.p.a. con la lavoratrice (per genericità di causale giustificativa e comunque non corrispondenza ai presupposti prescritti dalla legge, sulla scorta delle ragioni argomentate) e per la sola considerazione degli accordi sindacali in virtù dei quali era avvenuta l’assunzione della predetta da C.A.I. s.p.a., nonostante il loro riferimento alla pregressa anzianità maturata presso la prima società datrice; pure in contraddizione con la ritenuta procedibilità di tale domanda (nei confronti della società in a.s.) in quanto strumentale al riconoscimento di un maggior trattamento retributivo da parte della seconda società.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 112, 414 c.p.c.ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia di omesso esame dei documenti relativi ai contratti a termine stipulati con A. L.a.i. s.p.a. e così della pronuncia sulla relativa domanda di illegittimità; contraddittorio richiamo dall’accordo del 31 ottobre 2008 all’anzianità riconosciuta presso la predetta società per la parametrazione del trattamento dovuto alla lavoratrice da C.A.I. s.p.a., con assunzione della novità del rapporto di lavoro per cui non sarebbe spettata alcuna anzianità e comunque non ulteriore rispetto a quella convenzionalmente riconosciuta; erronea affermazione di novità della prospettazione in appello basata sull’applicabilità dell’art. 2112 c.p.c. (ndr art. 2112 c.c.), in quanto citata nel dispositivo della sentenza di primo grado e così pure del CCNL applicato dalla precedente datrice, in ogni caso irrilevante per l’inapplicabilità del regime dell’art. 2112 c.c. espressamente stabilita dagli accordi sindacali, risultante da una loro non attenta lettura; e così pure di novità, infine, della domanda subordinata di cumulo dei periodi effettivamente lavorati in esecuzione dei contratti a termine, in quanto già richiamata in primo grado e riportata nella motivazione della sentenza.
3. Il primo motivo è inammissibile.
3.1. Innanzi tutto, esso non è correttamente formulato, posto che non si tratta di una violazione delle norme di legge denunciate, assolutamente inconferenti ai fini decisionali, né di vizi motivi, inconfigurabili alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), prima ancora che non pertinenti, ma della deduzione sostanziale di un’omessa pronuncia sulla domanda principale.
Ebbene, rispetto ad essa, benché non sia indispensabile l’esplicita menzione del vizio rubricato come art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., occorre tuttavia il riferimento univoco della doglianza alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, nel caso di specie assolutamente carente: dovendosi invece dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. s.u. 27 luglio 2013, n. 17931; Cass. 31 ottobre 2013, n. 24553; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862).
3.2. Ma il mezzo non censura neppure correttamente l’interpretazione della Corte territoriale (dall’ultimo capoverso di pg. 12 al primo di pg. 14 della sentenza) dell’accordo quadro del 14 settembre 2008 e della nota ad esso allegata del 29 settembre 2008, degli accordi sindacali del 31 ottobre 2008 e del 14 novembre 2008, peraltro congruamente argomentata (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 14 al primo periodo di pg. 15 della sentenza), riservata al giudice di merito, salvo il controllo in ordine alla violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale ovvero all’esistenza di vizi di motivazione (Cass. 4 maggio 2009, n. 10232; Cass. 18 aprile 2008, n. 10218; Cass. 7 settembre 2005, n. 17817; Cass. 2 marzo 2004, n. 4261).
La ricorrente non indica, infatti, i canoni ermeneutici violati né specifica le ragioni o il modo in cui sia stata realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Sicché la doglianza si traduce in una critica inammissibile alla ricostruzione della volontà negoziale così come operata dal giudice di merito (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 18 novembre 2005, n. 24461); pure trattandosi di un’interpretazione ben plausibile, neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178).
3.3. In esito ad una tale interpretazione, la Corte territoriale ha quindi ritenuto assorbito l’esame della domanda principale di nullità dei contratti a tempo determinato stipulati con A. L.a.i. s.p.a. in a.s., per le ragioni (al terzo capoverso di pg. 10, dal quarto al nono alinea e sub B a pg. 11 della sentenza), integranti rationes decidendi neppure confutate dalla ricorrente, con evidente riflesso sulla genericità del motivo, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).
4. Anche il secondo motivo è inammissibile.
4.1. Non sussiste il vizio di omessa pronuncia, che ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo di domanda, intendendosi per tale ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in una conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308). Risulta, infatti, evidente l’assorbimento, che esclude un’omessa pronuncia (Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 12 novembre 2018, n. 28995), dal percorso argomentativo decisionale di autonomia del nuovo rapporto di lavoro instaurato e del riconoscimento dell’anzianità convenzionale in precedenza attribuita.
4.2. Per le ragioni già esposte in riferimento al primo motivo, è poi insindacabile l’interpretazione giudiziale degli accordo sindacali: e, tra essi in particolare, del 31 ottobre 2008.
4.3. Infine, il motivo difetta di specificità, per omessa trascrizione degli atti di primo grado nei quali sarebbero state prospettate le questioni ritenute nuove dalla Corte territoriale (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 27 luglio 2017, n. 18679), in ogni caso costituenti soltanto una delle due autonome rationes decidendi, nella ravvisata infondatezza dell’altra nel merito (così ai p.ti sub C ed E, da pg. 11 a pg. 14 ed ancora al primo capoverso di pg. 15 della sentenza), per sopravvenuto difetto di interesse: posto che le censure relative alle ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione (Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 210; Cass. 29 marzo 2013, n. 79318; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3307).
5. Dalle superiori argomentazioni discende allora l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la lavoratrice alla rifusione, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida per ciascuna in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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