CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 marzo 2020, n. 7074
Tributi – Accise – Accertamento – Esercente un liquorificio – Irregolare tenuta dei registri di carico e scarico – Doppia fatturazione – Fatturazione fittizia
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 2604/14/17, depositata il 7 settembre 2017, non notificata, la Commissione tributaria regionale delle Puglie (CTR) ha respinto l’appello della S. Srl unipersonale (di seguito, la contribuente), in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle Dogane, in persona del direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 2816/2014 della Commissione tributaria provinciale di Bari, dichiarando a conferma di quest’ultima, legittimo l’avviso di intimazione di pagamento n. prot. 2012-5862 con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva contestato l’irregolare tenuta dei registri di carico e scarico, nonché l’acquisto, la trasformazione e la vendita di bevande alcoliche di illecita provenienza in relazione agli esercizi finanziari dal 2005 al 9/9/2009.
2. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) nel corso di un accertamento nei confronti della contribuente, esercente un liquorificio, la Guardia di Finanza, essendo emerse gravi irregolarità nella tenuta delle scritture e dei registri obbligatori ai fini delle accise, aveva esteso i controlli a tutto l’impianto contabile della società accertando un “articolato sistema di frode” teso alla movimentazione di prodotti alcolici sottratti al pagamento delle accise; b) i meccanismi fraudolenti erano attuati attraverso l’improprio utilizzo di contrassegni di Stato falsi o in carico ad altra società, l’emissione di fatture doppie, l’utilizzo di materie prime in quantità superiore rispetto a quelle risultanti dalle annotazioni contabili, la cessione di prodotti alcolici a soggetti residenti nel territorio dello Stato, ma con fatturazione fittizia nei confronti di soggetti aventi sede a San Marino.
3. Su queste premesse, la CTR, a fronte dell’eccezione dell’amministrazione di inammissibilità dell’appello per violazione del divieto di introduzione di domande nuove, esaminava nel merito le doglianze e ne riteneva l’infondatezza. Richiamato il processo verbale di constatazione (PVC) che riportava l’analitica descrizione delle attività svolte, la CTR: – riteneva sussistenti le irregolarità contestate, in precedenza elencate; – evidenziava che dai controlli incrociati nei confronti di clienti era emerso che le fatture rilasciate dalla contribuente riguardavano prodotti diversi da quelli risultanti dalla contabilità ufficiale;
– aggiungeva che nei campioni di prodotto stoccati nei depositi della società, in esito ad analisi, era risultato la presenza di alcol etilico con indice superiore a quello indicato; – concludeva, quindi, per l’esistenza di una contabilità parallela a quella ufficiale legittimante l’accertamento analitico-induttivo a carico della contribuente e la sottrazione al pagamento delle accise di litri anidri 46.221,28 di alcol etilico, illecitamente acquistato ed utilizzato per la produzione di bevande alcoliche, successivamente cedute “in nero”.
4. La contribuente ha impugnato la sentenza della CTR con tempestivo ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui l’Agenzia delle dogane resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, la contribuente deduce «Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. circa la distribuzione dell’onere della prova». Secondo la prospettazione difensiva, l’ufficio non aveva ottemperato all’onere a suo carico di provare i fatti su cui si basava la pretesa tributaria, essendosi i verbalizzanti, come anche la CTR, limitati a riprodurre il PVC della Guardia di Finanza.
Tuttavia, nei loro calcoli – riprodotti nel ricorso – i verbalizzanti avevano presuntivamente determinato il titolo alcolico e altrettanto presuntivamente il quantitativo di litri sottratti a tassazione, utilizzando presunzioni a cascata. Analoga ricostruzione induttiva era stata utilizzata per determinare i quantitativi di prodotti venduti al cliente di San Marino.
Con il secondo motivo, la contribuente deduce «Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. e carenza di motivazione in merito alla valutazione della documentazione prodotta dalla G.d.F.». Nella prospettazione difensiva, la CTR aveva condiviso gli accertamenti della guardia di finanza senza valutare le deduzioni difensive atteso che: – la documentazione extracontabile rinvenuta si riferiva, salvo un’eccezione relativa all’anno 2005, al 2009; – le irregolarità relative alle vendite in nero si attestavano su una percentuale ridotta rispetto al volume di vendite della contribuente; – era stata omessa la valutazione delle eccezioni difensive in merito alla mancanza di documentazione e alla inconferenza di parte di essa relativamente alle violazioni contestate.
2. I motivi possono essere esaminati congiuntamente perché connessi. Le censure sono inammissibili e, comunque, infondate. La CTR ha in primo luogo evidenziato come già nel giudizio di primo grado la contribuente non aveva contrastato con elementi attendibili ed obiettivi “gli specifici e motivati rilievi mossi a fondamento della pretesa e per offrire una lettura alternativa ai puntuali dati rilevati dalla Guardia di Finanza”. Pur tuttavia, aveva proceduto all’esame delle doglianze nel merito ritenendone l’infondatezza. Questa Corte ha costantemente affermato che il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, é tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente (Cass. nn. 19894/2005, 13819/2003), gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono); solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss., e art. 2697 c.c., comma 2, (Cass. nn. 3590/2009, 15395/2008, 2847/2008, 1023/2008, 1727/2007, 19920/ 2006, 5991/2006). Nel caso in esame, la CTR ha fatto corretta applicazione di questi principi ritenendo fondati gli accertamenti posti in essere dalla Guardia di Finanza, sulla cui base l’agenzia aveva emesso l’avviso di intimazione impugnato richiamando. Per giurisprudenza costante “In tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento che, richiamando il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, evidenziava che la società contribuente aveva annotato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse da altra società “cartiera”, così registrando costi indebiti)”. (Sez. 5 – , Sentenza n. 32957 del 20/12/2018, Rv. 652115 – 01). La CTR ha quindi riportato nella sentenza i plurimi elementi, sopra riportati (v. sub 2, del “fatto”), che sorreggevano il convincimento di vendite in nero, a fronte delle quali non erano state dalla contribuente introdotte valide prove, dimostranti l’infondatezza degli elementi presuntivi. Tali certamente non possono essere definite i calcoli matematici inseriti nel ricorso, privi di riscontro nella sentenza impugnata e, comunque, attinenti ad una valutazione di fatto, non consentita in questa sede, inidonea da sola a contrastare i plurimi elementi ritenuti significativi dell’evasione. Si ricorda infine che, per giurisprudenza consolidata di legittimità, la contabilità in nero, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza perché nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino in termini quantitativo o monetari, i singoli atti di impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria (Cass. Civ., 23 maggio 2018, n. 12680).
3. Pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto; le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo; sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Respinge il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
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