CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2020, n. 25630
Licenziamento – Carattere discriminatorio e ritorsivo del provvedimento – Manifesta insussistenza del fatto disciplinarmente rilevante – Giustificato motivo oggettivo – Criteri legali di selezione dei licenziandi ex L. n. 223/1991 – Infungibilità delle posizioni lavorative – Fungibilità, ravvisabile ogni qual volta il dipendente sia in grado di svolgere le stesse mansioni dei colleghi addetti a impieghi diversi
Fatti di causa
Con sentenza del 4 agosto 2016, la Corte d’Appello di Milano, confermava la decisione resa dal Tribunale di Milano e rigettava la domanda proposta da A.A. nei confronti di T.N.C. (Italy) S.r.l., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatole per ragioni indicate in via gradata stante il regime sanzionatorio via via attenuato applicabile e date dal carattere discriminatorio e ritorsivo del provvedimento, dalla manifesta insussistenza del fatto disciplinarmente rilevante, dal difetto di giustificato motivo oggettivo, dall’assenza di motivazione.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto il licenziamento qualificabile come motivato da giustificato motivo oggettivo, legittimo in ragione della sussistenza dell’invocata giustificazione stante il venir meno nell’ambito dell’organizzazione aziendale del team “analyst B.” dedicato al cliente U. ed intimato nel rispetto dell’obbligo di repechage, non incidendo in termini pregiudizievoli delle possibilità di reimpiego della A. all’interno dell’azienda le assunzioni effettuate antecedentemente al licenziamento stesso. Per la cassazione di tale decisione ricorre la A., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la Società.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 I. n. 604/1966, lamenta l’incongruità logica e giuridica del convincimento espresso dalla Corte territoriale per cui era da escludersi, dato l’anticipo di sei mesi sulla chiusura del team U., causa del licenziamento della ricorrente, con cui la Società ha proceduto a nuove assunzioni, l’incidenza pregiudizievole delle assunzioni medesime ai fini del reimpiego della A. e la contrarietà di tale comportamento al principio di buona fede e correttezza.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 I. n. 604/1966, 1175, 1375 c.c., 4, comma 9 e 5, comma 1, I. n. 223/1991, la ricorrente lamenta la non conformità a diritto della mancata applicazione dei criteri legali per la selezione dei soggetti da licenziare in conseguenza della chiusura del team/reparto, c.d. U., nell’ambito del Dipartimento c.d. B. di assegnazione della Sig.ra A.
Relativamente agli esposti motivi è a dirsi come, sancita l’infondatezza del secondo motivo, posto che la motivazione in base alla quale la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità nella specie dei criteri legali di selezione dei licenziandi di cui alla legge n. 223/1991, data dall’essere quei criteri riferibili alla diversa ipotesi dei licenziamenti collettivi per esubero di personale, coincide con il principio di diritto a riguardo da tempo sul punto consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, debba rilevarsi l’inammissibilità del primo motivo attinente al thema decidendum fondamentale della controversia in questione, dato dalla ricorrenza o meno dell’obbligo di repechage, non risultando adeguatamente censurate, se non in termini di mera confutazione tale da risolversi nella riproposizione delle originarie difese, le argomentazioni in base alle quali la Corte territoriale ha motivato la conclusione cui è pervenuta circa l’insussistenza della dedotta violazione. Tali argomentazioni attengono, innanzitutto, all’infungibilità delle posizioni lavorative, pur all’interno del Dipartimento “B.”, stante l’articolazione in team riferiti a clienti distinti (è pacifico che la riorganizzazione ha riguardato il solo cliente U.), dato in sé decisivo che la Corte territoriale afferma non essere contestato, nulla avendo obiettato la ricorrente ai capitoli sul punto articolati dalla Società, come in effetti risulta anche in questa sede avendo la ricorrente qui replicato non nel senso di negare tale struttura organizzativa dell’azienda ma in termini per cui quella fungibilità deve ravvisarsi ogni qual volta il dipendente sia in grado di svolgere le stesse mansioni dei colleghi addetti a impieghi diversi, circostanza che la ricorrente non manca di affermare senza tuttavia dar conto di averla dimostrata con riferimento alle incombenze relative ad altri clienti cui erano addetti gli altri team del Dipartimento ed erano stati adibiti i nuovi assunti, in secondo luogo, al dato dell’irrilevanza delle nuove assunzioni effettuate prima del licenziamento della ricorrente, che la Corte territoriale ha giustificato al di là del riferimento, come detto di per sé sufficiente, all’infungibilità delle posizioni lavorative all’interno dell’organizzazione aziendale, avendo motivato nel senso che l’anticipo rispetto al licenziamento della ricorrente con cui quelle assunzioni sono state effettuate valeva ad escludere la contrarietà del provvedimento al principio di buona fede e correttezza, tanto più che, secondo l’ulteriore rilievo della Corte territoriale, qui neppure fatto oggetto di specifica censura, il protrarsi nel tempo della complessa riorganizzazione e l’essere la stessa definita in termini tali da prevedere anche la ricollocazione del personale del team U. nella diversa sede estera in cui sarebbe stata spostata, eventualità questa prospettata anche alla ricorrente e da questa rifiutata, fondava il convincimento per cui all’atto delle nuove assunzioni la Società non avesse certezza del futuro licenziamento della ricorrente, ed infine all’effettività della dichiarata impossibilità di reimpiego della ricorrente nei restanti team del Dipartimento dedicati ad altri clienti, per motivi che ancora una volta vanno al di là del rilievo, si ribadisce, di per sé sufficiente, dell’infungibilità delle posizioni lavorative all’interno dell’organizzazione aziendale, relativi alla diversa circostanza, parimenti non contestata, della disponibilità presso i predetti team di impieghi implicanti lo svolgimento di mansioni inferiori all’inquadramento posseduto dalla ricorrente.
Il ricorso va, dunque, va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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