CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2020, n. 25631
Contratto di appalto – Socio lavoratore di cooperativa – Somme trattenute, illegittimamente operate – Genericità delle delibere sociali – Versamento di un contributo a ripiano delle perdite di bilancio – Condizioni di validità delle delibere impositive
Fatti di causa
Con sentenza del 22 aprile 2016, la Corte d’Appello di Brescia, confermava la decisione resa dal Tribunale di Bergamo e accoglieva la domanda proposta da D.M.H. nei confronti della Società Cooperativa B. a r.l. e della I. S.p.A., avente ad oggetto la condanna della Cooperativa, presso la quale operava quale socio lavoratore e della I. S.p.A. in solido, ai sensi dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003, per essere l’istante ivi impiegato in forza di un contratto di appalto in essere tra le due società, alla restituzione in favore dell’istante delle somme trattenutegli nel corso del rapporto dall’1.10.2010 al 28.8.2012 a titolo di “quota sociale”, euro 0,88 l’ora ed euro 100 mensili, e di quelle conseguenti alla mancata inclusione delle stesse nel computo del TFR.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione di incompetenza per materia sollevata dalla Cooperativa e, nel merito, dovute in restituzione le somme trattenute per essere state queste illegittimamente operate, stante la genericità delle delibere sociali che imponevano da parte dei soci il versamento di un contributo a ripiano delle perdite di bilancio.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società Cooperativa B. a r.l., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resistono, con controricorso, si l’originario istante sia la I. S.p.A. che a sua volta propone ricorso incidentale articolato su un unico motivo, in relazione al quale entrambi gli intimati non svolgono alcuna attività difensiva.
La Società ricorrente ha poi presentato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, la Società ricorrente principale, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 2, l. n. 142/2001 come modificato dall’art. 9, comma 1, l. n. 30/2003, imputa alla Corte territoriale l’inosservanza della regola sulla ripartizione della cognizione tra giudice ordinario e giudice del lavoro assumendo che l’oggetto della controversia sia dato dalla restituzione di conferimenti di capitali da parte dei soci lavoratori di cooperativa a copertura delle perdite di esercizio e non la corresponsione di differenze retributive.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 l. n. 142/2001 in combinato disposto con l’art. 12 delle preleggi, la Società ricorrente principale lamenta la non conformità a diritto dell’orientamento accolto dalla Corte territoriale che subordina l’opponibilità al socio lavoratore delle delibere che, in conformità alla norma richiamata impongono al socio lavoratore apporti anche economici per la soluzione di situazioni di crisi a delimitazioni dei criteri quantitativi e temporali dei conferimenti.
Nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2269 c.c. è prospettata in relazione alla ritenuta inopponibilità al socio lavoratore anche delle delibere impositive di un conferimento a ripiano delle perdite anteriori al suo ingresso nella cooperativa, stante la regola codicistica per cui il nuovo socio è responsabile delle obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio.
Con l’unico motivo la Società ricorrente incidentale, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., imputa alla Corte territoriale l’omessa pronunzia sulla domanda relativa al riconoscimento, in caso di conferma della sentenza gravata, del diritto a fruire del beneficio di preventiva escussione del patrimonio della cooperativa.
Tutti i sueposti motivi del ricorso principale, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass., sez. lav., 18.7.2018, n. 19096) secondo cui “In tema di società cooperative la deliberazione, nell’ambito di un piano di crisi aziendale, di una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi dei soci lavoratore e di forme di apporto economico da parte di questi, ex art. 6, comma 1, lett d) ed e) della l. n. 142 del 2001 in deroga al principio generale del divieto di incidenza “in pejus” del trattamento economico minimo previsto dalla contrattazione collettiva, di cui all’art. 3 della predetta legge, è condizionata alla necessaria temporaneità dello stato di crisi e, quindi all’essenziale applicazione di un termine finale ad esso” atteso che a questa stregua deve affermarsi l’ammissibilità di condizioni di validità delle delibere impositive di apporti economici da parte dei soci lavoratori finalizzate al ripiano delle perdite di esercizio, in difetto delle quali le delibere stesse che ai predetti fini attingano, tramite trattenute, al trattamento economico spettante al socio lavoratore, risultano illegittimamente assunte in violazione del principio di immodificabilità in pejus di quel trattamento, traducendosi pertanto il thema decidendum oggetto del giudizio nel corretto adempimento dell’obbligo retributivo da devolversi alla cognizione del giudice del lavoro.
Infondato si rivela altresì l’unico motivo del ricorso incidentale atteso che la statuizione del giudice di primo grado intesa ad accogliere la domanda già formulata in prime cure dalla Società odierna ricorrente incidentale non risulta impugnata e così devoluta alla cognizione del giudice del gravame che correttamente si è astenuto dal pronunziare in ordine ad un capo della sentenza gravata passato in giudicato.
Entrambi i ricorsi vanno dunque rigettati con attribuzione delle spese, liquidate come da dispositivo, a carico della sola Società Cooperativa B. a r.l. ricorrente principale nei soli confronti di D.M.H. atteso che la ricorrente
principale non ha formulato alcuna domanda nei confronti della I. S.p.A. e che questa, limitatasi a proporre il ricorso incidentale, ha tenuto analogo comportamento nei confronti di D.M.H.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e condanna parte ricorrente principale al pagamento nei confronti di D.M.H. delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Rigetta altresì il ricorso incidentale.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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