CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2021, n. 33801
Impiego pubblico – Partecipazione alle trattative per la stipula del contratto collettivo dei dirigenti delle Agenzie fiscali – Diritto – Rappresentatività
Fatti di causa
1. D. – F. Pubblico Impiego (di seguito D.), organizzazione sindacale (di seguito O.S. o OO.SS.) che associa funzionari, dirigenti e professionisti delle Amministrazioni e delle Agenzie Pubbliche, ha agito davanti al Tribunale di Roma nei confronti dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (di seguito, Aran) per sentir dichiarare il proprio diritto a partecipare alle trattative per la stipula, con riferimento al quadriennio 2006-2009, del contratto collettivo dei dirigenti delle Agenzie fiscali o quanto meno della sezione riservata ad esse e ciò sul presupposto di una sua rappresentatività di quasi il 19 % rispetto a tali enti, mentre la percentuale scendeva al 4,37% se calcolata rispetto all’intera area VI quale definita dall’Accordo Quadro Nazionale (di seguito, AQN) del 1.2.2008, comprendendo essa, oltre alle agenzie fiscali, anche gli enti pubblici non economici.
La domanda veniva prospettata in via principale come diretta a tale ammissione alla contrattazione, se del caso previa declaratoria di nullità dell’AQN e, in via subordinata, previa proposizione di questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 d. lgs. 165/2001, qualora tale norma fosse ritenuta ostativa alla pretesa azionata.
2. La Corte d’Appello di Roma, nel rigettare il gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva disatteso in primo grado tale domanda, argomentava, per quanto qui ancora interessa, nei termini che si vanno ad esporre.
Quanto alla questione sulla nullità dell’AQ sulle aree dirigenziali, la Corte territoriale riteneva che:
– il legislatore non aveva individuato nel criterio di “effettività sindacale” un limite legale per la definizione dei comparti e delle aree, affidando quest’ultimo aspetto ai “rapporti di forza che possono manifestarsi” in quella sede;
– questa scelta non poteva ritenersi priva di ragionevolezza (art. 3 Cost.) in quanto la possibile perdita di rappresentatività era compensata dalla “semplificazione” che ne derivava in sede di contrattazione e quindi di buon andamento (art. 97 Cost.);
– non poteva poi affermarsi una violazione delle regole fissate dalla legge per l’individuazione delle aree di contrattazione dirigenziale, in quanto l’art. 43 imponeva la identificazione dei comparti sulla base di parametri di omogeneità ed affinità dei settori, ma, una volta così individuati comparti, non vi erano limiti rispetto all’eventuale accorpamento di essi al fine della individuazione delle aree di contrattazione dirigenziale, sicché, l’AQN che aveva individuato un’area unificando due dei comparti dell’epoca (agenzie fiscali ed enti pubblici non economici) non poteva dirsi invalido.
Quanto alla questione di legittimità costituzionale, la Corte d’Appello, con riferimento ai profili ancora oggetto di controversia, affermava che: – non ricorreva violazione dell’art. 2 Cost. perché «le valutazioni di affiliazione sindacale, che il sistema può indurre nei singoli dipendenti (anche dirigenti), restano pur sempre affidate alla loro totale libertà … nel cui ambito si colloca il criterio della convenienza come naturale criterio guida delle scelte di affiliazione verso questa o quella sigla sindacale» e l’esclusione di qualche O.S. dalle trattative «appartiene – in modo naturale e fisiologico, al nostro sistema di relazioni sindacali, fino ad oggi privo di un’adeguata legge generale sulla rappresentatività sindacale»;
– la tutela della singola O.S. è affidata all’ambito sindacale e si esercita attraverso la confederazione di affiliazione, che ha veste a partecipare alla stipula dell’AQN;
– non c’è violazione dell’art. 39 Cost., perché quella norma, stante l’inattuazione della sua seconda parte, lascia alla libertà sindacale ed ai rapporti di forza il realizzarsi di fatto di una proporzionalità tra rappresentatività dei dipendenti interessati e stipulazione dei contratti collettivi;
– il sistema del d. lgs. 165/2001 individua invece un vero e proprio diritto a partecipare alla contrattazione, che è ragionevole (art. 3 Cost.) sia rimesso, quanto ad individuazione dei requisiti “minimi” per il suo sorgere, al legislatore ordinario. D. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, cui ha replicato l’Aran depositando controricorso.
3. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ai sensi dell’art. 23, co. 8-bis, d.l. 137/2020, conv. con mod. in L. 176/2020, con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
D. ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso D. afferma la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 1421 c.c., dell’art. 40, co. 2 e 43, co. 1, d. lgs. 165/2001 (quali vigenti ratione temporis) e l’illegittimità costituzionale degli artt. 40, co. 2 e 43, co. 1, d. lgs. 165/2001. Il motivo, salvo un cenno finale ad una possibile interpretazione costituzionalmente orientata, è in realtà integralmente indirizzato alla riproposizione di profili di legittimità costituzionale, veicolati dalla deduzione della nullità dell’AQN, quale conseguenza dell’auspicato accoglimento delle predette censure mosse al complesso normativo da applicare. I profili di critica possono essere sintetizzati come segue:
– l’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello rimetterebbe al mero arbitrio delle confederazioni ammesse alle trattative per l’AQN la determinazione delle Aree per la dirigenza, realizzando così un vulnus al principio del pluralismo sindacale, in quanto in tal modo le Confederazioni ammesse sarebbero incentivate ad assumere comportamenti impeditivi rispetto alle OO.SS. minori;
– solo chi partecipa al CCNL può partecipare – ai sensi dell’art. 43, co. 4, d. lgs. 165/2001 – alla contrattazione integrativa, il che lascerebbe l’O.S. che risulti minoritaria nell’Area, ma significativamente rappresentata (qui, circa il 20%) nell’ente, al di fuori di tale ambito contrattualcollettivo;
– l’esclusione delle OO.SS. rappresentative in ambito aziendale dalla possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali (di seguito r.s.a.) – conseguente al fatto che l’art. 42, co. 2 d. lgs. 165/2001 lo consente solo alle OO.SS. firmatarie di contratti collettivi – è tale da determinare a cascata un ulteriore effetto pregiudizievole dell’impianto della normativa, in contrasto con l’indicazione referendaria del 1995, che orienterebbe viceversa alla valorizzazione, a partire dalle r.s.a., del livello aziendale;
– devono considerarsi i principi sottesi a Corte Costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 19 L. 300/1970, così potendosi evidenziare come la limitazione dei diritti ai danni di alcune OO.SS., in spregio alla loro rappresentatività, crei privilegi e discriminazioni irragionevoli (art. 3), lesive del pluralismo imposto anche dall’art. 2 (oltre che dall’art. 39 Cost.). Infatti, sintetizza D., la regolamentazione per legge dei criteri di rappresentatività non potrebbe avvenire se non assicurando il rispetto dei criteri insiti nella ratio individuata dalla Corte Costituzionale con riferimento alla rappresentatività delle organizzazioni sindacali del settore privato.
In sede di memoria finale D. sollecita altresì la valutazione delle questioni oggetto di causa alla luce della sentenza della Corte Europea dei Diretti dell’Uomo (di seguito, Corte EDU), Gran Camera, 12 novembre 2008, Demir e Baykara c/Turchia, nonché delle fonti internazionali ed eurounitarie che riguardano la specifica materia delle relazioni sindacali nel settore dell’impiego pubblico, quali richiamate anche da Corte Costituzionale 23 luglio 2015, n. 178, il tutto eventualmente anche ai sensi dell’art. 117 Cost., sulla base della individuazione delle disposizioni appena indicate quali norme c.d. interposte.
2. Ciò posto, si osserva come sia noto che il sistema di accesso alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego privatizzato preveda, a regime, secondo regole la cui chiarezza testuale non consente interpretazioni diverse, una previa determinazione dei Comparti (non dirigenziali) e delle Aree (dirigenziali) attraverso un negoziato tra Aran e Confederazioni partecipate, in almeno due Aree o Comparti, da OO.SS. munite di rappresentatività superiore al 5 % (art. 40, co. 2, e 43, co. 4, d. lgs. 165/2001) e quindi ammetta alle trattative sul livello nazionale le OO.SS. che, in ciascuna Area o Comparto, così definiti, abbiano una rappresentatività sempre superiore al predetto 5% (art. 43, co. 1, d. lgs. cit).
3. Non è in dubbio l’esattezza del rilievo in ordine al fatto che il diritto positivo interno, in tal modo, determini il rischio che una non irrilevante rappresentatività presso un settore di un’Area, sia destinata ad essere vanificata per la mancanza della percentuale del 5 % calcolato sulla base dell’intera platea di lavoratori impiegati nell’Area stessa.
Va tuttavia condivisa la conclusione di fondo che sorregge la sentenza impugnata e che ravvisa nel sistema della contrattazione nazionale quale delineato dal d. lgs. 165/2001, un insieme non irragionevole di regole organizzative che affondano le radici nel principio di buon andamento e, a monte di questo, nel principio di legalità, destinati a sovrintendere, ai sensi dell’art. 97 Cost., l’attività della P.A.
Già la disciplina di dettaglio che gli artt. 41, 46 e 47 d. lgs. 165/2001 dedicano alla individuazione ed al funzionamento della parte pubblica, così come il regime vincolato della fase di controllo successiva ivi parimenti regolati, postulano altrettanta certezza e rigore nell’individuazione delle controparti ammesse alla contrattazione, necessariamente destinata ad una conduzione non rimessa ad attori muniti occasionalmente di forza negoziale soltanto in una qualche articolazione dell’ambito di lavoratori interessati.
Da qui la disciplina di selezione degli ambiti di contrattazione e, poi, lo sbarramento del 5 % per la partecipazione al negoziato entro tali ambiti.
D’altra parte, è di tutta evidenza la razionalità della regola organizzativa adottata, la quale ha chiaramente di mira l’esigenza di evitare, anche in vista del principio di parità di trattamento dei dipendenti ed in affrancamento dalle c.d. giungle retributive del passato, che la P.A., disarticolandosi a seconda delle condizioni di fatto volta a volta emergenti, possa finire per trattare solo con chi, estemporaneamente in questo o quel settore non previamente definito, manifesti di essere in quel frangente più forte.
Analoghi principi questa S.C. ha tenuto presente allorquando ha sottolineato l’importanza di «criteri predeterminati di rappresentatività» onde evitare che la contrattazione collettiva della P.A. si basi su meri «rapporti di forza» e assicuri invece il procedere in modo «trasparente ed imparziale» rispetto a trattative destinate a formare accordi dotati di «stabilità» e «che dovranno essere applicati in via generale ed uniforme da parte delle pubbliche amministrazioni del relativo comparto»: così Cass. 31 maggio 2018, n. 13982, con riferimento al tema, qui non in rilievo, dell’utilizzazione del solo dato associativo o elettorale esistente, quando in concreto sia impossibile determinare uno di essi.
Non è pertanto corretto quanto afferma la ricorrente nelle proprie difese, ovverosia che il richiamo delle Corte territoriale all’art. 97 Cost. sarebbe «approssimativo» e «invocato a sproposito», in quanto in realtà si tratta di profilo fondante.
E’ infatti inevitabile che la libertà sindacale, per quanto di essa si esprima nel diritto a trattare in favore dei lavoratori, sia destinata a rifluire in una qualche regolamentazione, da realizzare anche delimitando l’accesso ad essa sulla base di misurazioni della rappresentatività, naturalmente destinate a manifestarsi, quanto più il legislatore persegua l’obiettivo di assicurare uniformità alle regolazioni negoziali consequenziali, attraverso regole selettive.
3.1 D’altra parte sono da condividere le considerazioni della sentenza impugnata, che vale la pena richiamare, secondo cui «il rischio di una parziale perdita di rappresentatività del sistema contrattuale … è compensato dal necessario contenimento dei soggetti ammessi alle trattative per scopi di semplificazione della contrattazione e, in ultima analisi, di buon andamento dell’amministrazione», essendo evidente che fa parte della regolazione di una materia così complessa la possibilità del determinarsi di inconvenienti, i quali però non necessariamente invalidano un sistema ampiamente giustificato dalle plurime ragioni sopra indicate; non potendosi neppure dire che le scelte di accorpamento decise in sede di AQN (tra l’altro ora rese ancor più stringenti dalla riduzione per legge al numero massimo di quattro di Comparti ed Aree: v. art. 40 d. lgs. 165/2001 come modificato dal d. lgs. 150/2009) abbiano in concreto riunito enti pubblici, ovverosia le Agenzie Fiscali e gli enti pubblici non economici, così lontani tra loro quanto strutture e fini.
4. E’ in tale complessivo contesto che si inserisce, a completamento del ragionamento, quanto ritenuto da Corte Costituzionale 16 ottobre 1997, n. 309, ove si è ammesso il determinarsi, attraverso la contrattazione qui in esame, di un effetto obbligatorio e necessario destinato a realizzarsi, attraverso diversi percorsi giuridici, al di fuori del meccanismo di cui all’art. 39, co. 4, Cost.
Ciò attraverso un sistema che non muove da norme di registrazione delle OO.SS. e dalle conseguenti forme di cui all’art. 39, co. 4, Cost., ma si sviluppa sulla base di una situazione di libertà sindacale (art. 39, co. 1 Cost.), alla quale fornisce disciplina al fine di consentirne la coniugazione rispetto ad un datore di lavoro la cui organizzazione, in attuazione di altro e parimenti fondante principio (art. 97 Cost.), discende da regole legali.
Va da sé che tale sistema, proprio perché basato sulla libertà sindacale, non può dirsi in contrasto con l’art. 2 Cost., in quanto esso non disconosce per nulla le formazioni sociali espressive dei lavoratori, ma solo ne regola la coesistenza, sotto il profilo degli effetti della contrattazione, con le esigenze di legalità proprie della P.A.
Così come mal posto è il richiamo all’art. 3 Cost., stante la specificità del fenomeno regolato, destinato a sottrarsi ad una comparazione con il sindacalismo privato e con gli effetti, peraltro parimenti alternativi al sistema di cui all’art. 39, co. 4, Cost., che da esso derivano (per l’impossibilità di una tale comparazione, v. anche Cass. 13982/2018, cit.), dal che discende l’inconferenza del richiamo a Corte Cost. 231/2013, cit.
5. E’ indubbio poi che il sistema, come regolato dal legislatore, abbia ricadute sulla contrattazione integrativa (che i partecipanti alla contrattazione nazionale – ai sensi dell’art. 43, co. 5, d.lgs. 165/2001 – possono disciplinare escludendo le OO.SS. non ammesse a quest’ultima) o sulla rappresentanza delle OO.SS. sui luoghi di lavoro (che l’art. 42, co. 2, d. lgs. 165/2001 riserva alle OO.SS. rappresentative ai sensi dell’art. 43, pur con l’apertura dell’art. 42, co. 3, a r.s.u. rappresentative di “tutti” i lavoratori).
Ma qui non sono questi istituti a venire in evidenza e dunque tali effetti comunque non rilevano rispetto alla presente decisione.
6. In memoria, come si è detto, D. sviluppa ulteriori argomenti, richiamando le pronunce, sul piano interno, di Corte Costituzionale 23 luglio 2015, n. 178 e, sul piano internazionale, di Corte EDU 12 novembre 2008, Grande Camera, Baykara c/ Turchia.
A tali spunti deve darsi risposta, in quanto vengono in tal modo sollecitati ulteriori profili di possibile illegittimità costituzionale – o eurounitaria – della disciplina, che non portano tuttavia ad opinare diversamente rispetto a quanto sopra argomentato.
Anzi, i profili di diritto internazionale ed eurounitario consentono di confermare la coerenza del percorso impostato dal legislatore interno con riferimento al fenomeno qui di interesse.
6.1 Iniziando dal richiamo a Corte Costituzionale 178/2015 e fatto salvo quanto si dirà di seguito rispetto alle norme internazionali ed europee in essa menzionate, vi è da osservare come il tema della libertà sindacale sia stato affrontato in quella sede rispetto ad una vicenda, il protratto e reiterato blocco della contrattazione collettiva, obiettivamente ben diverso dalle tematiche qui in discussione.
La Corte Costituzionale ritenne quel blocco, nelle sue concrete conformazioni quali venutesi a manifestare in esito a norme legislative succedutesi nel tempo, in sé violativo della libertà negoziale e dunque dell’art. 39, co. 1, Cost., perché tale da sottrarre per un periodo di tempo eccessivamente lungo i trattamenti dei lavoratori da dinamiche sulle quali, pur nel contesto di una rigorosa regolazione, i sindacati potevano essere in grado di influire. Il tema, al di là del comune richiamo alla libertà sindacale, non ha dunque nulla a che vedere con quanto viene qui in evidenza e che riguarda la legittimità delle regole di definizione della partecipazione dei sindacati alle trattative collettive.
6.3 Senza dubbio più pertinente è invece il richiamo alle regole internazionali sulla libertà sindacale.
6.3.1 Va però sgomberato il campo dal richiamo al decisum di Corte EDU 12 novembre 2008, Grande Camera, Baykara c/Turchia. Quel caso riguardava un sindacato turco, la cui contrattazione, seppur applicata presso l’ente locale con il quale essa era intervenuta, era stata ritenuta invalida dagli organi giudiziari interni per mancanza di un regolare riconoscimento dell’O.S.
La Corte EDU ha quindi ritenuto, per un verso, che fosse stato violato (punto 127 della pronuncia) l’art. 11 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo per l’essersi normativamente impedita la formazione stessa, con effetti giuridicamente validi, di un O.S. di impiegati pubblici locali (municipa/ civil servant).
La pronuncia ha poi riconosciuto in linea di principio (punto 164) che la libertà sindacale, anche rispetto al pubblico impiego, comprende il diritto di dare corso a trattative rispetto alla contrattazione collettiva (right Lo bargain collectively), quale precipitato di un insieme di fonti internazionali ed europee da essa citate.
Tuttavia, a parte l’impossibilità in quel caso di applicare la possibile limitazione generale che anche la Convenzione ILO n. 98 riconosce per i livelli statali più elevati (public servant engaged in the administration of the State), la Corte EDU ha ammesso (punti 163, 164 e 168) che gli ordinamenti possano prevedere limitazioni o regolamentazioni di tale diritto nella disciplina interna, purché corrispondenti ad esigenze sociali (pressing social needs) o giustificate da specifiche circostanze (specific circumstances that could have justified the exclusion) e comunque nei limiti della necessità (necessary in a democratic society).
Giustificazioni che lo stato turco, nel caso di specie, non aveva fornito, in quanto gli accordi collettivi erano stati dichiarati nulli ex tunc dalle autorità giudiziarie interne sulla base di norme ed interpretazioni che, disconoscendo rilievo giuridico agli atti delle OO.SS. non registrate, addirittura impedivano una utile adesione dei lavoratori ad esse per fini di contrattazione collettiva con il datore di lavoro, in lesione quindi di uno degli scopi propri della libera attività sindacale.
Il quadro della decisione è dunque ben lontano dall’assetto di cui qui si discute, ove l’operatività di D., come O.S., non è negata dall’ordinamento, che però, per le ragioni già menzionate, non ne consente l’accesso diretto alla contrattazione collettiva, in sé riconosciuta ed esistente, per ragioni di selezione e misura della rappresentatività. Ciò senza contare che D., ha anzi partecipato, come precisato dalla sentenza di appello, alla definizione degli AQN sulle aree contrattuali, per quanto mediatamente e cioè attraverso l’adesione di essa ad una delle Confederazioni ammesse.
6.3.2 D’altra parte, l’assetto di fondo del sindacalismo nell’impiego pubblico quale ricostruito in estremo dettaglio dalla Corte EDU nella sentenza appena citata, con riferimento alle medesime fonti cui esplicitamente rinvia Corte Costituzionale 178/2015, è effettivamente quello di un regime di libertà di formazione dell’O.S., al fine di esercitare in tale ambito anche il diritto alla contrattazione collettiva, che ammette tuttavia una disciplina di regolamentazione interna.
La Corte EDU, premesso il richiamo all’art. 11 della Convenzione EDU ed al diritto di formare ed aderire ad organizzazioni sindacali ivi previsto, ritiene in sostanza che tale diritto, così come le restrizioni ad esso, nei limiti in cui siano necessarie in una società democratica, siano da declinare sulla base degli apporti che più in generale derivano dal diritto internazionale ed eurounitario (lett. A della pronuncia in esame).
A tale proposito la ricostruzione della Corte EDU richiama l’art. 4 della Convenzione ILO n. 98, come anche l’art. 11 della precedente Convenzione ILO n. 87, con i quali si impone agli Stati l’adozione di misure promozionali della contrattazione collettiva, richiamando tuttavia anche l’appropriatezza rispetto alle situazioni nazionali (appropriate to national conditions); formulazione analoga è contenuta nell’art. 7 della Convenzione ILO n. 151, pur se in un cointesto in cui i diritti sindacali sono riconosciuti anche a «tutte le persone impiegate presso le pubbliche autorità» (art. 1).
Analogamente, l’art. 6 della Corte Sociale Europea riconosce la promozione statale alla contrattazione collettiva sottolineando anche esso, al secondo comma, il requisito dell’appropriatezza, a propria volta inteso dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali – in un passaggio espressamente richiamato dalla Corte EDU – nel senso che le garanzie di accesso alla contrattazione collettiva sono tali per cui gli Stati che impongono restrizioni ad essa rispetto al pubblico impiego hanno comunque l’obbligo di assicurare il coinvolgimento dei rappresentanti del personale nel delineare la disciplina dell’impiego.
Infine, l’art. 28 della Carta dei Diritti Fondamentali (c.d. Carta di Nizza) riconosce il diritto alla contrattazione collettiva, ma anche in questo caso in conformità con le norme eurounitarie e le leggi e pratiche nazionali. E’ significativo, infine, che la rassegna della Corte EDU si concluda (punto 52) con il rilievo per cui nei diversi Stati europei il predetto diritto conosce eccezioni rispetto alle aree (procedure disciplinari, pensioni, assicurazioni mediche, salari di dipendenti anziani) od alle categorie (forze armate, polizia, giudici etc.) coinvolte, ma che in generale il diritto è riconosciuto e che le eccezioni devono essere giustificate da particolari circostanze.
6.3.3 Tutto ciò consente di inserire del tutto adeguatamente il sistema di rappresentatività interno proprio del pubblico impiego, anche nell’ambito delle norme internazionali alla cui osservanza lo Stato si è vincolato.
Infatti, come già si è detto nel ricostruire la coerenza rispetto alle regole espressamente dettate dalla Costituzione, l’ordinamento riconosce libertà piena di associazione ed attività sindacale ai dipendenti pubblici di cui al d. lgs. 165/2001 e, allorquando inserisce la contrattazione collettiva nell’ambito di una cornice regolatoria che può in taluni casi lasciar fuori – per effetto della predisposizione di regole selettive e maggioritarie – talune OO.SS., ciò fa al fine, coerente con le esigenze di una democrazia complessa, di assicurare il saldo inserimento del sistema negoziale nell’organizzazione di carattere legale – per previsione di rango costituzionale – della P.A. (art. 97 Cost.) e sulla base di criteri di cui già si è spiegata la ragionevolezza intrinseca.
6.3.4 E’ quindi manifestamente da escludere una proposizione di quesiti di legittimità costituzionale sotto il profilo del contrasto dell’ordinamento interno con l’art. 117 Cost. e delle norme c.d. interposte cui tale disposizione fa richiamo, né si ravvisano ragioni (Cass. 13 luglio 2021, n. 19880; Cass. 7 giugno 2018, n. 14828; Cass., S.U., 10 settembre 2013, n. 20701) per ipotizzare profili di incompatibilità con il diritto eurounitario.
7. In definitiva il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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