CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2021, n. 34014
Rapporto di lavoro – Trasferimento – Sanzione disciplinare – Sospensione di mesi sei dal servizio e dalla retribuzione – Accertamento del demansionamento – Risarcimento danni
Fatti di causa
1. Con sentenza in data 1° dicembre 2014 nr. 850 la Corte d’Appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Alba nella parte in cui aveva respinto la domanda proposta da M.L.D., dipendente del COMUNE DI ALBA, di impugnazione del trasferimento disposto in data 1 febbraio 2011 (dalla ripartizione «Servizi Generali» alla ripartizione «Servizi di staff») e della sanzione disciplinare irrogata in data 8 ottobre 2009 (sospensione di mesi sei dal servizio e dalla retribuzione); riformava parzialmente la sentenza di primo grado in punto di accertamento del demansionamento subito dalla D. – ritenendo che detto demansionamento, che aveva avuto inizio il 25 marzo 2006, fosse cessato in data 31 gennaio 2011 – e riduceva il danno liquidato in primo grado a carico del COMUNE.
2. Quanto alla impugnazione del trasferimento, la Corte territoriale osservava che già a partire dal giugno 2010 alla D. erano stati affidati compiti che avevano maggiore coerenza con la ripartizione «Servizi di staff» piuttosto che con la ripartizione «Servizi Generali», di appartenenza originaria della dipendente.
3. D’altra parte, il rientro presso tale ripartizione era inopportuno, posto che sin dal marzo 2006 la D. era stata distaccata presso la ripartizione «Sicurezza Sociale ed Assistenza Scolastica» in ragione delle condotte conflittuali e non collaborative con colleghi e superiori, tali da creare disfunzione all’interno della unità produttiva. Il distacco e le successive proroghe non erano stati impugnati dalla D.. Sussistevano le ragioni organizzative di cui all’articolo 2013 cod.civ.; il motivo ritorsivo, seppure in ipotesi esistente, non era dunque unico e determinante.
4. Quanto alla impugnazione della sanzione disciplinare, la contestazione riguardava la condotta tenuta dalla lavoratrice il giorno 4 settembre 2009, intorno alle ore 12, nell’ufficio del vice sindaco M.R., a seguito della conferma di F.D. nella carica di Segretario Generale. In tale occasione la D., con fare concitato e modi alterati, apostrofava con espressioni offensive il Segretario generale, lanciava a terra un vaso che era nella stanza della R. e continuava nella sua condotta al sopraggiungere del D.
5. I fatti addebitati avevano trovato conferma negli atti di causa.
6. La condotta della D. integrava l’ipotesi di cui all’articolo 3, comma 6, CCNL 11 aprile 2006, lettera f (atti, comportamenti o molestie di particolare gravità lesivi della dignità della persona) e lettera h (alterchi di particolare gravità con vie di fatto negli ambienti di lavoro). La sanzione era proporzionata alla gravità della condotta, oltre tutto tenuta in presenza di colleghi e di utenti; peraltro la D. aveva ricevuto sanzioni, nel dicembre 2003 e nell’aprile 2005, giudizialmente confermate, per frasi ingiuriose e denigratorie nei confronti di superiori e della amministrazione.
7. Le signore A.C. e D.B., componenti della commissione di disciplina che aveva irrogato la sanzione, non si trovavano nelle condizioni legittimanti la ricusazione ai sensi dell’articolo 149 DPR nr. 3/1957, non sussistendo una situazione di inimicizia grave con la D.. Per la COPPA non costituiva ragione di incompatibilità il fatto di aver rappresentato il COMUNE DI ALBA in alcune udienze di una diversa causa di lavoro proposta dalla D.; per la B., la denuncia di mobbing della D. era stata ritenuta infondata in sede giudiziaria ed, in ogni caso, la grave inimicizia era quella derivante da rapporti privati, estranei all’esercizio della funzione.
8. Infine, la condotta del COMUNE di demansionamento della D., che aveva avuto inizio con il suo distacco (26 marzo 2006), era cessata dal febbraio 2011, data del trasferimento, allorché le erano state formalmente attribuite altre mansioni. Da tale periodo era provato lo svolgimento di mansioni coerenti con la categoria di inquadramento, come dalle dichiarazioni del teste D., che non era incapace a testimoniare, non avendo un interesse tale da legittimare la sua qualità di parte del giudizio.
9. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza M.L.D., articolato in tre motivi di censura, cui il COMUNE DI ALBA ha resistito con controricorso.
10. Le parti hanno depositato memoria.
11. Il PM ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente deve essere respinta la eccezione di inammissibilità del ricorso in cassazione opposta dal COMUNE controricorrente sul rilievo della mancanza nella copia del ricorso notificata della sottoscrizione del difensore e della autentica della procura speciale da parte del medesimo difensore.
2. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Cass., 26 gennaio 2018, n. 1981), qualora l’originale del ricorso per cassazione rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte che conferisce tale procura, la mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purché la copia stessa contenga elementi ( come l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente) idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale.
3. Nella specie l’originale del ricorso per cassazione reca la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della procura da parte della ricorrente. La provenienza della copia notificata del ricorso dal difensore munito di procura speciale- come già ritenuto in fattispecie sovrapponibile da Cassazione civile sez. I, 13/07/2020, n.14917- ben può evincersi dalla notificazione a mezzo posta del ricorso da parte dello stesso avvocato. Dalla relata di notifica risulta, infatti, la provenienza dell’atto dal difensore, attestazione che trova riscontro nella obbligatoria annotazione di ogni notificazione diretta a mezzo del servizio postale nel registro cronologico tenuto dal difensore, ai sensi dell’articolo 8 L. nr. 53/1994.
4. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’articolo 360 nr.5 cod.proc.civ.- omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
5. La censura afferisce al rigetto dell’impugnazione del trasferimento.
6. La ricorrente ha dedotto di avere impugnato l’iniziale provvedimento di distacco e le successive proroghe con ricorso al Tribunale di Asti iscritto al numero di RG 372/2015. Ha affermato che il trasferimento, disposto definitivamente soltanto nel febbraio 2011, aveva natura di sanzione disciplinare atipica ed illegittima; ha censurato la pronuncia di rigetto della impugnazione in ragione della mancata contestazione del distacco, che aveva, invece, natura temporanea. Si deduce, altresì, che il COMUNE non aveva in alcun modo provato le ragioni organizzative a fondamento del trasferimento sicché erroneamente era stato ritenuto che il motivo ritorsivo e discriminatorio non fosse stato unico e determinante.
7.Il motivo è inammissibile.
8. L’assegnazione del dipendente ad un ufficio diverso costituisce esercizio di un potere organizzativo che l’amministrazione adotta con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. Il mero spostamento di un pubblico dipendente da un ufficio ad un altro, che si risolva in una assegnazione di compiti diversi da quelli prima svolti, non può essere ricondotto alla nozione di trasferimento in senso tecnico; affinché si configuri un trasferimento, è necessario, infatti, che si realizzi un apprezzabile spostamento geografico del luogo di esecuzione della prestazione. Ne deriva che qualora non venga in considerazione detto mutamento geografico non si configura la fattispecie tutelata dalla norma codicistica di cui all’articolo 2103 cod.civ.- (applicabile in punto di trasferimento al pubblico impiego privatizzato, in mancanza di una diversa disciplina nel D.Lgs. 165/2001) – e, conseguentemente, il Comune-datore di lavoro non ha l’onere di comprovare la sussistenza di ragioni organizzative per destinare il dipendente ad altro ufficio (in termini: Cassazione civile, sez. lav., 26/09/2007, n.20170).
Nella fattispecie di causa non risulta che la destinazione della D. ad altra ripartizione abbia determinato un mutamento della sede geografica di esecuzione della prestazione; pertanto la fattispecie, in mancanza di una specifica disciplina derivante dal CCNL di comparto, restava regolata unicamente dall’articolo 52 D.Lgs.165/2001, in ragione del mutamento della mansioni derivante dal mutamento dell’ufficio di destinazione.
9. Con il secondo mezzo si deduce – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.- omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
10. Si contesta il giudizio espresso sulla sanzione disciplinare, sotto plurimi profili:
– quanto all’accertamento storico dei fatti contestati (si assume una erronea lettura delle prove e la mancata considerazione della testimonianza di R.F., unico soggetto non legato al COMUNE da rapporti di dipendenza).
– quanto alla proporzionalità della sanzione disciplinare; a tal proposito la D. rappresenta di non avere accettato la remissione di querela da parte del D. e denuncia di essere stata oggetto, a seguito di questo episodio, di una condotta ritorsiva, a partire da maggio 2014 e di una nuova sanzione disciplinare di sospensione dal servizio, in data 5 settembre 2014.
– quanto al rigetto della ricusazione dei componenti della Commissione di disciplina, deducendosi la incompatibilità tanto della dottoressa C. che della dottoressa B..
11. Nello stesso motivo è sottoposta a critica la decisione assunta sul demansionamento, in relazione alla ritenuta cessazione della condotta illecita della amministrazione nel febbraio 2011; si lamenta una erronea lettura delle dichiarazioni del teste D. e la mancata valutazione delle concordi dichiarazioni degli altri testi escussi e si sottopone a questa Corte la valutazione delle mansioni assegnate in detto periodo (rappresentando che alcune di esse erano di scarso impegno ed, in altri casi, che le attività non erano state nei fatti svolte).
12. Il motivo è nel complesso inammissibile.
13. In ordine alla sanzione disciplinare, appare in limine preclusiva alla deducibilità del vizio di motivazione la statuizione conforme resa nei due gradi di merito tanto in ordine alla responsabilità della D. per i fatti a lei addebitati che in merito alla proporzionalità della sanzione irrogata nonché in ordine alla assenza di una posizione di grave inimicizia delle due componenti della Commissione disciplinare. Trova dunque applicazione il disposto di cui all’articolo 348 ter, commi 4 e 5, cod.proc.civ., regolante la fattispecie di causa ratione temporis, in quanto il ricorso in appello è stato iscritto nell’anno 2013.
14. Quanto alla statuizione resa in ordine all’epoca di cessazione del demansionamento, la parte ricorrente, nel dedurre il vizio della motivazione, si limita a contestare la valutazione degli elementi istruttori compiuta dal giudice del merito – in ordine alla consistenza ed impegno delle mansioni assegnate dal febbraio 2011 – senza indicare specificamente alcun fatto storico di rilievo decisivo non esaminato nella sentenza impugnata, come richiesto dalla vigente declinazione del vizio di motivazione ex articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. La parte, piuttosto, propone una lettura diversa degli elementi istruttori già esaminati dal giudice dell’appello e chiede di valorizzare altri elementi istruttori, investendo questa Corte di un inammissibile riesame del merito.
15. Con la terza critica- proposta ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.- si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali.
16. La censura afferisce alla ritenuta assenza di un’ incapacità a testimoniare del teste D., sulla base della cui dichiarazioni la Corte territoriale riteneva cessata nel febbraio 2011 la condotta di demansionamento. La ricorrente sostiene che il D. non poteva essere sentito come teste, in quanto Segretario Generale del Comune nonché dirigente preposto alla gestione del rapporto di lavoro, attribuendo al teste la qualità di datore di lavoro e parte in causa; in ogni caso, evidenzia che il D. aveva proposto denuncia penale nei suoi confronti e sottoscritto il mansionario.
17. Il motivo è inammissibile.
18. La parte ricorrente non specifica di avere ritualmente eccepito la nullità della deposizione resa dal D. né di avere coltivato la eccepita nullità della testimonianza come motivo di appello; per consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cassazione civile sez. IlI, 06/05/2020, nr.8528; Cassazione civile sez. VI, 12/03/2019, nr.7095 e giurisprudenza ivi citata), la nullità della deposizione testimoniale resa da persona incapace deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, anche quando l’incapacità sia stata eccepita prima dell’assunzione, atteso che le disposizioni limitative della capacità dei testi a deporre, non costituendo norme di ordine pubblico, sono dettate nell’esclusivo interesse delle parti che possono pertanto del tutto legittimamente rinunciare anche tacitamente alla relativa eccezione, facendo acquiescenza al provvedimento di rigetto dell’eccezione.
19. In ogni caso, la parte piuttosto che denunciare un errore di interpretazione delle norme di diritto disciplinanti la incapacità a testimoniare commesso dalla Corte di merito, rappresenta il mancato esame di fatti storici – quali la qualità di superiore gerarchico, la qualifica dirigenziale, la querela sporta dal D. in sede penale- che, peraltro, attengono all’attendibilità e non all’incapacità del teste.
20. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato nel complesso inammissibile.
21. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
22. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali del l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
Dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 5.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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