CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2018, n. 25544
Contratto di agenzia – Conclusione di contratti di locazione finanziaria – Sospensione unilaterale del rapporto – Pendenza di un procedimento penale
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto solo parzialmente le domande proposte da M. P. nei confronti della I. L. s.p.a. ed aveva condannato la società al pagamento della somma di euro 53.741,07, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, e di euro 6.387,50 per provvigioni non corrisposte.
2. La Corte territoriale ha premesso che il P. dal febbraio 2005 aveva iniziato a svolgere attività di agente per la I. L.s.p.a., alla quale era poi subentrata a seguito di incorporazione la M. I.s.p.a., con l’incarico di promuovere nella provincia di Milano, senza vincolo di esclusiva, la conclusione di contratti di locazione finanziaria. Il rapporto si era svolto positivamente sino a quando, nel novembre del 2006, la società ne aveva disposto unilateralmente la sospensione, in ragione della pendenza di un procedimento penale che vedeva coinvolto il P. Quest’ultimo aveva con raccomandata del 2 aprile 2007 risolto il rapporto con effetto immediato, ritenendo ingiustificata la mancata accettazione da parte della società degli affari da lui procurati.
3. La Corte milanese ha ritenuto infondato l’appello principale proposto dall’agente ed ha rilevato che non dovevano essere corrisposte le provvigioni relative a contratti non andati a buon fine per ragioni non imputabili alla mandante. In particolare nessuna pretesa poteva essere avanzata con riferimento ai contratti stipulati:
a) dalla O. di C. e dalla TBB s.n.c., in quanto il perito aveva accertato che il bene oggetto della locazione finanziaria non era nuovo di fabbrica e presentava difetti;
b) dalla s.r.l. O. M. C., perché la società, dopo il versamento del canone anticipato, aveva deciso di acquistare il bene direttamente;
c) dalla F. s.r.l. e dalla Lavorazioni Pelli E.G., giacché mancavano, rispettivamente, la fattura di vendita ed i documenti che il fornitore è tenuto a trasmettere.
4. Il giudice d’appello ha condiviso le conclusioni del Tribunale quanto alla non spettanza dell’indennità prevista dall’art. 1751 cod. civ. perché l’attore aveva solo dedotto di avere aumentato il fatturato, ma non aveva formulato alcun capitolo di prova in relazione all’attività da lui svolta, alla clientela acquisita ed al mantenimento dei clienti da parte del preponente. Ha precisato al riguardo la Corte che l’indennità rivendicata presuppone che «il valore prodotto dall’agente continui a realizzarsi a favore del preponente dopo la cessazione del rapporto» atteso che il solo aumento dei clienti o degli affari in corso di rapporto risulta già compensato dal pagamento delle provvigioni.
5. Infine è stata ritenuta non provata anche la domanda di risarcimento del danno formulata in relazione all’illegittima sospensione del rapporto, perché il P., che operava senza vincolo di esclusiva, aveva potuto concentrarsi nell’attività resa in favore di altri preponenti. Non vi era, inoltre, la prova che le proposte già acquisite sarebbero state accettate dalla società ove il rapporto non fosse stato sospeso.
6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M. P. sulla base di quattro motivi, articolati in più punti e illustrati da memoria ex art. 378 cod.proc. civ., ai quali ha opposto difese la M. I. s.p.a. con tempestivo controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 cod.proc. civ., violazione degli artt. 1988, 1748, 2702 cod. civ. nonché dell’art. 115 cod.proc. civ. e rileva, in sintesi, che non poteva essere negato il diritto al pagamento delle provvigioni in relazione ai contratti stipulati con le s.n.c. O. di C. & C. e T.B.B. perché il diritto stesso era stato riconosciuto dalla società preponente, che nell’estratto conto del marzo 2007 aveva inserito detti affari fra quelli per i quali le provvigioni erano maturate ed in sede giudiziale si era difesa sostenendo, non che la provvigione non fosse dovuta, bensì che il pagamento era stato sospeso in considerazione della vicenda penale ancora pendente. Richiama i documenti non valutati dalla Corte territoriale, la quale, inoltre, aveva anche errato nell’interpretare le dichiarazioni rese dalla teste, che aveva genericamente riferito di problemi riscontrati in relazione al bene oggetto del contratto stipulato con la OMEC e nulla aveva detto in merito al rapporto contrattuale intercorso la T.B.B. Argomenti analoghi il ricorrente sviluppa con riferimento al contratto stipulato dalla F. s.r.l., in relazione al quale rileva che la “messa a reddito” era stata riconosciuta dalla preponente che aveva inserito l’affare nell’elenco delle operazioni intermediate nell’anno 2006. La provvigione, pertanto, non poteva essere negata in quanto la fattura di vendita da parte del fornitore è irrilevante ai fini dell’esecuzione del contratto.
2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 36 com. 3 e 5 cod.proc. civ., addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 1748 cod. civ. in relazione al mancato riconoscimento del diritto alla “commissione extra”, che la società finanziaria si era impegnata a corrispondere nel caso in cui il volume di affari avesse superato i 9.000.000 di euro. Rileva al riguardo che la preponente con la comunicazione del 23 gennaio 2007 aveva quantificato l’importo della citata commissione in € 7065,94, non corrisposto per intero in quanto il saldo era stato rinviato al momento della effettiva maturazione delle relative provvigioni, fra le quali dovevano essere inserite quelle indicate nel primo motivo di ricorso.
3. Con il terzo motivo, articolato in più punti, il ricorrente si duole della «violazione o falsa applicazione degli artt. 1751 e 2697 c.c., 115 e 116c.p.c.con riguardo all’esclusione del diritto del ricorrente all’indennità di cessazione del rapporto di agenzia» nonché della «violazione degli artt. 1749 c.c. e 210 c.p.c. con riguardo al rigetto delle domande di esibizione dell’estratto dei libri contabili obbligatori della preponente…».
Rileva che l’aumento del fatturato era stato provato attraverso il deposito della documentazione formata dalla società e da quest’ultima non contestata, sicché non era necessario richiedere alcuna prova testimoniale al riguardo. Aggiunge che l’art. 1751 cod. civ. prevede due ipotesi alternative, ossia l’avere procurato nuovi clienti al preponente o l’avere sviluppato gli affari con i clienti esistenti, sicché essendo stato provato per tabulas un massiccio incremento di fatturato non vi era necessità alcuna di precisare se i contratti fossero stati conclusi con clienti nuovi o già esistenti.
Infine quanto al “mantenimento dei clienti” la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare la natura dei contratti stipulati perché nel contratto di durata lo sviluppo dell’avviamento e la protrazione dei vantaggi per il preponente è in re ipsa. Andava, pertanto, riconosciuto il diritto al pagamento della indennità perché il recesso dell’agente era avvenuto per causa imputabile alla società ed il pagamento stesso doveva ritenersi equo, alla luce dei criteri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte.
Aggiunge che, in alternativa, il giudice d’appello avrebbe dovuto ordinare l’esibizione delle scritture contabili o disporre la consulenza tecnica d’ufficio, richieste in entrambi i gradi del giudizio, perché, come è noto, l’agente ha diritto di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate e tale diritto non viene meno dopo la conclusione del rapporto.
4. La quarta critica addebita alla sentenza impugnata la «violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1223, 1375, 1748, 1749, 1751 e 2056 c.c. con riguardo al rigetto della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali derivanti dalla condotta della preponente». Il ricorrente, premesso che ai sensi dell’art. 1751, 4° comma,cod.civ. l’indennità di cessazione del rapporto non priva l’agente del diritto ad ottenere il risarcimento dei danni ulteriori derivati da fatto illecito contrattuale o extra contrattuale, evidenzia che dovevano essere riconosciute a detto titolo le provvigioni che sarebbero maturate sui contratti di locazione finanziaria ai quali si riferivano le proposte, analiticamente indicate nel motivo, trasmesse dopo il 1° novembre 2006 e immotivatamente rifiutate dalla società preponente. Sottolinea la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata per avere, da un lato escluso la legittimità della sospensione, e dall’altro non riconosciuto il risarcimento dei danni derivati da detta illegittima condotta, sulla base di argomenti privi di consistenza giuridica.
5. L’eccezione di tardività del ricorso, formulata dalla difesa della controricorrente, è manifestamente infondata, perché «il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante ed il destinatario, previsto dall’art. 149 cod.proc. civ., è applicabile anche alla notificazione effettuata dall’avvocato, munito della procura alle liti e (fin quando la norma è stata in vigore, anche) dell’autorizzazione del consiglio dell’ordine cui è iscritto, a norma della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 1, sicché, per stabilire la tempestività o la tardività della notifica, rileva unicamente la data di consegna del plico all’agente postale incaricato del recapito secondo le modalità stabilite dalla L. 20 novembre 1982, n. 890 (in tali espressi termini: Cass. 27 aprile 2015, n. 8489; Cass. 3 luglio 2014, n. 15234; sull’applicazione del principio della c.d. scissione degli effetti alla L. n. 53 del 1994, v. già: Cass. 20 febbraio 2013, n. 4242; Cass. 30 luglio 2009, n. 17748; Cass. 1 aprile 2004, n. 6402; Cass. 19 gennaio 2004, n. 709): e sempre, beninteso, che la notifica sia andata poi a buon fine » (Cass. 19.1.2016 n. 770).
La stessa controricorrente riconosce che la spedizione è avvenuta nell’ultimo giorno utile, sicché la tardività del ricorso non può essere fondata né sul fatto che il notificante avrebbe potuto scegliere altro mezzo di notificazione, né sulla circostanza che lo stesso «aveva la certezza assoluta che la notifica non avrebbe potuto raggiungere il destinatario il giorno stesso» posto che il principio della scissione degli effetti mira ad assicurare un effetto provvisorio e anticipato a vantaggio del notificante, che si consolida con il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario.
6. Il primo motivo è infondato, nella parte in cui fa leva sugli estratti contoprovvigionaliper sostenere che in ogni caso dovevano essere liquidati gli importi riconosciuti come dovuti dalla società e poi non corrisposti, ed è inammissibile per il resto.
Non sussiste la denunciata violazione degli artt. 1748 e 1988 cod. civ. perché, da un lato, salvo che non sia diversamente stabilito dalle parti, il diritto alla provvigione sorge allorquando l’affare sia andato a buon fine o la mancata esecuzione del contratto sia imputabile al preponente (Cass. n. 25023/2013; Cass. n. 14978/2011; Cass. n. 10821/2011; Cass. n. 12838/2003; cfr. anche Corte di Giustizia 17.5.2017 C-48/16 Ergo), dall’altro la ricognizione di debito non integra una fonte autonoma di obbligazione ma ha effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, comportando solo l’inversione dell’onere della prova dell’esistenza di quest’ultimo, con la conseguenza che perde efficacia qualora la parte da cui provenga dimostri che il rapporto medesimo non sia stato instaurato o sia sorto invalidamente (Cass. n. 13506/2014).
Sulla scorta dei richiamati principi si deve ritenere che l’inserimento nel conto provvigionale non impedisca al preponente di sottrarsi al pagamento della provvigione dimostrando che al contratto non è stata data esecuzione per fatti a lui non imputabili, posto che, come questa Corte ha già affermato, anche «qualora un contratto di agenzia contenga una clausola secondo cui il conto provvigionale si intende approvato se non contestato entro trenta giorni, l’approvazione dell’estratto conto non preclude l’impugnabilità della validità e dell’efficacia dei singoli rapporti obbligatori e dei titoli contrattuali da cui derivano gli addebiti e gli accrediti» (Cass. n. 14767/2000).
La Corte territoriale, pertanto, non è incorsa nel denunciato vizio di violazione di legge perché, confermando la pronuncia di eguale tenore resa dal Tribunale, ha ritenuto provata, sulla base delle risultanze processuali, la mancata esecuzione dei contratti, non addebitabile al preponente.
Il ricorso, nella parte in cui censura la valutazione della prova testimoniale e documentale, si risolve in un’inammissibile critica dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito, al quale sono rimessi in via esclusiva l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, l’assunzione e la valutazione delle prove e il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonché la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi.
6.1. Inammissibile per ragioni di rito è la doglianza relativa all’asserita violazione del principio di non contestazione, perché la stessa è formulata senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.
Anche in caso di denuncia di un error in procedendo l’esercizio del potere-dovere di esame diretto degli atti da parte del giudice di legittimità è condizionato dalla proposizione di una valida censura, sicché la parte non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, provvedendo, inoltre, all’allegazione degli stessi o quantomeno a indicare, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (fra le più recenti Cass. 21.12.2017 n. 30708; Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. S.U. 22.5.2012 n. 8077; Cass. 10.11.2011 n.23420).
Sulla base di detti principi di carattere più generale è stato ritenuto, in relazione alla denunciata violazione dell’art. 115 cod. proc.civ., che qualora il ricorrente assuma che una data circostanza doveva essere ritenuta non contestata dal giudice di merito, è suo onere indicare, non solo in quale atto il fatto sia stato allegato, ma anche in quale sede e modo esso sia stato ammesso dalla controparte o non sia stato specificamente contestato, riportando nel ricorso, quantomeno nelle parti essenziali, gli atti processuali rilevanti (cfr. Cass. n. 24062/2017; Cass. n. 20637/2016).
Nel caso di specie detti oneri, che valgono anche in relazione agli atti contenuti nel fascicolo d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. n. 12239/2007, Cass. n. 22607/2014, Cass. n. 2462/2018, Cass. n. 4578/2018), non sono stati assolti, perché il ricorrente ha fatto solo fugaci riferimenti agli scritti difensivi avversari, impedendo alla Corte di valutare ex actisla fondatezza della censura.
7. Parimenti inammissibile è la seconda-censura, perché l’omesso esame di un fatto controverso si verifica allorquando il giudice statuisca sulla domanda o sull’eccezione o, nel giudizio di appello, sul motivo di gravame e, nell’adottare la decisione, non consideri un fatto storico la cui valutazione avrebbe comportato una decisione di diverso contenuto. Viceversa si ravvisa un’omessa pronuncia qualora il giudice d’appello ometta di adottare qualunque statuizione sul motivo d’appello con il quale era stata riproposta una domanda non accolta in prime cure (cfr. Cass. n. 1539/2018;Cass. n. 25761/2014).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che in tal caso «non è indispensabile che si faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge» (Cass. S.U. n. 17931/2013 e negli stessi termini fra le più recenti Cass. n. 10862/2018).
Detta ultima evenienza ricorre nella fattispecie perché, appunto, il motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc.civ., non contiene alcun richiamo né all’art. 112 cod. proc. civ. né alla nullità della sentenza derivata dalla violazione del principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.
8. Il diritto all’indennità prevista dall’art. 1751 cod.proc. civ. è stato escluso dalla Corte territoriale perché il P., sul quale gravava il relativo onere probatorio, si era limitato a «richiamare in maniera generica l’elevato fatturato, indicativo, a suo dire, dell’elevato numero di contratti da lui acquisiti», senza fornire ulteriori precisazioni e senza formulare capitoli di prova «relativamente all’attività da lui svolta, alla clientela acquisita, all’aumento del fatturato ed al mantenimento dei clienti».
La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che fatto costitutivo del diritto all’indennità è la cessazione del rapporto prevista dal primo comma dell’art. 1751 cod. civ. unitamente alle condizioni previste dalle successive due articolazioni dello stesso comma, che devono ricorrere, a seguito della modifica attuata dall’art. 5 del d.lgs. n. 65/1999, in via cumulativa (Cass. n. 4708/2011; Cass. n. 20047/2016). L’agente è, quindi, tenuto a provare di avere procurato nuovi clienti o di avere sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti, nonché il vantaggio che il preponente continua a trarre dall’attività di promozione.
L’assenza di prova anche di uno solo degli elementi costitutivi del diritto impedisce l’accoglimento della domanda, sicché la censura inerente l’omessa considerazione della natura dei contratti di locazione finanziaria e del principio di diritto affermato da Cass. n. 24776/2013 (che ha ritenuto in re ipsa la protrazione del vantaggio in caso di contratti di durata stipulati grazie all’agente), non giustifica la cassazione della sentenza, posto che la Corte territoriale, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, ha escluso che fosse stata dimostrata la prima delle due condizioni richieste dal richiamato art. 1751 cod. civ. che già l’ammontare delle provvigioni liquidate nel corso del rapporto sarebbe stato sufficiente a provare il sensibile incremento dell’attività, prospetta non un errore di diritto, bensì l’omessa considerazione di risultanze istruttorie non apprezzate dal giudice d’appello, non idonea ad integrare neppure il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., giacché, come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, «l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti» (Cass. S.U. n. 8053/2014).
8.1. La Corte territoriale, inoltre, nel respingere la richiesta di esibizione, in quanto meramente esplorativa, non ha violato l’art. 1749 cod. civ. perché, come già affermato da questa Corte, allorquando l’agente agisce in giudizio per far valere diritti determinati o determinabili, la carenza di indicazione dei necessari dati quantitativi e qualitativi si può giustificare solo a condizione che la stessa derivi dall’inadempimento dell’obbligo di informazioni posto dalla legge a carico del preponente e, in primis, dell’obbligo contrattuale concernente l’invio degli estratti conto provvigionali. Si è, quindi, affermato che grava sulla «parte che agisce al fine di ottenere l’esibizione documentale dedurre e dimostrare l’esistenza dell’interesse ad agire, con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto (tra cui in primis l’invio o meno degli estratti conto provvigionalied il loro contenuto) e l’indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento è finalizzata l’istanza» (Cass. n. 19319/2016).
Ne discende che la richiesta di esibizione «dell’estratto dei libri contabili obbligatori, del libro cespiti dei contratti e delle fatture sui canoni riscossi per i contratti conclusi nella zona di competenza» formulata in un contesto nel quale, pacificamente, l’azienda aveva provveduto all’invio degli estratti conto provvigionali (posti a fondamento del primo motivo di ricorso), correttamente è stata ritenuta generica e priva del necessario carattere strumentale.
9. Infine anche il quarto motivo non può trovare accoglimento.
La domanda di risarcimento del danno è stata respinta dalla Corte milanese innanzitutto perché il giudice d’appello ha ritenuto condivisibili le valutazioni espresse al riguardo dal Tribunale.
E’, quindi, applicabile il principio enunciato dalle Sezioni di questa Corte se cui «ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine di ritenere assolto l’onere ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ. occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice, specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà eluso i suoi doveri motivazionali » (Cass. S.U. n. 7074/2017) o, si aggiunge, deciso la controversia sulla base di principi non conformi a diritto.
A tanto il ricorrente non ha provveduto, non essendo certo sufficiente ad assolvere l’onere di specificazione la nota n. 15 riportata in calce alla pag. 75.
9.1. Anche a prescindere da detto assorbente rilievo, va detto che la pronuncia qui gravata è sorretta da una pluralità di autonome rationes deciderteli, ciascuna idonea a sorreggere il decisum, perché la Corte territoriale ha anche ritenuto che il P. non avesse dimostrato né il danno né la sua derivazione causale dall’inadempimento addebitato al preponente.
Si tratta di un accertamento di fatto che esula dai limiti della violazione di legge denunciata nella rubrica del motivo in quanto il vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è, dunque, segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fra le più recenti, tra le tante, Cass. 12.9.2016 n. 17921; Cass. 11.1.2016 n. 195; Cass. 30.12.2015 n. 26110).
Il motivo, nella parte in cui censura la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare la documentazione prodotta (dalla quale emergeva l’immotivato rifiuto delle proposte contrattuali trasmesse) e per avere erroneamente valorizzato «l’assenza di consequenzialità delle fatture», sollecita, nella sostanza, un accertamento di merito, e prospetta un vizio della decisione gravata eventualmente denunciabile ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., ma alle condizioni e nei limiti posti dalla norma vigente ratione temporis, ai quali si è già fatto richiamo, limiti e condizioni che non risultano nella specie rispettati.
10. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000,00 per competenze professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
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