CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2021, n. 27637
Tributi – IVA – Emissione fattura per operazioni inesistenti al solo fine dello sconto in banca per un’anticipazione sul credito – Fattura non consegnata al cessionario o committente – Obbligo di versamento dell’imposta esposta in fattura – Sussiste – Esimente – Eliminazione degli effetti pregiudizievoli per l’Erario
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 18/04/12 del 29/05/2012, la Commissione tributaria regionale del Molise (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto da T. s.r.l. avverso la sentenza n. 29/02/11 della Commissione tributaria provinciale di Campobasso (di seguito CTP), che aveva a sua volta respinto i ricorsi riuniti proposti dalla società contribuente nei confronti di due avvisi di accertamento per IVA relativa agli anni d’imposta 2004 e 2005.
1.1. Come emerge dagli atti di causa, con gli avvisi di accertamento impugnati era stato contestato alla società contribuente il mancato versamento dell’IVA con riferimento a tre fatture relative ad operazioni inesistenti (due concernenti l’anno d’imposta 2004 e una concernente l’anno d’imposta 2005). Secondo la prospettazione dell’Amministrazione finanziaria la semplice emissione delle fatture comportava l’obbligo di versamento dell’IVA, indipendentemente dal fatto che le stesse fossero state utilizzate da T. s.r.l. unicamente per essere “scontate” in banca al fine di ottenere prestiti e non già per ragioni fiscali.
1.2. La CTR motivava il rigetto dell’appello della società contribuente osservando che: a) non era contestata l’emissione di fatture per operazioni totalmente o parzialmente inesistenti; b) l’emissione implicava l’obbligo di pagamento dell’IVA esposta, indipendentemente dalla finalità per cui dette fatture fossero state emesse; c) non avevano alcun rilievo la regolarità della contabilità della società appellante e l’esposizione in quella sede delle fatture contestate, rispondendo l’art. 21, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 ad altre finalità.
2. T. s.r.l. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, e depositava memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
4. Con ordinanza resa all’udienza del 21/11/2014 la causa veniva rimessa in pubblica udienza, non sussistendo i presupposti per la sua trattazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso T. s.r.l. deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 21, primo e settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.: la CTR non avrebbe considerato che, per effetto dell’emissione della fattura, il destinatario vanterebbe un credito nei confronti dell’Erario al quale corrisponde l’obbligo del cedente di versare l’imposta ivi indicata; ne conseguirebbe che, perché si renda operante il principio di cartolarità, occorre la consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione della fattura al cessionario o committente, non essendo sufficiente la semplice esistenza del documento fiscale, inidonea ad arrecare danno all’Amministrazione finanziaria.
2. Il motivo è fondato nei limiti di quanto appresso si dirà.
2.1. Ai sensi dell’art. 21, par. 1, lett. c), della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (sesta direttiva), l’IVA è dovuta da «chiunque indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in una altro documento che ne fa le veci». Tale disposizione è stata ribadita dall’art. 203 della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006.
2.2. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia della UE, il soggetto che indica l’IVA in una fattura ne è debitore indipendentemente dall’obbligo di versarla in ragione di un’operazione effettivamente imponibile (CGUE 18 giugno 2009, in causa C-566/07, Stadeco, punto 26 e giurisprudenza citata; da ultimo, CGUE 31 gennaio 2013, in causa C-643/11, Stroy trans EOOD, punti 29 e 42).
Il predetto obbligo mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale conseguente al diritto di detrazione, sicché gli Stati membri possono concedere la rettifica delle imposte indebitamente fatturate, ma unicamente nel caso in cui chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede (CGUE 13 dicembre 1989, in causa C-342/87, Genius Holding, punto 18; CGUE 11 aprile 2013, in causa C-138/12, Rusedespred, punto 25 e giurisprudenza ivi citata) o, comunque, anche in assenza di buona fede, di avere completamente eliminato in tempo utile il rischio di perdita di gettito fiscale (CGUE 6 novembre 2003, in cause C-78/02 e riunite, Karageorgou e altri, punto 50; CGUE 8 maggio 2019, in causa C-712/17, ENSA s.r.l.; CGUE 2 luglio 2020, in causa C-835/2018, SC Terracult s.r.I., punto 28). In ogni caso, ben possono gli Stati membri ritenere che la redazione di fatture fittizie con l’indicazione della relativa IVA integra un tentativo di frode fiscale, applicando in tal caso ammende e sanzioni (CGUE 19 settembre 2000, in causa C-454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel, punto 62).
2.3. Sul fronte del diritto interno bisogna porre l’attenzione sull’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale, nella versione applicabile ratione temporis, recita al primo comma: «Per ciascuna operazione imponibile il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio emette fattura, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili, o, ferma restando la sua responsabilità, assicura che la stessa sia emessa dal cessionario o dal committente, ovvero, per suo conto, da un terzo. (…) La fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione all’altra parte ovvero all’atto della sua trasmissione per via elettronica».
2.3.1. L’art. 21, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, invece, sempre nella versione applicabile ratione temporis, così stabilisce: «Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura».
2.4. La giurisprudenza della S.C. (cfr., da ultimo ed ex multis, Cass. n. 10974 del 18/04/2019; Cass. n. 22963 del 26/09/2018; Cass. n. 10939 del 27/05/2015; Cass. n. 21110 del 13/10/2011), recependo l’orientamento della Corte di giustizia, ha affermato che il fatto stesso dell’emissione di una fattura per operazioni inesistenti implichi l’obbligo di pagamento della relativa IVA, fatti salvi l’esistenza della buona fede (che, ovviamente, non può mai sussistere in caso di operazioni oggettivamente inesistenti: cfr. Cass. n. 18118 del 14/09/2016) ovvero l’obbligo di eliminare il pericolo di perdita di gettito per l’Erario.
2.5. Con specifico riferimento alla presente fattispecie, peraltro, si pone il problema di stabilire se la fattura, pacificamente utilizzata al fine di ottenere un finanziamento bancario, possa dirsi effettivamente emessa ai sensi dell’art. 21, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972.
2.5.1. Invero, secondo un orientamento della S.C. «In materia di fatturazione per operazioni inesistenti, l’obbligazione tributaria prevista dall’art. 21, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, opera a carico dell’emittente dal momento in cui la fattura da lui formata sia emessa nei modi previsti dal comma 1 del medesimo articolo, cioè sia consegnata o spedita alla controparte. Ne consegue che l’emissione si distingue dalla formazione materiale del documento, per coincidere con lo spossessamento a favore del destinatario, e tale evento si verifica: a) con la spedizione o la consegna al destinatario, se la fattura è consegnata o spedita nei modi tradizionali; b) con la sua compilazione, se la sua emissione sia affidata al cliente destinatario, che dunque ne entra contestualmente in possesso; c) con la trasmissione al cliente da parte del terzo, qualora a quest’ultimo sia affidata la formazione del documento» (Cass. n. 27684 del 11/12/2013; in senso conforme si veda anche Cass. n. 31060 del 21/12/2017).
2.5.2. A tale orientamento si affianca altro orientamento (Cass. n. 10939 del 27/05/2015), parzialmente difforme, che ritiene la fattispecie di cui all’art. 21, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 avulsa dalla previsione generale del primo comma, richiedente la consegna o la spedizione formale della fattura al destinatario.
2.5.3. Secondo tale orientamento, la fattispecie tributaria di cui al settimo comma fa applicazione del “principio di cartolarità” e ricollega l’insorgenza del rapporto impositivo nei confronti del “soggetto passivo” alla semplice “emissione” del documento contabile (completo in tutto i suoi elementi formali), in quanto suscettibile di essere utilizzato a fini fiscali – o ad altri fini giuridicamente rilevanti – ove non sia stato tempestivamente eliminato e sottratto al commercio giuridico, attraverso l’annullamento della fattura – emessa per un’operazione totalmente inesistente – ovvero la formale rettifica dei dati riportati nella fattura – emessa per operazione parzialmente inesistente – da attuare secondo la procedura di variazione, disciplinata dall’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, eseguita contestualmente dalle parti mediante annotazioni inverse nei rispettivi registri contabili, in modo da consentire di portare ad emersione la correzione dell’errore ai fini della eventuale, successiva, verifica da parte dell’Ufficio finanziario (tracciabilità delle fatturazioni).
2.5.4. In questa prospettiva, la fattispecie individuata dall’art. 21, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 è, dunque, del tutto speciale ed esula dalla applicazione del regime ordinario dell’IVA (cfr. Cass. n. 7289 del 29/05/2001; Cass. n. 22882 del 25/10/2006; Cass. n. 1565 del 27/01/2014): il legislatore, in caso di “operazione inesistente”, ha, infatti, inteso privilegiare la rappresentazione cartolare del rapporto rispetto alla effettiva irrealtà della operazione sottostante, assoggettando comunque ad imposizione detto rapporto, ma tale previsione normativa opera soltanto dal lato del debito d’imposta gravante sull’emittente, quale soggetto passivo nei confronti dell’Erario; mentre dal lato del cessionario/destinatario della prestazione di servizi, in difetto di alcuna disciplina normativa speciale, rimane confermato il meccanismo ordinario dell’IVA, per cui, in difetto di verificazione del presupposto impositivo (attesa la inesistenza di una reale cessione di beni/prestazioni di servizi in cambio di corrispettivo), alcun diritto alla detrazione/rimborso può sorgere dall’utilizzo di una fattura passiva che è stata emessa per una operazione che in realtà non esiste (così, sostanzialmente, Cass. n. 25997 del 10/12/2014).
2.5.5. In buona sostanza, vale il principio di diritto per il quale in tema di IVA, l’art. 21, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, ai sensi del quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene considerato “fuori conto” e la relativa obbligazione “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, senza che possa operare, per tale fatto, il meccanismo di compensazione, tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 del d.P.R. citato, e ciò anche in considerazione della rilevanza penale della condotta consistente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti (cfr. Cass. n. 1565 del 27/01/2014; ma si veda anche Cass. 10939 del 2015, cit.; si vedano anche Cass. n. 23551 del 05/11/2014; Cass. n. 17774 del 06/07/2018).
2.5.6. Ciò risponde pienamente al principio di neutralità dell’IVA, in quanto tende ad evitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Ed è pienamente conforme, altresì, alla previsione dell’art. 21, § 1, lett. c), della sesta direttiva, per l’applicazione del quale è sufficiente la mera indicazione dell’IVA in fattura.
2.5.7. Peraltro, il soggetto che emette fattura per operazioni inesistenti deve attivarsi, con la procedura di variazione o in altro modo, per eliminare le conseguenze pregiudizievoli del proprio comportamento, pena la debenza dell’IVA.
2.6. Osserva il collegio che, indipendentemente da ogni sganciamento della previsione del settimo comma da quella del primo comma, operazione interpretativa che pone delicati problemi di ordine sistematico, la fattura presentata in banca al fine di ottenere un’anticipazione (cd. sconto improprio: cfr. Cass. n. 9848 del 15/06/2012) va considerata senz’altro emessa ai sensi dell’art. 21, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972.
2.6.1. Se è vero, infatti, che la fattura viene formalmente emessa con la spedizione o consegna al destinatario, è altrettanto vero che la ratio della disposizione viene integrata anche con lo spossessamento non già in favore del destinatario, ma dell’ente creditizio a seguito della presentazione del documento contabile per ottenere il finanziamento.
2.6.2. Invero, la banca anticipa l’importo del credito vantato dal cliente, rappresentato dalla fattura, a fronte della concessione di un mandato in rem propriam a riscuotere alla scadenza l’importo allo stesso dovuto (cfr. Cass. n. 23081 del 30/10/2014), sicché non è dubbio che la fattura presentata in banca viene messa in circolazione, potendo essere utilizzata dalla banca al fine di riscuotere il credito, anche indipendentemente dalla volontà dell’emittente.
2.6.3. Ne deriva che l’obbligo di pagamento dell’IVA da parte dell’emittente, che ha consapevolmente emesso fatture per operazioni inesistenti presentandole in banca a fini di finanziamento (e che, quindi, non è in buona fede), può essere escluso unicamente laddove questi provi – così come chiesto dalla Corte di giustizia della UE – di avere eliminato ogni possibile conseguenza pregiudizievole derivante all’Erario dall’utilizzazione di dette fatture (ad es., fornendo la prova che le fatture siano state annullate o rettificate con la procedura di variazione di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 ovvero che la banca non ne abbia mai chiesto e non possa più chiederne il pagamento al destinatario).
2.7. Nel caso di specie, la CTR si è limitata a considerare la sussistenza dell’obbligo di versamento dell’IVA da parte dell’emittente in ragione della semplice emissione delle fatture, senza indagare sull’ulteriore aspetto dell’eliminazione, da parte dell’emittente, degli effetti pregiudizievoli riconnessi alla emissione di fatture per operazioni inesistenti.
2.8. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto al quale dovrà attenersi il giudice del rinvio: «La fattura concernente operazioni inesistenti e scontata in banca al fine di ottenere un’anticipazione sul credito rappresentato dal documento contabile deve ritenersi messa in circolazione, essendosi verificato lo spossessamento in favore dell’ente creditizio (che può incassare il credito in nome e per conto dell’emittente, ma anche nel proprio interesse). Tale fattura è, dunque, emessa ai sensi dell’art. 21, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, indipendentemente dalla formale consegna o spedizione alla controparte e l’emittente, la cui buona fede va senz’altro esclusa, è tenuto al versamento dell’IVA relativa ai sensi del settimo comma della citata disposizione, salva la prova dell’eliminazione degli effetti pregiudizievoli per l’Erario derivanti dalla utilizzazione del documento contabile».
3. Con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in quanto la CTR avrebbe omesso di considerare la fattura n. 2/04, regolarmente emessa e pagata, la quale, sommata alla fattura n. 1/04, risulterebbe pari all’importo oggetto di finanziamento bancario.
4. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
4.1. La CTR ha considerato unicamente la fattura n. 1/04 e ha ritenuto che quest’ultima sia stata emessa per un’operazione parzialmente inesistente, in quanto il suo importo reale è pari alla metà dell’importo effettivamente fatturato: circostanza, quest’ultima, assunta come incontestata.
4.2. La società contribuente afferma che per l’altra metà dell’importo sarebbe stata emessa altra fattura (la n. 2/04) a completamento dell’importo indicato in banca ai fini dell’anticipazione e che tale ultima fattura sarebbe stata regolarmente pagata, sicché l’intera operazione non potrebbe dirsi inesistente.
4.3. Il motivo pecca, in primo luogo, di specificità, non essendo stata riprodotta né allegata la fattura n. 2/04 di cui si fa menzione.
4.4. In secondo luogo, la CTR ha considerato una sola fattura (la n. 1/04) dell’importo di euro 44.518,90, valutando la stessa – alla luce della documentazione prodotta – come parzialmente inesistente (l’imponibile effettivo sarebbe di euro 22.253,80).
4.4.1. L’eventuale esistenza – ritenuta dalla società contribuente – di altra fattura (la n. 2/04), regolarmente pagata, per l’importo totale del contratto di appalto non esclude in alcun modo la sovrafatturazione di cui alla fattura n. 1/04, oggetto del rilievo dell’Agenzia delle entrate, confermato in appello.
4.4.2. In altri termini, la somma degli importi delle due fatture è comunque superiore all’importo del contratto di appalto per le quali le stesse sono state emesse, sicché la esistenza di una fattura (la n. 1/04) emessa per operazioni parzialmente inesistenti non è affatto esclusa da quanto allegato dalla società contribuente.
5. In conclusione, va accolto, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo. La sentenza impugnata va cassata in parte qua e rinviata alla CTR del Molise, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Molise, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Si dà atto che, ai sensi dell’art. 132, terzo comma, cod. proc. civ., la presente sentenza è sottoscritta unicamente dal Presidente del Collegio per impedimento del Consigliere estensore a recarsi nella città di Roma in ragione dell’emergenza sanitaria Covid-19.
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