CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2022, n. 29831

Lavoro – CCNL Distribuzione Cooperativa – Contratto integrativo aziendale – Sopravvenuta carenza della causa – Nullità – Retribuzione aggiuntiva festività – Credito – Prescrizione – Decorrenza

Fatti di causa

1. Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 25 del 2018, ha accolto le domande dei lavoratori in epigrafe indicati, dipendenti della U.F. presso vari punti vendita, dichiarando il loro diritto a percepire il trattamento economico “pari alla quota giornaliera della retribuzione di fatto” previsto, con riferimento alla festività del 4 novembre, dai CCNL Distribuzione Cooperativa vigenti ratione temporis sino all’anno 2012; ha condannato la società datrice di lavoro al pagamento dei relativi importi dal 2007, aderendo alla giurisprudenza secondo la quale, a seguito della entrata in vigore della legge Fornero, i termini prescrizionali non decorrevano più in costanza di rapporto non essendo più prevista, di fatto, se non in casi residuali, la tutela reale reintegratoria.

2. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza n. 285 del 2019, ha confermato la pronuncia di prime cure respingendo il gravame di U.F. soc. coop.

3. A fondamento della decisione la Corte distrettuale ha rilevato che:

a) il CCNL del 1985 stabiliva un orario di lavoro di 40 ore settimanali e, nel caso di coincidenza di una delle festività infrasettimanali o nazionali con la domenica «in aggiunta alla retribuzione mensile […] un ulteriore importo pari alla quota giornaliera della retribuzione globale di fatto […]»; prevedeva, altresì, che «tale trattamento ( id est: l’ulteriore importo pari alla quota giornaliera della retribuzione globale di fatto» (fosse) applicato anche alla festività […] del 4 novembre»; b) U., in data 18.7.1985, sottoscriveva con le organizzazioni sindacali (le stesse firmatarie del contratto nazionale) un contratto integrativo aziendale che prevedeva la riduzione dell’orario di lavoro a 38 ore settimanali a partire dall’1.1.1986 (e poi a 37 dall’anno successivo) a fronte della rinuncia, da parte dei lavoratori, a decorrere dalla prima riduzione dell’orario, tra l’altro, alla retribuzione aggiuntiva della giornata del 4 novembre; c) con decorrenza 1.1.1990, il contratto nazionale introduceva la riduzione dell’orario di lavoro a 38 ore settimanali, conservando, nel contempo, la disposizione relativa alla retribuzione aggiuntiva per la giornata del 4 novembre; tale assetto negoziale restava così fissato anche con i contratti nazionali successivi; d) la contrattazione integrativa aziendale di U. restava invariata fino al contratto del 3.1.2013 che espressamente escludeva, a decorrere dal 2013, il pagamento della festività del 4 novembre; e) la riduzione dell’orario di lavoro a fronte della rinuncia alla retribuzione aggiuntiva per la giornata del 4 novembre (all’epoca della sottoscrizione del contratto aziendale) integrava la causa dell’accordo integrativo, come reso evidente dal chiaro dato testuale (all’obiettivo della riduzione orario «concorreranno») e dalla previsione dell’assorbimento delle «quote di riduzione oraria e [de]gli elementi che contribuiscono a determinarla» nel caso, poi effettivamente datosi, che «norma di legge o di contratto dovessero disporre riduzioni di orario a qualsiasi titolo»; f) l’evoluzione della contrattazione nazionale determinava, pertanto, il venir meno della causa dell’accordo integrativo aziendale, privando il sacrificio accettato dai lavoratori (id est: rinuncia alla retribuzione aggiuntiva per il 4 novembre) della contropartita come pattuita, cioè del corrispettivo necessario individuato in contratto dalle parti collettive; g) l’art. 18 legge n. 300 del 1970, in vigore a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 92 del 2012, diversamente da quello originario, prevede la tutela reintegratoria solo in alcune limitate ipotesi di invalidità del recesso datoriale (commi 1, 4 e 7) mentre per la generalità dei casi è prevista solo una tutela indennitaria (commi 5 e 6) con la conseguenza che, nel corso del rapporto il lavoratore viene a trovarsi in una condizione psicologica di metus che potrebbe indurlo a non esercitare il proprio diritto per il timore del licenziamento ovvero per la incertezza della tutela applicabile; h) a nulla rilevava l’eccezione di prescrizione sollevata, quanto meno, fino al luglio 2007 (da relazionare alla data di entrata in vigore della legge Fornero del 18.7.2012) perché comunque i crediti azionati riguardavano trattamenti economici per la festività del 4 Novembre dall’anno 2007 al 2012; i) le domande dei lavoratori erano dunque fondate.

4. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione, l’U.F. soc. cooperativa, affidato a due motivi.

5. Hanno resistito, con unico controricorso, M.I., F.C. e S.C.; sono rimasti intimati tutti gli altri lavoratori.

6. Il PG ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

7. Le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis. 1 cod. proc. civ.

Ragioni della decisione

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ., è dedotta la violazione degli arti. 1321, 1322, 1325, 1362, 1372, 1418, 1467 e 2077 cod. civ.

3. La critica investe l’affermazione secondo cui l’evoluzione della contrattazione collettiva avrebbe determinato il venir meno della causa del negozio (id est: accordo integrativo aziendale del 18.7.1985) nonché l’affermazione secondo cui «il venir meno, per effetto dell’evoluzione della contrattazione nazionale, di quella pattuita corrispettività, implica necessariamente l’abrogazione per incompatibilità della disposizione del contratto aziendale, salva la facoltà dei contraenti il contratto di prossimità […] di ridisciplinare la materia, sulla base di un nuovo accordo (come poi in effetti essi hanno fatto) nel 2013»; secondo la U., e diversamente da quanto argomentato nella decisione impugnata, la volontà delle parti collettive di non retribuire più la giornata del 4 novembre, fino a tutto il 2013, avrebbe trovato conferma nei successivi accordi (verbale di intesa del 18.11.1985, del 4.12.1986, del 19.12.1986) stipulati dalle parti medesime; né assumeva significato la condotta datoriale, pure valorizzata dai lavoratori, secondo cui ad «alcuni [..] colleghi» il trattamento per il «4 Novembre» continuava ad essere erogato fino alla soppressione disposta dal nuovo contratto Collettivo Integrativo Aziendale dall’1.1.2013; per la parte ricorrente, la pronuncia della Corte di appello avrebbe violato i criteri di interpretazione della volontà contrattuale, ritenendo superato l’accordo integrativo da altra fonte contrattuale (quella collettiva nazionale) ed incompatibile con quest’ultima; si assume che la Corte territoriale non avrebbe considerato che un contratto non può essere «abrogato», tanto più per una singola clausola, ma solo complessivamente risolto o modificato dalle parti, per mutuo consenso o per cause stabilite dalla legge; la sentenza impugnata avrebbe ritenuto modificata la disciplina convenuta pattiziamente senza alcuna richiesta da parte delle 00.SS. ed aveva, in definitiva, erroneamente risolto il contrasto tra le diverse fonti collettive.

4. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 1 cpc, in relazione all’art. 2948 n. 4 e n. 5 cpc, in ordine alla eccezione di prescrizione, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale che, in costanza di rapporto di lavoro astrattamente sottoposto alla tutela reale in caso di licenziamento illegittimo ex art. 18 legge n. 300 del 1970, non decorresse la prescrizione dei crediti retributivi astrattamente vantati dal lavoratore.

5. Il primo motivo presenta profili di improcedibilità, di inammissibilità e di infondatezza.

6. E’ improcedibile perché non sono stati depositati integralmente i contratti collettivi nazionali di settore del 1984, del 1987 e del 1995, ma solo un loro stralcio riguardante rispettivamente gli artt. 20, 41 e 81, da cui evincere che sarebbe venuta meno la causa del negozio dell’accordo integrativo aziendale del 18.7.1985.

7. Nel giudizio di cassazione, infatti, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369, comma 2, n. 4, c. p. c. – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c. c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (Cass. n 6255/2019).

8. E’, poi, inammissibile, per difetto di autosufficienza e di specificità, perché non sono stati richiamati (e soprattutto depositati) tutti i contratti collettivi relativi al periodo dedotto in giudizio (in particolare i CCNL 1991, 1999, 2003, 2008 e 2011) il cui esame comunque si rendeva necessario, relativamente agli articoli aventi ad oggetto i temi della presente controversia, trattando essi la problematica di diritto sottoposta a questa Corte.

9. E’, infine, infondato in quanto la gravata sentenza si pone in linea con un analogo specifico precedente di legittimità (Cass. n. 26608/2019), che ha affrontato la medesima questione proprio relativamente all’odierna ricorrente.

10. In quella sede è stato condivisibilmente affermato che «il concorso tra la disciplina nazionale e quella aziendale va risolto […] accertando l’effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva» (ex plurimis, Cass. nr. 19396 del 2014) e che l’interpretazione dei contratti collettivi diversi da quelli nazionali -questi ultimi solo oggetto di esegesi diretta da parte di questa Corte- costituisce un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione. In questa prospettiva si è evidenziato che, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la puntuale indicazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne sia discostato; è stato, altresì, precisato che l’interpretazione prescelta dal giudice di merito, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che sia l’unica possibile, o la migliore in astratto, e che, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi (in sede di legittimità) del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. nr. 19044 del 2010; Cass. nr. 15604 del 2007; in motivazione; Cass. nr. 4178 del 2007).

11. Seguendo le indicate coordinate e venendo alla fattispecie di causa, osserva questo Collegio come i giudici di merito abbiano valutato gli accordi collettivi, nazionale ed aziendale, e reso di quest’ultimo un’esegesi plausibile, e perciò non sindacabile da questa Corte; l’individuazione della comune volontà delle parti è transitata, invero, attraverso la ricerca dello scopo pratico che il contratto integrativo era diretto a realizzare (cd. Causa in concreto); la successiva emersione di uno squilibrio del raggiunto assetto dei contrapposti interessi, per essere venuta meno la corrispettività voluta tra le parti, si è prestata, in modo ragionevole, ad essere interpretata come il sintomo di sopravvenuta carenza della causa medesima, con ogni conseguenza in termini di parziale ed automatica invalidità del negozio.

12. Anche il secondo motivo è infondato.

13. La gravata sentenza è conforme al recentissimo arresto giurisprudenziale di questa Corte (Cass. n. 26246/2022) ove è stato affermato il seguente principio di diritto: “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c. c., dalla cessazione del rapporto di lavoro“.

14. L’assunto della Corte distrettuale, secondo cui, nella fattispecie, il termine di prescrizione dei crediti dei lavoratori non sarebbe decorso in costanza di rapporto di lavoro e secondo cui, comunque, i suddetti crediti potevano essere rivendicati perché riguardanti il trattamento economico relativo alle festività del 4 novembre degli anni dal 2007 al 2012, mentre sarebbero stati prescritti solo quelli anteriori al luglio del 2007, essendo la legge n. 92/2012 entrata in vigore in data 18.7.2012, è pienamente condivisibile per le autorevoli, dotte ed esaustive argomentazioni svolte nel precedente giurisprudenziale di legittimità sopra indicato e che qui devono ritenersi integralmente richiamate e trascritte.

15. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

16. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.

17. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore dei controricorrenti dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.