CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 settebre 2018, n. 22179
Rapporto di lavoro – Distacco – Trasferimento – Nuova proposta contrattuale necessitante di specifica accettazione – Risoluzione del rapporto di lavoro con la distaccante – Apposita manifestazione negoziale di volontà
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo le ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e degli artt. 20, 27 e 30, D.Lgs. n. 276 del 2003.
2. Hanno rilevato come, contrariamente alla regola di diritto enunciata dalla Corte territoriale, il rapporto di lavoro con la distaccante dovesse considerarsi risolto non ipso iure, per effetto della sentenza emessa ai sensi dell’art. 30, comma 4 bis, D.Igs. n. 276 del 2003, bensì a causa della costituzione del rapporto di lavoro con la distaccataria.
3. Col secondo motivo le ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1326, 1334 c.c., degli artt. 612, 324 c.p.c. e dell’art. 2908 c.c.
4. Hanno argomentato come l’atto negoziale di costituzione del rapporto in capo alla distaccataria dovesse incontrare la volontà delle lavoratrici e come, nel caso di specie, il trasferimento delle stesse presso la sede in provincia di Cosenza dovesse considerarsi quale nuova proposta contrattuale necessitante di specifica accettazione, o al più quale atto unilaterale del datore con efficacia a decorrere dalla data di ricevimento da parte delle destinatarie.
5. Hanno ancora rilevato come le comunicazioni di A. s.p.a. fossero pervenute alle lavoratrici dopo le comunicazioni della società distaccante di cessazione del rapporto, dovendo di conseguenza individuarsi in queste ultime la causa di risoluzione del rapporto, non avendo peraltro la sentenza pronunciata tra le lavoratrici e A. s.p.a. alcun effetto nei confronti di A.C. s.p.a.
6. Col terzo motivo le ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e degli artt. 1 e 3, L. n. 604 del 1966.
7. Secondo le ricorrenti, la sentenza impugnata avrebbe violato il principio di tassatività degli atti di risoluzione del rapporto di lavoro, attribuendo all’azione in giudizio nei confronti della distaccataria, l’effetto di estinguere il rapporto di lavoro con la distaccante.
8. La Corte territoriale avrebbe anche male interpretato la comunicazione inviata da A.C. s.p.a. alle lavoratrici, così violando l’art. 1362 c.c..
Tale comunicazione considerava risolti i rapporti lavoro per comportamento concludente delle lavoratrici ma l’inesistenza di una volontà delle stesse di risolvere il rapporto con la distaccante doveva condurre a qualificare quelle comunicazioni come atti di licenziamento.
9. Col quarto motivo le ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, L. n. 604 del 1966 e dell’art. 15, L. n. 300 del 1970.
10. Hanno sostenuto come la Corte avesse erroneamente escluso l’illegittimità dei licenziamenti sebbene intimati senza giusta causa o giustificato motivo ed avesse errato nell’escludere un intento ritorsivo nelle comunicazioni di A.C. s.p.a.. Queste ultime, infatti, non erano il logico corollario dell’azione giudiziaria delle lavoratrici nei confronti della distaccataria bensì conseguenza del comportamento ritorsivo di quest’ultima volto a cancellare gli effetti della sentenza dichiarativa dell’illegittimità del distacco coartando la volontà delle lavoratrici attraverso i trasferimenti in una sede lontana.
11. Col quinto motivo le ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, dell’art. 2094 c.c. e degli artt. 1 e 3, L. n. 604 del 1966.
12. Secondo le ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe errato nell’individuare un unico rapporto di lavoro, che potrebbe essere configurato solo nel periodo in cui il distacco ha avuto esecuzione, ma non prima e dopo e non in ipotesi di rapporto di lavoro part time, come quello della sig.ra B., non potendosi escludere la coesistenza dei rapporti con distaccante e distaccatario.
13. I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione, non possono trovare accoglimento.
14. La statuizione contenuta nella sentenza impugnata sulla unicità del rapporto di lavoro delle ricorrenti come facente capo unicamente alla distaccataria, A. s.p.a., per effetto della sentenza n 7156 del 2014 emessa su ricorso delle medesime lavoratrici, ai sensi dell’art. 30, comma 4 bis, D.Lga. n. 276 del 2003, trova riscontro nella giurisprudenza unanime formatasi in materia di interposizione di manodopera, a cui vanno assimilate le ipotesi di somministrazione irregolare e di distacco illegittimo.
15. A proposito della “dissoluzione delle combinazioni negoziali poste in essere…attraverso l’intermediazione vietata e la sostituzione dell’imprenditore beneficiario all’intermediario”, questa Corte ha precisato come essa costituisca “concreta espressione nella materia in oggetto della generale regola giuslavoristica secondo la quale in relazione ad identiche – anche per quanto attiene ai periodi temporali – prestazioni lavorative deve essere esclusa la configurabilità di due diversi datori di lavoro dovendo considerarsi come parte datoriale solo colui su cui in concreto fa carico il rischio economico dell’impresa nonché l’organizzazione produttiva nella quale è di fatto inserito con carattere di subordinazione il lavoratore, e l’interesse soddisfatto in concreto dalle prestazioni di quest’ultimo, con la conseguenza che chi utilizza dette prestazioni deve adempiere tutte le obbligazioni a qualsiasi titolo nascenti dal rapporto di lavoro”.
16. La medesima pronuncia ha sottolineato come tale principio di carattere generale non abbia perduto consistenza giuridica a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003 che, pur avendo “espressamente riconosciuto con la somministrazione del lavoro (art. 20 D.Lgs. cit.) – ed in certa misura anche con il distacco (art. 30 D.Lgs. cit.) – una dissociazione fra titolare e utilizzatore del rapporto lavorativo con una consequenziale disarticolazione e regolamentazione tra i due degli obblighi correlati alla prestazione lavorativa … si configura anche nell’attuale assetto normativo come una eccezione, non suscettibile né di applicazione analogica né di interpretazione estensiva, sicché allorquando si fuoriesca dai rigidi schemi voluti del legislatore per la suddetta disarticolazione si finisce per rientrare in forme illecite di somministrazione di lavoro come avviene in ipotesi di “somministrazione irregolare” ex art. 27 cit., o di comando disposto in violazione di tutto quanto prescritto dall’art. 30 cit.; fattispecie che, giusta quanto sostenuto in dottrina, continuano ad essere assoggettate a quei principi enunciati in giurisprudenza in tema di divieto di intermediazione di manodopera”, (Cass. n. 22910 del 2006).
17. Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 14897 del 2002), pronunciandosi sul versante processuale e negando la configurabilità di un litisconsorzio necessario nel processo di accertamento dell’interposizione vietata, hanno osservato come “La struttura del rapporto di lavoro subordinato, quale risulta dalla normativa sostanziale (art. 2094 c.c.), è bilaterale e non plurilaterale …. Il lavoratore che, agendo in giudizio, afferma l’esistenza di un rapporto con un certo datore di lavoro e ne nega uno diverso con altra persona, non deduce in giudizio alcun rapporto plurisoggettivo né alcuna situazione di contitolarità (vedi Cass., S.U. n. 2517 del 1997) ma tende ad un’utilità (il petitum) ottenibile rivolgendosi ad una sola persona, ossia al datore vero.
L’accertamento negativo del rapporto fittizio, con il datore di lavoro interposto, rapporto che per lo più è frutto di accorso simulatorio fra interponente e interposto, costituisce oggetto di questione pregiudiziale, conosciuta dal Giudice in via soltanto incidentale”, (cfr. anche Cass. n. 17643 del 2009).
18. Si è ulteriormente precisato (Cass., S.U., n. 2517 del 1997) che “per effetto dell’utilizzazione delle prestazioni lavorative da parte dell’imprenditore interponente, il più volte citato quinto comma dell’art. 1 L. n. 1369 del 1960 sostituisce lo stesso interponente all’interposto nel rapporto di lavoro. Il momento d’inizio di detta utilizzazione coincide così con quello di costituzione del rapporto e segna la contemporanea fine del rapporto tra lavoratore e soggetto interposto. Non è possibile ritenere la coesistenza, nel medesimo tempo, di due rapporti di lavoro subordinato, con l’interponente e con l’interposto; coesistenza che assoggetterebbe il prestatore, ai sensi dell’art. 2094 c.c., al potere di direzione di due soggetti distinti, il cui eventuale esercizio contraddittorio costringerebbe di necessità la persona assoggettata a versare nell’illecito. È la contraddizione logica, in altre parole, a non consentire la detta coesistenza”. E si è aggiunto come “Il nuovo rapporto – da intendersi di regola a tempo indeterminato, ossia non limitato al periodo di effettiva utilizzazione delle prestazioni del lavoratore (Cass. n. 4551 del 1990; Cass. n. 3289 del 1990; Cass. n. 1144 del 1988) – si sostituisce così a quello precedente, oppure solo apparente e in realtà mai esistito, con l’assuntore – interposto: ne consegue necessariamente che questi rimane privo dei poteri propri del datore di lavoro e in particolare del potere di licenziare”.
19. L’effetto di sostituzione ex lege dell’effettivo utilizzatore delle prestazioni al datore di lavoro interposto deve ritenersi operante in relazione a tutti i fenomeni interpositori, quindi nelle ipotesi di somministrazione avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), D.Lgs. n. 276 del 2003 (applicabile ratione temporis) e nelle ipotesi di distacco in violazione del comma 1, dell’art. 30 di cui al medesimo decreto legislativo.
Come peraltro è reso evidente dalla disciplina dettata dagli artt. 27, comma 1, e 30, comma 4 bis, D.Lgs. n. 276 del 2003 che consente ai lavoratori di agire direttamente nei confronti dell’utilizzatore della prestazione, per chiedere la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.
20. Quindi, in presenza di fenomeni di interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative si sostituisce all’interposto nell’unico rapporto di lavoro, cosicché l’eventuale licenziamento intimato da quest’ultimo deve considerarsi giuridicamente inesistente (cfr. Cass., SU, n. 2517 del 1997; Cass. n. 5152 del 1998; Cass. n. 5995 del 1998).
21. Le deduzioni delle ricorrenti che: negano l’effetto estintivo ipso iure del loro rapporto con la società distaccante, prodotto dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 7156 del 2014; sostengono la necessità, ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro con la distaccante, di una apposita manifestazione negoziale di volontà; affermano la possibile coesistenza di due rapporti di lavoro, in capo alla distaccataria e alla distaccante, sia al di fuori del periodo in cui il distacco ha avuto esecuzione e sia, in caso di part time, in costanza del distacco medesimo; in quanto prive di un substrato logico e giuridico e in totale contrasto con i principi enunciati dalla costante giurisprudenza di questa Corte, e che si intende confermare, non possono trovare accoglimento.
22. Infondato è anche il rilievo di violazione del litisconsorzio necessario avendo questa Corte più volte affermato, a proposito di somministrazione irregolare, come “la previsione della possibilità riconosciuta al lavoratore di adire l’autorità giudiziaria per ottenere la costituzione del rapporto di lavoro anche e solamente con l’utilizzatore, di cui al citato art. 27, comma 1, è in linea con l’orientamento consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla L. n. 1369 del 1960, che escludeva la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra utilizzatore della prestazione e soggetto interposto (Cass. n. 15610 del 2011; Cass. n. 11363 del 2004; Cass., S.U., n. 14897 del 2002).
23. Al rigetto del ricorso consegue la condanna delle ricorrenti alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
24. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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