CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 aprile 2018, n. 9224
Provvedimento di assegnazione presso un cantiere – Esercizio datoriale dello ius variandi – Interpretazione dei contratti e degli altri atti di autonomia privata riservata alla esclusiva competenza del giudice del merito – Sindacato di legittimità limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale
Fatti di causa
1.Con la sentenza n. 263/2015 la Corte di appello di Caltanissetta, in riforma della pronuncia emessa il 10.10.2010 dal Tribunale di Gela, ha respinto le domande, proposte da F.S.D. e L.D.S., volte ad ottenere la declaratoria di nullità/inefficacia o illegittimità del provvedimento con cui erano stati assegnati presso un cantiere in Algeria e del conseguente licenziamento adottato il 14.1.2011 e 19.1.2011: detto provvedimento di assegnazione, da parte della S. srl, in una sede diversa da quella in precedenza attribuita, era stato adottato a seguito della decisione n. 502/2010, emessa dallo stesso Tribunale di Gela, con la quale era stata dichiarata la illegittimità di un pregresso licenziamento collettivo, con conseguente ordine di reintegra nel posto di lavoro, adottato nei confronti dei predetti dipendenti dalla medesima società.
2.A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno rilevato che: 1) dalle note datoriali del 14.1.2011 e del 19.1.2011 si evinceva con chiarezza che i provvedimenti di recesso erano stati intimati ai sensi dell’art. 18, comma quinto, della legge n. 300/1970 perché i lavoratori non avevano ripreso servizio nei termini di legge;
2) il ripristino della posizione di lavoro del dipendente reintegrato doveva sì avvenire mediante il reinserimento nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, ma era salva la possibilità per il datore di lavoro di esercitare lo ius variandi mediante il trasferimento del lavoratore presso un’altra unità produttiva, sussistendo sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustifichino il trasferimento medesimo; 3) nel caso in esame la società aveva motivato la scelta datoriale di assegnare i lavoratori al cantiere in Algeria stante la soppressione del reparto di carpenteria metallica ove erano addetti; 4) non era pertinente il riferimento all’art. 16 del CCNL di settore, circa la mancanza di preavviso, della preventiva comunicazione alle organizzazioni sindacali e delle considerazioni delle ragioni dei lavoratori, perché detta disposizione riguardava la legittimità dei trasferimenti mentre la fattispecie in esame concerneva la mancata ripresa del servizio del lavoratore illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato; 5) neanche il mancato espletamento delle pratiche di rilascio del passaporto avrebbe potuto incidere sulla legittimità del licenziamento sia perché tale vizio non era stato dedotto nella lettera con cui era stato impugnato il provvedimento sia perché i lavoratori comunque si sarebbero dovuti presentare nella sede datoriale, anche nella indisponibilità di detti documenti, al fine di offrire la loro prestazione di lavoro; 6) era stato rispettato il termine libero di trenta giorni per adottare i licenziamenti rispetto alla lettera datoriale di invito alla ripresa del servizio.
3.Avverso tale sentenza F.S.D. e L.D.S. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, illustrato con memoria.
4.La S. srl ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 legge n. 604/1966, in rapporto all’art. 7 della legge n. 300/1970, perché erroneamente la Corte distrettuale non aveva qualificato il licenziamento adottato come recesso ontologicamente disciplinare, per giusta causa come, del resto, ritenuto dalla stessa impresa nella documentazione in atti.
2.Con il secondo motivo, connesso al primo, si censura, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc (error in procedendo), il mancato esame di elementi dedotti e decisivi nonché la mancata motivazione e la nullità della sentenza ex art. 112 cpc sempre in ordine alla qualificazione del licenziamento.
3.Con il terzo motivo i lavoratori, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cc, in rapporto alla legge 3 ottobre 1987 n. 398 (testo ante modifica ex art. 18 D.Igs n. 151/2015) e dell’art. 16 del CCNL metalmeccanici privati e dell’art. 33 legge n. 104/1992 sull’assistenza agli invalidi, per non avere valutato la Corte territoriale la illegittimità del trasferimento (e conseguentemente la illegittimità del licenziamento per mancata presa di servizio presso la nuova sede) in Algeria mancando l’autorizzazione ministeriale necessaria e non avendo fornito la società la prova di una diversa utilizzazione presso cantieri italiani; inoltre si deduce che non era stata valutata la posizione specifica dei D.S. che, essendo destinatario della legge n. 104/1992, non avrebbe potuto essere spostato in altra sede senza il suo consenso.
4.Con il quarto motivo, connesso al terzo, si censura ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc (error in procedendo) l’omessa pronuncia e la nullità della sentenza ex art. 112 cpc, per avere omesso la Corte di appello di esaminare tutte le difese avanzate sul punto dagli appellati.
5.Con il quinto motivo D. e D.S. eccepiscono, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, quinto comma, legge n. 300/1970 in rapporto anche alla legge n. 398/1987 e all’art. 2103 cc, per avere erroneamente la Corte territoriale qualificato come un invito a riprendere servizio quello che era in realtà un trasferimento, mancando tutti i presupposti di fatto per consentire l’attuazione concreta e specifica dell’invito.
6.Con il sesto motivo, connesso al quinto, si censura, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc (error in procedendo) il mancato esame delle difese proposte dalle allora parti appellate relativamente all’invito di cui all’art. 18, quinto comma, legge n. 300/1970 in rapporto all’art. 112 cpc, all’art. 2103 cc e alla legge n. 398/1987 nonché l’omessa pronuncia e la conseguente nullità della sentenza.
7.Con il settimo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla eccepita mancata prova, da parte dell’imprenditore, di una effettiva impossibilità di collocazione a Gela dei due lavoratori, a prescindere o meno dalla chiusura del reparto ove erano originariamente assegnati.
8.Con l’ottavo motivo si denunzia, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, l’omesso esame di altri fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione, costituiti dalla mancata iscrizione alle liste speciali, dalla mancata autorizzazione ministeriale, dalla inesistenza di un passaporto intestato ai due ricorrenti, dalla mancata richiesta e rilascio del visto di ingresso in Algeria per ragioni di lavoro e per la mancata prenotazione del volo.
9.Con il nono motivo, infine, si denunzia, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, l’omesso esame di un fatto decisivo e, cioè, il mancato accertamento sulla differenza sussistente tra “la riammissione effettiva in servizio” e la “ricostituzione formale del rapporto”: concetti e situazioni che erano, invece, stati confusi dalla Corte di appello.
10.Il primo motivo non è fondato.
11.E’ orientamento consolidato di questa Corte (cfr. tra le altre Cass. 10.2.2015; Cass. 14.7.2016 n. 14355) il principio secondo cui l’interpretazione dei contratti e degli altri atti di autonomia privata in genere è riservata alla esclusiva competenza del giudice del merito, essendo il sindacato di legittimità limitato alla sola verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, nonché alla coerenza e logicità della motivazione.
12.Nella fattispecie in concreto, i giudici di secondo grado hanno desunto la natura del licenziamento adottato dal testo letterale delle note pervenute nel gennaio 2011 agli odierni ricorrenti in quanto in esse si faceva riferimento alla intimazione “ai sensi dell’art. 18, comma quinto, legge n. 300/1970 poiché lei non ha ripreso servizio nei termini di legge”.
13.Con argomentazioni logiche e congrue è stata data prevalenza, pertanto, al dato letterale nella operazione esegetica dell’atto, che non lasciava adito ad interpretazioni diverse, essendo questo sufficiente a rendere palese la intenzione del datore di lavoro: ne consegue che ogni sindacato di legittimità sul punto è precluso in applicazione del principio sopra citato.
14.Il secondo, quarto e sesto motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili: secondo l’orientamento affermatosi presso questa Corte, cui si intende dare continuità, costituisce vizio di omessa pronuncia l’omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda o su un’eccezione di parte o su un’istanza che richieda una statuizione di accoglimento o di rigetto, tale da dare luogo all’inesistenza di una decisione sul punto per la mancanza di un provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto (Cass. 23.2.1995 n. 2085), salva l’ipotesi in cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie (Cass. 25.5.2005 n. 4079; Cass. 29.7.2004 n. 14486).
15.Nel caso in esame, la Corte territoriale ha valutato la questione della natura del licenziamento, con le sottese problematiche riguardanti la nota del 29.11.2010, di talché non si verte tecnicamente in ipotesi di omessa pronuncia ma semmai di rigetto implicito delle istanze e difese proposte dai ricorrenti incompatibili con la ratio decidendi della gravata pronuncia.
16.Anche il terzo e quinto motivo, per la loro connessione sulle eccepite violazioni di legge, devono essere scrutinati congiuntamente: con gli stessi vengono dedotte la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cc, dell’art. 16 del CCNL Metalmeccanici, dell’art. 33 legge n. 104/1992 e dell’art. 18, quinto comma, legge n. 300/1970, per essere stato qualificato come un invito a prendere servizio quello che, invece, secondo i ricorrenti, era un licenziamento disposto in contrasto con le richiamate disposizioni.
17.I detti motivi sono infondati perché si rivelano non pertinenti rispetto all’iter logico seguito dalla Corte di merito.
18.Rileva, infatti, il Collegio che il dato da cui partire è quello relativo all’operazione ermeneutica effettuata dai giudici di seconde cure circa la nota del 29.11.2010 (ove si faceva riferimento alla necessità di procedere agli adempimento consequenziali) che è stata ritenuta un invito a riprendere servizio e, in questi termini, era stata considerata dai lavoratori con la loro risposta del 2.12.2010.
19.L’assunto è stato motivato in modo coerente e logico dalla Corte distrettuale per cui, in relazione a quanto detto circa il primo motivo, la questione non è sindacabile in sede di legittimità e l’elemento centrale decisorio della vicenda deve essere individuato nel mancato rispetto del termine di cui all’art. 18, quinto comma, legge n. 300/1970. Ne deriva che tutte le questioni riguardanti le censure rapportate ad un disposto trasferimento non si pongono perché il recesso, nella fattispecie de qua, concerne un momento anteriore e, cioè, la mancata ottemperanza dei lavoratori all’invito a riprendere servizio nei termini di legge esulando, pertanto, il successivo profilo dell’asserito cambiamento di sede.
20.Con riguardo al settimo, ottavo e nono motivo, giova preliminarmente evidenziare che la gravata sentenza è stata pubblicata il 4.8.2016 ed è, quindi, soggetta al nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 cpc, come modificato dal DL n. 83/2012 convertito in legge n. 134/2012.
21.La riformulazione di tale disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione per cui è denunciabile in cassazione unicamente l’anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
22.L’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Tuttavia il fatto secondario non implica che possa denunciarsi ex art. 360 n. 5 cpc anche l’omessa o carente valutazione di elementi probatori (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
23.Inoltre è necessario che il “fatto”, il cui esame sia stato omesso, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, qualora esaminato, sia idoneo a determinare un esito diverso della controversia (cfr. tra le altre Cass. 8.9.2016 n. 17761; Cass. 4.12.2014 n. 257149) non essendo peraltro necessario che il giudice dia conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti.
24.Nel caso concreto, le doglianze di cui ai suddetti motivi o tendono ad una rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, ovvero attengono a fatti non decisivi atteso che l’oggetto dell’esame della controversia, come sopra specificato, era stata individuata dalla Corte di appello nell’accertamento della legittimità del licenziamento intimato per la mancata ripresa del servizio dei termini di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e non per un disposto trasferimento.
25.Inoltre, i fatti allegati sono stati considerati dalla Corte distrettuale perché, per le asserite mancanze di preavviso e di preventiva comunicazione alle 00.SS nonché per la mancata considerazione delle ragioni dei lavoratori ovvero in ordine all’assunto circa la non spettanza ai lavoratori dell’espletamento delle pratiche, è stato precisato che tali vizi non erano stati dedotti nella lettera di risposta del 2.12.2010 all’invito alla reintegra, formulato ai sensi dell’art. 18 St. lavoratori, e che all’intenzione in essa esplicitata di eseguire la volontà datoriale al solo scopo di non aggravare il danno e di non incorrere in sanzioni disciplinari non aveva, poi, fatto seguito la ripresa del servizio non essendosi i lavoratori mai presentati presso la sede datoriale al fine di offrire la loro prestazione di lavoro.
26.Le suindicate circostanza sono state, quindi, esaminate e ciò è sufficiente per ritenere le censure avanzate non meritevoli di pregio ex art. 360 n. 5 cpc, oggetto della formulazione del vizio della sentenza di secondo grado.
27.Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
28.Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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