CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 aprile 2022, n. 12038
Licenziamento disciplinare – Dipendente INPS – Irregolare gestione delle pratiche di rilascio PIN – Liquidazione di prestazioni NASPI non dovute – Giudizio sulla diligenza esigibile
Fatti di causa
1. Con sentenza del 16 giugno 2020 la Corte di Appello di Roma, giudice del reclamo ex articolo 1, commi 58 e segg., L. nr. 92/2012, confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che, al pari del giudice della prima fase, aveva respinto la impugnazione proposta da L. P. avverso il licenziamento disciplinare comunicatogli dall’INPS in data 16 novembre 2017, per plurime irregolarità nella gestione delle pratiche di rilascio del PIN e nell’ istruttoria delle domande di NASPI, che avevano determinato la liquidazione di prestazioni NASPI non dovute.
2. La Corte territoriale esponeva che il licenziamento faceva seguito a tre contestazioni di addebito, rispettivamente del 28 aprile, 18 luglio e 21 settembre 2017:
– la prima riguardava il rilascio di 43 PIN dispositivi a lavoratori fittizi— che avevano dichiarato di avere domicilio nell’area di competenza della sede di Roma- EUR, in cui operava il P., pur essendo residenti altrove — in carenza di documentazione ed in presenza di anomalie : la grafia dei campi «data richiesta PIN» e «data consegna PIN» era diversa da quella degli altri campi; le buste contenenti i PIN dispositivi non seguivano l’ordine progressivo di numerazione; il PIN era rilasciato in orari in cui la sede INPS non era aperta al pubblico; era acquisita documentazione falsa in assenza dei prescritti controlli. La contestazione riguardava, altresì, la liquidazione della prestazione NASPI a seguito di istruttoria curata dal P., omettendo i controlli prescritti.
– la seconda contestazione riguardava la liquidazione della prestazione NASPI a 37 lavoratori fittizi, parimenti non rientranti per residenza nella competenza della sede di Roma-EUR, omettendo i controlli sui flussi UniEmens trasmessi dalle aziende indicate come datori di lavoro, che erano risultati irregolari
– la terza contestazione ineriva alla liquidazione di 56 pratiche NASPI senza inserire i dati relativi all’IBAN dei beneficiari nell’applicativo per il controllo dei pagamenti (SCUP). In 25 di queste pratiche erano emerse cause di incompatibilità o esclusione del diritto; in 13 pratiche il richiedente non era residente nell’area della filiale di Roma EUR; su 10 modelli erano riportati 4 IBAN identici; in un caso il modello dell’IBAN era privo del timbro della banca.
3. La Corte territoriale osservava che le condotte, in apparenza, non assumevano disvalore se valutate singolarmente mentre, valutate nel complesso, integravano illeciti disciplinari di eccezionale gravità, per la violazione di disposizioni regolamentari volte a prevenire quelle condotte illecite che erano state poi consumate.
4. Richiamate le disposizioni testimoniali, il Collegio osservava che tutte le pratiche irregolari avevano caratteristiche comuni, essendo istruite dal P. e collegate a domande presentate on line attraverso un PIN dispositivo previamente ottenuto mediante richiesta allo sportello, lavorata dallo stesso P..
5. La prassi cui il reclamante si appellava per giustificare la sua condotta era illecita; non rilevava il fatto che la materiale liquidazione della prestazione NASPI fosse stata effettuata da un soggetto diverso, posto che, come risultava dall’istruttoria, il pagamento era la materiale conseguenza dell’accoglimento e della messa in liquidazione della pratica, curati dal P..
6.Le irregolarità accertate erano frutto di gravissima ed inescusabile negligenza nel controllo. La pluralità delle violazioni— ancorché tollerate ove occasionali— integrava la giusta causa di recesso.
7. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza L. P., articolato in quattro motivi di censura; l’INPS ha resistito con controricorso.
8. ll PG ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto— ai sensi dell’articolo 360 nr.3 cod.proc.civ.— la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 55 bis D.Lgs nr. 165/2001, del diritto di difesa, dell’articolo 111 Cost. nonché il vizio di motivazione.
2. Ha esposto che le tre contestazioni disciplinari— trascritte in ricorso— non riguardavano il concorso in una truffa in danno dell’INPS ma singole e specifiche mancanze nella cura delle pratiche di rilascio del PIN e di liquidazione della prestazione NASPI; ha addebitato alla Corte territoriale di averlo ritenuto responsabile di fatti non contestati, violando le norme sul procedimento disciplinare nonché il diritto di difesa.
3. Ha assunto che tutte le irregolarità contestate erano state giustificate all’esito dell’istruttoria, in quanto conformi a pratiche comuni anche agli altri operatori. Quanto alla liquidazione delle pratiche NASPI, si sostiene che al momento della lavorazione le pratiche risultavano regolari e che l’annullamento dei rapporti di lavoro era avvenuto soltanto in epoca successiva, in esito all’indagine penale.
4. La anomalia motivazionale viene dedotta sotto il profilo della irrisolvibile contraddittorietà tra la affermazione della sentenza secondo cui le singole condotte erano in sé lecite e la statuizione secondo cui quelle stesse condotte, se considerate nel loro complesso, costituivano giusta causa di licenziamento.
5. Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza.
6. Il giudice del reclamo non ha rinvenuto la giusta causa di licenziamento nel concorso del P. in una condotta di truffa continuata ai danni dell’INPS bensì in una grave negligenza, per violazione di precise disposizioni regolamentari dirette a prevenire condotte fraudolente. Ed invero la affermazione in sentenza secondo cui la negligenza del P. per la sua gravità lasciava «far quasi presumere la sussistenza di una vera e propria coscienza e volontà del dipendente di alterare i presupposti per consentire la concessione del beneficio a chi non ne aveva diritto» (pagina 8 della sentenza, secondo capoverso) è chiaramente compiuta ad abundantiam.
7. Inoltre, la Corte di merito non ha affatto affermato che le singole condotte fossero lecite, avendo, anzi, evidenziato che le stesse erano contrarie a precise disposizioni regolamentari dell’INPS (pagina 3 della sentenza, in fine e pagina 4,in principio); ha, piuttosto, affermato che dette violazioni, se episodiche, venivano, di norma, tollerate ma che diversa valutazione era giustificata nel caso, nella specie ricorrente, di sistematicità della violazione (pagina 8, in fine).
8. Con il secondo mezzo si addebita alla sentenza impugnata— ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2909 cod.civ. e dell’articolo 324 cod.proc.civ.; si assume che si sarebbe formato il giudicato interno sull’accertamento, compiuto nell’ordinanza resa nella fase sommaria, che le irregolarità relative al rilascio dei PIN sarebbero state giustificate, sulla base della prassi dell’ufficio.
9. Il motivo è infondato.
10. In primo luogo, va in questa sede ribadito che nel rito di cui all’articolo 1, commi 48 e seguenti L. nr. 92/212, l’ordinanza conclusiva della fase sommaria non passa in giudicato, in caso di opposizione, neppure per la parte che non costituisce oggetto di opposizione, posto che il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica. (Cass. sez. lav.26/02/2016 nr. 3836; Cass. 24/08/2018, nr.21156; Cass., 06/09/2018, nr. 21720).
11. In ogni caso, deve parimenti ribadirsi il principio, da questa Corte reiteratamente affermato (tra le altre, Cass. sez. VI, 22/02/2013, n.4572; Cass. nn. 2217 del 2016, 12202 del 2017 e 16853 del 2018, tutte sulla scorta di Cass. n. 6769 del 1998), secondo cui ai fini della selezione delle questioni di fatto o di diritto suscettibili di giudicato interno occorre avere riguardo all’unità minima suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato, che è costituita dalla sequenza logica fatto-norma-effetto giuridico. Benché ciascun elemento di tale sequenza possa essere singolarmente investito di censura in appello, nondimeno l’impugnazione motivata in ordine anche ad uno solo di essi riapre per intero l’esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell’impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di diritto— (individuando una diversa norma sotto cui sussumere il fatto o fornendone una differente esegesi) — quanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti.
12. Nella fattispecie di causa, l’impugnazione del P. riapriva, dunque, la cognizione del giudice del reclamo sull’intera ed unitaria vicenda di fatto che aveva dato luogo al licenziamento.
13. Con la terza censura viene dedotta — ai sensi dell’articolo 360 nr 3 cod.proc.civ.—la violazione e/o falsa applicazione: dei CC.NN.LL. del Comparto ENTI PUBBLICI NON ECONOMICI 1998/2001, 2002/2005, 2006/2009; del DPR 16 aprile 2013 nr. 62; dell’articolo 54 D.Lgs. nr. 165/2001; del codice di comportamento dei dipendenti dell’INPS (determinazione nr. 181/2014); della L. nr. 241/1990.
14. Il ricorrente ha riportato la declaratoria dell’area di inquadramento (A2)— area di base del sistema di classificazione— evidenziando di avere svolto mansioni superiori, riconducibili a profili impiegatizi dell’area B o dell’area C. Ha assunto che la diligenza esigibile doveva essere rapportata al suo grado di preparazione e cultura, addebitando al giudice dell’appello la violazione delle norme contrattuali, del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (DPR nr. 62/2013) e del codice di comportamento dell’INPS per avergli attribuito la responsabilità della corretta istruttoria e liquidazione delle pratiche NASPI. Si denuncia, altresì, la mancata considerazione della assenza di formazione nonché del ruolo di controllo del responsabile del servizio.
15. Il motivo è infondato nella parte in cui sostiene che il fatto della assegnazione di mansioni superiori possa giustificare in sé stesso una diligenza inferiore a quella ordinaria.
16. Ed invero, il giudizio sulla diligenza esigibile deve tener conto del complesso delle circostanze del fatto concreto, tra le quali può, in ipotesi, rilevare anche lo svolgimento di mansioni superiori alla qualifica di inquadramento ma in rapporto alla complessiva esperienza maturata dal lavoratore, alla formazione ricevuta ed alle circostanze che hanno determinato l’assegnazione delle mansioni.
17. Trattasi di accertamento devoluto al giudice del merito; sotto questo profilo, ogni censura resta in limine inammissibile, perché il giudizio conforme reso nei due gradi di merito in ordine alla grave responsabilità del dipendente per i fatti a lui contestati preclude la deducibilità del vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 348 ter, commi quattro e cinque, cod.proc.civ.
18. Per le stesse ragioni neppure può essere apprezzata in questa sede l’incidenza sulla gravità dell’addebito della funzione di controllo del responsabile, questione che viene erroneamente prospettata come vizio di violazione di norme di diritto e che attiene, invece, al giudizio di merito.
19. Con la quarta critica il ricorrente ha dedotto — ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 55 e 55 bis D.Lgs. nr. 165/2001, dei CC.NN.LL. del comparto ENTI PUBBLICI NON ECONOMICI vigenti ratione temporis e del regolamento di disciplina dell’INPS, sul rilievo che il regolamento di disciplina non prevederebbe il licenziamento per le contestazioni disciplinari formulate e che tale sanzione non sarebbe, comunque, proporzionata ai fatti.
20. Si espone che i comportamenti contestati sarebbero previsti dall’articolo 2, comma cinque, lettere a) e c) del codice di disciplina dell’INPS (inosservanza delle disposizioni di servizio ovvero negligenza nell’esecuzione dei compiti assegnati) e sanzionati con il rimprovero scritto o la multa.
21. Il motivo è inammissibile.
22. Le previsioni di cui il ricorrente lamenta la violazione attengono ad una delibera dell’INPS, contenente il regolamento di disciplina dell’Istituto, che non ha natura di norma di diritto né di norma della contrattazione collettiva nazionale. La sua violazione non può pertanto essere censurata in via diretta dinanzi a questa Corte.
23. Quanto alla asserita mancanza di proporzionalità della sanzione, la relativa valutazione costituisce giudizio di fatto, rimesso al giudice del merito; la proporzionalità resta, dunque, definitivamente accertata, in quanto l’esito conforme dell’accertamento nei gradi di merito preclude la stessa deducibilità del vizio di motivazione (articolo 348 ter, commi quattro e cinque, cod. proc.civ. ).
24. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
25. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
26. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 5.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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