CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 dicembre 2019, n. 32855
Tributi – Importazione – Errata classificazione della merce – Rettifica – Dazi antidumping dovuti sulla merce importata – Applicazione
Fatti di causa
1. – P. s.r.l., società che svolge la propria attività nel settore dei sistemi di pompaggio del calcestruzzo, ha impugnato l’avviso di rettifica e il successivo atto contenente “errata corrige” del relativo accertamento, notificatile dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli per aver classificato al codice 73079980.99, anziché al codice precedente – ritenuto corretto – i raccordi in acciaio per tubi importati dalla Cina, in tal modo evadendo il dazio antidumping dovuto sui prodotti.
2. – La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso, ma la decisione, appellata dall’Agenzia delle dogane, è stata riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza del 13 settembre 2017.
Il giudice d’appello, rilevato che le caratteristiche della merce non erano desumibili dalla fatture commerciali allegate alle dichiarazioni doganali e che P. importa diverse tipologie di prodotti, ha escluso che la relazione tecnica e la ITV allegate dalla società – dalle quali non emergeva l’identità fra le merci esaminate dal perito e dalla Dogana Centrale e i raccordi oggetto dell’avviso di rettifica – fossero idonee a provare l’assunto difensivo della stessa, secondo cui i beni importati, per mero errore del doganalista, erano stati dichiarati alla voce 73079980.99, mentre avrebbero dovuto essere classificati nella diversa voce 73071990.00 (accessori per tubi fusi), soggetta a un dazio pari a quello versato, in quanto realizzati mediante fusione fra acciaio e manganese. Ha quindi rilevato che la differenza fra la sottovoce 99 accertata e la sottovoce 98 dichiarata era data dalla dimensione, inferiore o superiore a mm. 609,6, del diametro dei tubi e che, nella specie, non era controverso che il diametro di quelli importati da P. fosse al di sotto di tale lunghezza, con conseguente correttezza della rettifica operata dall’Ufficio.
3. – P. s.r.l. propone ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle dogane e dei monopoli resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c.e 115, comma 1, c.p.c., in relazione all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 546/92, il tutto con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. La ricorrente lamenta che la Commissione tributaria provinciale abbia omesso di pronunciare sull’eccezione con la quale essa aveva dedotto in appello che la circostanza secondo cui i raccordi importati erano costituiti da acciaio e manganese non era mai stata contestata dall’Agenzia e doveva pertanto ritenersi pacifica, come, del resto, espressamente rilevato dal giudice di primo grado.
1.1. – Il motivo è infondato.
La Commissione tributaria provinciale ha infatti quantomeno implicitamente – respinto l’eccezione, laddove ha ritenuto fondati i rilievi dell’Agenzia, già svolti nella memoria illustrativa di primo grado, circa il difetto di rilevanza della perizia allegata da P. ai fini della prova della realizzazione dei raccordi importati mediante procedimento di fusione fra acciaio e manganese; è d’altro canto evidente che, avendo l’Agenzia eccepito il mancato assolvimento da parte della società dell’onere della prova sul punto, la circostanza non poteva ritenersi incontestata fra le parti.
2. – Con il secondo motivo si prospetta la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 1, comma 2 e 36 d.lgs. 546/92 nonché 132, comma 1, n. 4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.: a dire della ricorrente la Commissione tributaria regionale avrebbe emesso una sentenza fondata su una motivazione apparentemente ampia ma in realtà del tutto incomprensibile, connotata da affermazioni tra loro contrastanti, ovvero assolutamente generiche.
2.1. – Il motivo è infondato.
La pronuncia ha dato pienamente conto delle ragioni poste a fondamento dell’accoglimento dell’atto di appello, chiarendo che – una volta escluso che vi fosse prova che le merci oggetto di accertamento dovessero essere classificate col codice 73071990.0 – l’unica differenza fra la classificazione dichiarata da P. e quella accertata dall’Agenzia (e dunque l’unica questione rilevante in giudizio) era data dalla sottovoce inerente la misura del diametro dei tubi, nella specie pacificamente inferiore a mm. 609,6.
3. – Con il terzo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione all’art. 11, commi 4 bis e 5 bis, del d.lgs. 374/90, nonché dell’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La ricorrente lamenta che la Commissione tributaria provinciale abbia ritenuto sufficientemente motivato l’avviso limitandosi ad affermare che “la contribuente è stata messa pienamente in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa, ciò che in effetti è avvenuto”-, evidenzia, al riguardo, che a fronte della notifica del processo verbale di revisione dell’accertamento, emesso il 27 maggio 2015 e notificatole l’8 luglio 2015, essa aveva prodotto, il 30 luglio 2015, una memoria difensiva, eccependo l’erroneità della nuova classificazione sulla scorta della medesima documentazione poi prodotta in giudizio, mentre nell’avviso di rettifica dell’accertamento l’Ufficio aveva in primo momento sostenuto che “nessuna osservazione è stata presentata dalla parte”, e solo l’11 settembre aveva emesso un ulteriore atto recante “errata corrige avviso rettifica prot. 33630 del 12/8/2015″’, in cui, sostituito il riferimento alla circostanza della mancata presentazione di osservazioni dalla parte con la presa d’atto della loro presentazione, si era limitato ad affermare “che le stesse non sono meritevoli d’accoglimento in quanto nulla innovano rispetto a quanto accertato nel processo verbale di constatazione e di revisione”, di fatto omettendo di motivare sulle ragioni sottese al loro rigetto.
3.1. – Il motivo deve essere rigettato, previa integrazione, ai sensi dell’art. 384, u. comma, c.p.c., della motivazione che sorregge sul punto la sentenza impugnata.
L’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel “petitum” e nella “causa petendi”, mediante una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche quanto agli elementi di fatto ed istruttori posti a fondamento dell’atto impositivo, in ragione della necessaria trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione, in vista di un immediato controllo della stessa (Cass. 21 novembre 2018, n. 30039; Cass. 4 febbraio 2000, n. 1209).
Nel caso di specie, l’avviso ha consentito alla ricorrente di difendersi già nella fase amministrativa pre-contenziosa e quindi in giudizio, formulando specifici motivi di doglianza; ne consegue che l’Ufficio non era tenuto a motivare specificamente sulle ragioni per le quali ha ritenuto che la documentazione prodotta da P. nella prima fase non fosse a idonea a sovvertire il contenuto dell’accertamento.
4. – Il ricorso va pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
5. – Sussistono le condizioni per dare atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 7.200,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
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