CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 dicembre 2021, n. 39698
Dimissioni – Cessione ramo d’azienda – Pesupposti di insolvenza del datore di lavoro – Corresponsione del T.f.r. a carico dello speciale fondo di garanzia
Fatto
1. Con sentenza del 18 settembre 2018, la Corte d’appello di Milano condannava l’Inps a corrispondere a L.D. (che aveva prestato attività lavorativa alle dipendenze di F.L. s.r.l. dal 3 novembre 1997 all’8 giugno 2010 e quindi senza soluzione di continuità di F.F. s.r.l., quale cessionaria dalla prima del ramo d’azienda cui era addetta, fino alle dimissioni rassegnate il 31 marzo 2015) la somma di € 1.992,85, oltre rivalutazione ed interessi, a titolo di T.f.r. maturato fino al momento della cessione (€ 8.056,12), detratto quanto ricevuto in corso di causa dalla seconda (€ 6.133,27 lordi): così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato la domanda della lavoratrice.
2. A motivo della decisione, la Corte territoriale ravvisava la ricorrenza dei presupposti di insolvenza della (già) datrice F.L. s.r.l. (della quale era stato dichiarato il fallimento il 26 ottobre 2012 ed al cui stato passivo la lavoratrice era stata ammessa per l’importo maturato fino al momento di cessione del ramo d’azienda, appunto di € 8.056,12) e di cessazione del suo rapporto di lavoro sia con la cedente che con la cessionaria. Ed essa escludeva la necessità della previa escussione del patrimonio della cessionaria, in quanto obbligata solidale.
3. Con atto notificato il 15 (21) marzo 2019, l’Inps ricorreva per cassazione con unico motivo, cui la lavoratrice resisteva con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.
4. La causa era quindi rimessa, per la ravvisata necessità di un chiarimento nomofilattico della questione posta, all’odierna pubblica udienza di discussione.
5. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da I. conv. 176/20, nel senso dell’accoglimento del ricorso.
6. Entrambe le parti comunicavano ulteriore memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con unico motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 2, primo, secondo, quarto, quinto, settimo e ottavo comma I. 297/82, in riferimento all’art. 2112 c.c., per erroneo riconoscimento del diritto della lavoratrice alla percezione dal Fondo di Garanzia della quota di T.f.r. maturata nei confronti della società datrice cedente fallita, nonostante la continuità di attività prestata dalla medesima alle dipendenze della cessionaria non fallita, sull’essenziale rilievo della sua mancata constatazione di insolvenza (essendo stato il fallimento dichiarato nei confronti della società cedente, non più datrice all’epoca di cessazione del rapporto di lavoro), responsabile a norma dell’art. 2112 c.c.; e pertanto in assenza dei presupposti di intervento del Fondo di Garanzia, anche avuto riguardo alla sua funzione di tutela del “bisogno socialmente rilevante” indicato dalla Direttiva 80/987/CEE e succ. modificaz., attuata dalle legge denunciata.
2. Esso è fondato.
3. E’ nota l’istituzione presso l’Inps, in attuazione della Direttiva 987/80/CEE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), del Fondo di Garanzia per il trattamento di fine rapporto, con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento previsto dall’art. 2120 c.c., spettante ai lavoratori o loro aventi diritto (art. 2, primo comma l. 297/1982). Sicché, due sono i presupposti di questo intervento del Fondo di Garanzia: a) la sostituzione del “datore di lavoro” in caso di “insolvenza b) il pagamento del “trattamento di fine rapporto“.
E la sua ratio è il fine sociale che ne sorregge l’intervento e circoscrive l’ambito della tutela mediante il riferimento “a crediti non pagati relativi ad un periodo determinato con ciò fissando la nozione di “bisogno socialmente rilevante”, che è tale perché collocato all’interno di un ambito temporale definito (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, p.to 29 in motivazione, con richiamo di giurisprudenza della Corte di Giustizia; Cass. 26 settembre 2018, n. 23047, p.to 38 in motivazione).
4. In tale prospettiva, occorre allora individuare il “datore di lavoro attuale insolvente” del lavoratore, ossia che sia tale, e versi in una condizione d’insolvenza, al momento di “cessazione del rapporto di lavoro”.
4.1. La condizione di insolvenza può essere pubblicamente sancita dall’apertura di una procedura concorsuale (come si evince in particolare dall’art. 2, secondo e quarto comma l. 297/1982, in attuazione dell’art. 2 della Direttiva 987/80/CEE),
se il datore di lavoro sia assoggettabile al fallimento ovvero, qualora non lo sia, risultare dalla completa o parziale insufficienza delle sue garanzie patrimoniali all’adempimento del trattamento dovuto al lavoratore, constatata a seguito di un’esecuzione forzata individuale (art. 2, quinto comma I. cit.), esperita dal predetto in modo serio e adeguato, ancorché infruttuoso, salvo che emerga l’esistenza di altri beni aggredibili con l’azione esecutiva (Cass. 11 luglio 2003, n. 10953; Cass. 1 luglio 2010, n. 15662; Cass. 20 novembre 2017, n. 27467).
4.2. L’attualità della qualità datoriale del soggetto alle dipendenze del quale cessi il rapporto del lavoratore rileva poi sotto il duplice profilo del soggetto tenuto, rispetto al quale il Fondo di Garanzia esercita il proprio ruolo sostitutivo e, prima ancora, perché soltanto al momento della cessazione del rapporto si realizza, come noto, l’esigibilità (id est: l’insorgenza) del trattamento di fine rapporto, secondo il chiaro e inequivoco tenore letterale dell’art. 2120, primo comma c.c. Ciò comporta rilevanti conseguenze applicative, particolarmente in materia di decorrenza della prescrizione (Cass. 23 aprile 2009, n. 9695; Cass. 18 febbraio 2010, n. 3894; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2827; Cass. 23 novembre 2020, n. 26598) e in tema di nullità della rinuncia prima di detta cessazione, non potendo il lavoratore in servizio disporre di un diritto non ancora entrato nel suo patrimonio (Cass. 7 marzo 2005, n. 4822; Cass. 11 novembre 2015, n. 23087; Cass. 28 maggio 2019, n. 14510); ma anche in materia concorsuale: non potendo essere ammesso, neppure con riserva in via condizionata (per il principio di tipicità che ne connota la tipologia), allo stato passivo dell’amministrazione straordinaria alle cui dipendenze abbia continuato a prestare la propria attività un lavoratore, il terzo che si sia reso cessionario del suo credito per T.f.r., in quanto allo stato futuro per detta ragione (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4336); e analogamente il lavoratore, che abbia continuato a rendere la prestazione alle dipendenze del cessionario dell’azienda trasferita, non può essere ammesso allo stato passivo del fallimento del suo precedente datore cedente, per il credito da T.f.r., poiché esso matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale divenendo esigibile solo al momento della cessazione definitiva del rapporto di lavoro (Cass. 27 febbraio 2020, n. 5376).
5. Alla luce degli illustrati requisiti, questa Corte ha così qualificato la natura del “diritto del lavoratore di ottenere dall’Inps, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del T.f.r. a carico dello speciale fondo di cui all’art. 2 I. 297/1982” quale “diritto di credito ad una prestazione previdenziale … distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, … ” che “si perfeziona non con la cessazione del rapporto di lavoro ma al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge“-, sicché, “il Fondo di garanzia costituisce attuazione di una forma di assicurazione sociale obbligatoria, con relativa obbligazione contributiva posta ad esclusivo carico del datore di lavoro, con la sola particolarità che l’interesse del lavoratore alla tutela è conseguito mediante l’assunzione da parte dell’ente previdenziale, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, di un’obbligazione pecuniaria il cui quantum è determinato con riferimento al credito di lavoro nel suo ammontare complessivo”; e pertanto, “il diritto alla prestazione del Fondo nasce … non in forza del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto assicurativo – previdenziale, in presenza dei già ricordati presupposti previsti dalla legge … ” (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, p.ti da 5 a 7 in motivazione con richiamo di precedenti).
5.1. Nell’evoluzione del delineato percorso giurisprudenziale, si è così affermata, sulla base della sempre più nitida distinzione dei due ambiti retributivo e previdenziale e per le illustrate finalità, una progressiva emancipazione dell’Inps (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, p.to 18 in motivazione; Cass. 26 settembre 2018, n. 23047, p.to 17 in motivazione; Cass. 14 novembre 2018, n. 29363, p.to 11 in motivazione; Cass. 28 novembre 2018, n. 30804, p.to 9 in motivazione) dalle risultanze dello stato passivo del fallimento datoriale (Cass. 17 aprile 2015, n. 7877; Cass. 13 novembre 2015, n. 23258; Cass. 28 gennaio 2020, n. 1886).
6. In quest’alveo interpretativo, si pone dunque il tema dell’agibilità della copertura assicurativa del Fondo di Garanzia nell’ambito della vicenda circolatoria dell’azienda, nell’acquisita consapevolezza che “l’intervento del Fondo … non si giustifica laddove sia inesistente la relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza dichiarata con procedura concorsuale, posto che le tutele dei lavoratori, in ipotesi di trasferimento d’azienda, formano oggetto di altre specifiche previsioni di derivazione comunitaria come la direttiva 2001/23” (Cass. 23 febbraio 2021, n. 4897, p.to 13 in motivazione).
6.1. Ebbene, nel caso di specie, per effetto della prosecuzione del rapporto di lavoro (instaurato con F.L. s.r.l. dal 3 novembre 1997 all’8 giugno 2010), di L.D. con F.F. s.r.l., quale cessionaria del ramo d’azienda cui era addetta, fino alle dimissioni rassegnate il 31 marzo 2015, appare evidente che, al momento della dichiarazione di fallimento della originaria datrice cedente (il 26 ottobre 2012), fossero carenti i presupposti indicati sub p.to 4. (di un “datore di lavoro” che versi in una condizione d’insolvenza e di “cessazione del rapporto di lavoro”: così da risultare a tale momento “attuale insolvente”), non essendo maturato ancora il credito per T.f.r. (per le ragioni illustrate sub p.to 4.2.), essendo all’epoca della cessazione del rapporto sua datrice di lavoro, non già la società fallita cedente, bensì la cessionaria in bonis.
7. A fronte allora di una lavoratrice, istante la garanzia del Fondo istituito presso l’Inps, che abbia cessato il rapporto alle dipendenze di F.F. s.r.l. (datrice società cessionaria di azienda trasferita da F.L. s.r.l., precedente datrice della lavoratrice poi fallita) non insolvente, essendo tale invece la seconda, si comprende come non ricorrano ragioni per derogare all’applicazione delle ordinarie regole previste dall’art. 2112 c.c.: essendo pertanto detta cessionaria debitrice esclusiva della quota di T.f.r. maturata dal trasferimento del ramo d’azienda alla cessazione del rapporto e responsabile in via solidale della quota di T.f.r. maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale.
7.1. Ed infatti, in caso di cessione d’azienda assoggettata al regime stabilito dall’art. 2112 c.c., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente, il cui rapporto sia proseguito con il datore di lavoro cessionario, per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale, mentre il datore cessionario è obbligato per la stessa quota solo in ragione del vincolo di solidarietà e resta l’unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione (Cass. 22 settembre 2011, n. 19291; Cass. 14 maggio 2013, n. 11479; Cass. 8 gennaio 2016, n. 164).
8. Né si configura una responsabilità solidale della cessionaria con il Fondo, per la distinta ed autonoma natura del diritto di credito del lavoratore ad una prestazione previdenziale nei confronti del secondo, rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, con insussistenza di un’ipotesi di obbligazione solidale (Cass. 28 luglio 2011, n. 16617; Cass. 9 giugno 2014, n. 12971; Cass. 13 ottobre 2015, n. 20547; Cass. 25 agosto 2020, n. 17643, in specifico riferimento alle ultime tre mensilità), come correttamente ribadito, in riferimento all’inesistenza di una subordinazione dell’intervento del Fondo di Garanzia a previa escussione di eventuali obbligati solidali che siano tenuti, anche solo prò quota, per il medesimo debito, né di ulteriori requisiti, quali un beneficio d’ordine o di escussione che suffraghi la natura sussidiaria della copertura dovuta dal Fondo (Cass. 17 ottobre 2018, n. 26021, al p.to 5 della motivazione).
8.1. In proposito, questa Corte ha già affermato che la ratio di copertura del Fondo (illustrata al superiore p.to 3.) è incompatibile con lo sviluppo di una vicenda circolatoria che abbia interessato l’azienda: laddove sia inesistente la relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza dichiarata con procedura concorsuale, che costituisce l’ambito applicativo fisiologico del suo intervento legato allo scopo sociale della normativa europea. Senza poi “considerare che le tutele dei lavoratori, in ipotesi di trasferimento d’azienda, formano oggetto di altre specifiche previsioni di derivazione comunitaria e che la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (Sez. VI, 28/01/2015, n. 688), interpretando i contenuti della direttiva 2001/23, ha affermato che essa < […] stabilisce la regola generale secondo cui il cessionario è vincolato ai diritti e agli obblighi che risultano da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente tra il lavoratore e il cedente alla data del trasferimento dell’impresa. Come risulta dalla lettera e dalla struttura dell’articolo 3 di tale direttiva, la trasmissione al cessionario degli oneri a carico del cedente al momento del trasferimento dell’impresa, in presenza di lavoratori alle dipendenze del cedente, comprende tutti i diritti di questi ultimi laddove essi non ricadano in una delle eccezioni espressamente previste dalla stessa direttiva (v., per analogia, sentenza Beckmann, C-164/00, EU:C:2002:330, punti 36 e 37)” (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, p.ti da 31 a 36 in motivazione; Cass. 26 settembre 2018, n. 23047, p.ti da 41 a 45 in motivazione).
8.2. Ed infatti, la Direttiva 2001/23 CE (riguardante il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, stabilimenti o loro parti) prevede la necessità di “adottare le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori in caso di cambiamento di imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti” (terzo Considerando), sicché, in particolare “I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento” (art. 3, primo comma).
8.3. E’ allora in quest’ambito che opera un regime di solidarietà passiva, in presenza di una pluralità di soggetti tenuti (non già per un medesimo rapporto, ma) per una “medesima prestazione” (art. 1292 c.c.), anche in forza di fonti diverse (tra loro anche disomogenee, ma) nel caso di specie omogenee, siccome entrambe di fonte contrattuale (il debitore principale sulla base di un contratto di lavoro subordinato; il coobbligato solidale per il vincolo, contrattuale nell’accezione lata di obbligo giuridico preesistente, derivante dal regime di tutela del lavoratore nella circolazione dell’azienda o di un suo ramo: art. 2112, primo, secondo e quinto comma c.c.).
Ed essa è prevista dal legislatore, come noto, nell’interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest’ultimo, consentendogli di ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori (Cass. 27 ottobre 2015, n. 21774; Cass. 15 gennaio 2020, n. 542, che pure ne ribadiscono l’ininfluenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l’obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali).
9. Giova sottolineare, infine, ad esplicitazione di quanto già affermato da questa Corte, come gli ambiti delle tutele previste dalla Direttiva 987/80/CEE (e sue successive modifiche), all’origine del Fondo di Garanzia e dalla Direttiva 2001/23 CE (e sue successive modifiche) si pongano tra loro in netta alternativa: la prima, a protezione dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro; la seconda, a protezione del mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, stabilimenti o loro parti.
Tale affermazione trova riscontro normativo nella previsione, contenuta nella Direttiva 2001/23 CE – dopo quella (art. 5, primo comma) di inapplicabilità degli articoli 3 e 4 (contenenti le tutele dell’art. 2112) ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (nel nostro diritto interno: art. 47, quinto comma I. 428/1990) – di possibilità per uno Stato membro di disporre “Quando gli articoli 3 e 4 si applicano ad un trasferimento nel corso di una procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente (indipendentemente dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso) e a condizione che tali procedure siano sotto il controllo di un’autorità pubblica competente … che: a) nonostante l’articolo 3, paragrafo 1, gli obblighi del cedente risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e pagabili prima del trasferimento o prima dell’apertura della procedura di insolvenza non siano trasferiti al cessionario, a condizione che tali procedure diano adito, in virtù della legislazione dello Stato membro, ad una protezione almeno equivalente a quella prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980 …” (art. 5, secondo comma).
Il che sta appunto a significare che, laddove non si applichi ai lavoratori la tutela stabilita nelle ipotesi di trasferimento d’azienda, in caso di insolvenza del datore di lavoro operi a tutela dei lavoratori, nella ricorrenza dei presupposti illustrati, la copertura del Fondo di Garanzia: senza alcuna indebita contaminazione tra le due.
10. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata e decisione nel merito, in assenza di ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, ult. parte c.p.c., di rigetto della domanda della lavoratrice e la compensazione delle spese dell’intero giudizio tra le parti, per la controversa soluzione della questione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda della lavoratrice nei confronti dell’Inps.
Compensa interamente tra le parti le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.