CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 febbraio 2019, n. 4237
Lavoro – Appalto – Responsabilità solidale ex art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 – Accertamento
Fatti di causa
Con sentenza del 6 giugno 2014, la Corte d’appello di Genova rigettava gli appelli riuniti proposti da M.S., P.G. e C.G. rispettivamente avverso le sentenze del Tribunale di Genova n.:1048/13, n. 1045/13 e n. 1046/13, che, in accoglimento dell’opposizione di T. s.p.a., aveva dichiarato illegittima l’esecuzione presso terzi in suo danno, promossa sulla base di decreti ingiuntivi di vario ammontare, a titolo di responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 29 d.lg. 276/2003, per un credito relativo a indennità una tantum contrattualmente dovuta dall’appaltatore.
A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva la tempestiva riassunzione dalla committente T. s.p.a. del processo esecutivo (nei trenta giorni previsti dall’art. 627 c.p.c.) dopo la sua sospensione e la corretta esclusione dal primo giudice del diritto di procedere in via esecutiva nei confronti della società terza, in difetto della previa escussione del patrimonio della società appaltatrice, datrice di lavoro dei procedenti, in applicazione dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 nel testo sostituito dalla I. 92/2012, vigente ratione temporis, avendone accertata la responsabilità solidale.
Con atto notificato il 29 settembre 2014, M.S., P.G. e C.G. ricorrevano per cassazione con cinque motivi, cui resisteva T. s.p.a. con controricorso; il primo lavoratore comunicava memoria di nomina di nuovo difensore, anche ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 112, 414, 615, secondo comma, 618bis, 627 c.p.c. e 2697 c.c., per l’ostatività della verifica del rispetto di una preclusione processuale, di natura pubblica e pertanto principio assoluto non derogabile, quale la perentorietà di un termine di riassunzione, sulla base di documenti, sia pure della parte, in assenza di una specifica allegazione nel ricorso.
2. Con il secondo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1292 c.c., 29, secondo comma d.lg. 276/2003, 4, comma 31, lett. b) I. 92/2012, 11 disp. prel. c.c., per inapplicabilità del testo dell’art. 29, secondo comma d.lg. come sostituito dalla I. 92/2012, introduttivo di un beneficio di escussione inopponibile tanto all’epoca di conclusione dell’appalto, quanto di maturazione dei crediti posti in esecuzione dai lavoratori, avendo invece la Corte erroneamente ritenuto il contrario sul presupposto della rilevanza del momento della loro esigibilità.
3. Con il terzo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 112, 324, 645, 653, primo comma, 654 c.p.c., 2909 e 2697 c.c., per esclusione dell’efficacia di titolo esecutivo del decreto ingiuntivo definitivo, per rigetto dell’opposizione, anche nei confronti della committente, ai sensi dell’art. 1676 c.c., sull’erroneo rilievo della sua efficacia per tutte le causali in esso richieste, ritenute dalla Corte territoriale assorbite dal giudice dell’opposizione.
4. Con il quarto, i ricorrenti deducono vizio di motivazione e nullità della sentenza, per violazione degli artt. 111, sesto comma Cost., 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e 118, primo e secondo comma disp. att. c.p.c., per inesistenza di un assorbimento, né proprio né improprio, in ordine all’accertamento di una responsabilità della committente ai sensi dell’art. 1676 c.c., apoditticamente affermato dalla Corte territoriale.
5. Con il quinto, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 112, 615, secondo comma, 618bis e 645 c.p.c., per esorbitanza del giudice dell’esecuzione dai poteri riservatigli nella delimitazione dell’ambito di efficacia come titolo esecutivo giudiziale (nel caso di specie: decreto ingiuntivo), in particolare escludendolo in riferimento alle ragioni della solidarietà rappresentate.
6. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 112, 414, 615, secondo comma, 618bis, 627 c.p.c. e 2697 c.c., per il difetto di specifica allegazione del rispetto della perentorietà del termine di riassunzione del procedimento esecutivo, è infondato.
6.1. Nel legittimo esercizio dei proprio poteri di verifica della tempestività del ricorso in riassunzione in base ai documenti ritualmente prodotti, la Corte territoriale ha accertato (così sub 2 a pg. 3 della sentenza), essendo comunque incontestato, il rispetto del termine perentorio di riassunzione del giudizio di opposizione all’esecuzione, ai sensi degli artt. 618bis e 615, secondo comma c.p.c. (ed a seguito del procedimento di sospensione per opposizione all’esecuzione a norma degli artt. 624, 625 c.p.c.), prescritto dall’art. 627 c.p.c.
Sicché, deve essere esclusa la sussistenza di alcuna violazione di legge (neppure configurabile in modo appropriato, in difetto dei requisiti costitutivi: Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984). E non soltanto in mancanza di alcuna previsione dell’indicazione del termine di riassunzione nel relativo atto, ma perché non si può ignorare che neppure l’assenza di alcuno di quelli stabiliti ne comporti la nullità, per l’essenzialità in esso del riferimento esplicito alla precedente fase processuale e la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo (così argomentando dal più espresso riferimento alla comparsa di riassunzione ai sensi dell’art. 125 disp. att. c.p.c.: Cass. 14 marzo 2001, n. 3695; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2691).
7. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1292 c.c., 29, secondo comma d.lg. 276/2003, 4, comma 31, lett. b) l. 92/2012, 11 disp. prel. c.c., per inapplicabilità del testo dell’art. 29, secondo comma d.lg. come sostituito dalla l. 92/2012 e quindi del beneficio di escussione introdotto dopo la conclusione dell’appalto e la maturazione dei crediti posti in esecuzione dai lavoratori, è infondato.
7.1. Per un corretto inquadramento giuridico della questione, occorre ribadire la natura sostanziale del regime di solidarietà nelle obbligazioni (Cass. 13 maggio 2014, n. 10337): posto che, come osservato da autorevole dottrina, se è indiscutibile che l’elemento finalistico della solidarietà attenga alla fase della realizzazione del credito, tuttavia la presenza di un tale elemento reagisce sulla struttura dell’obbligazione, sul suo modo di essere, sulla sua “forma” complessiva.
Lo specifico della solidarietà, pur nel riconoscimento dell’autonomia delle singole posizioni debitorie ma in funzione di rafforzamento della posizione creditoria, è poi essenzialmente individuato nella componente normativa del collegamento istituito tra le stesse dalla “medesima prestazione”. Ed una tale connotazione non è forma “concreta” di un assetto di interessi (ossia di interessi comuni o di un interesse accessorio ad altro principale), ma forma “astratta”, ossia che può rispecchiare un assetto di interessi variabile.
Nell’ambito della solidarietà, si distingue poi tra: una solidarietà in senso stretto, per cui il creditore può rivolgersi indifferentemente all’uno o all’altro dei condebitori per ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento di uno libera gli altri (art. 1292, prima parte c.c.), con suddivisione poi interna dell’obbligazione adempiuta (art. 1298 c.c.) e regresso del debitore che ha pagato nei confronti degli altri (art. 1299 c.c.); ed una solidarietà “sussidiaria”, per cui il creditore sia onerato di rivolgersi per l’adempimento prima ad un debitore e poi, in caso negativo, ad altro debitore. E il diritto di escussione, opposto dal debitore solidale, può dunque essere pattuito tra le parti (come nel caso della fideiussione, a norma dell’art. 1944, secondo comma c.c.) o essere previsto dalla legge (come per la responsabilità dei soci nella società semplice, a norma dell’art. 2268 c.c. o in nome collettivo, a norma dell’art. 2304 c.c.), vigendo, in assenza di specifica previsione di una sussidiarietà, il regime della solidarietà (Cass. 29 novembre 2005, n. 26042).
7.2. La natura sostanziale del regime di solidarietà comporta allora la naturale applicazione della legge vigente al momento dell’assunzione dell’obbligazione (art. 11 disp. prel. c.c.): non alterando un tale regime normativo la previsione del beneficio di escussione, in quanto mera modalità di realizzazione della “garanzia” per il creditore della solidarietà esclusivamente in fase esecutiva (Cass. 16 gennaio 2009, n. 1040; Cass. 12 ottobre 2018, n. 25378).
7.3. Ebbene, se la disciplina normativa è quella vigente al momento dell’assunzione dell’obbligazione, questo deve essere individuato, nel caso di specie, non già all’atto della stipulazione dell’appalto, che costituisce il rapporto istitutivo del regime di solidarietà (tra committente imprenditore o datore di lavoro e appaltatore), ma della maturazione del credito (nella data indiscussa del 28 giugno 2012, per la sua matrice causale nel CCNL del 28 giugno 2012), essendo la committente obbligata in solido con l’appaltatore per i trattamenti retributivi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto. Tanto meno, essa potrebbe essere individuata nel momento di esigibilità del credito (secondo gli accordi di corresponsione degli importi dovuti, in ragione del 50% con la retribuzione del mese di agosto 2012 e del residuo 50% con la retribuzione del mese di ottobre 2012: come accertato dalla sentenza del Tribunale di Genova, integralmente trascritta da pg. 9 a pg. 13 del ricorso), in quanto elemento accidentale e non costitutivo dell’obbligazione “garantita” dal regime di solidarietà. Tanto chiarito, la disciplina correttamente applicabile è pertanto quella dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003, nel testo novellato (non tanto dall’art. 4, comma 31, lett. b) I. 92/2012, in vigore dal 18 luglio 2012, ma) dall’art. 21 d.l. 9 febbraio 2012, conv. con mod. in I. 4 aprile 2012, n. 35, in vigore (prima della maturazione del credito) dal 7 aprile 2012, secondo cui, in particolare: “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento”. E segnatamente: “Ove convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore, il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di entrambi gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore”.
7.3. Sicché, esclusa per quanto detto l’applicabilità della disciplina (di soppressione del beneficio di escussione) introdotta dal d.l. 25/2017, conv. con mod. in l. 49/2017 (in vigore dal 22 aprile 2017), secondo la contraddittoria prospettazione del ricorrente M.S. nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., nel caso di specie deve essere affermata l’operatività del regime di sussidiarietà della responsabilità solidale della committente T. s.p.a., già vigente (dal 7 aprile 2012) al momento di insorgenza del credito (28 giugno 2012) ingiunto in pagamento con il decreto ingiuntivo.
8. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 112, 324, 645, 653, primo comma, 654 c.p.c., 2909 e 2697 c.c. per esclusione dell’efficacia di titolo esecutivo del decreto ingiuntivo definitivo anche nei confronti della committente, ai sensi dell’art. 1676 c.c., è fondato: sia pure ai limitati fini della correzione della motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.p.c.
8.1. Deve, infatti, essere affermata la qualità di unico titolo esecutivo del decreto ingiuntivo, qualora, come nel caso di specie, l’opposizione ad esso sia integralmente rigettata e la sua esecutorietà sia collegata alla sentenza di rigetto, in forza della quale venga sancita indirettamente, con attitudine al giudicato successivo, la piena sussistenza del diritto azionato, nell’esatta misura e negli specifici modi in cui esso è stato posto in azione nel titolo: costituendo, invece, la sentenza titolo esecutivo solo per le eventuali, ulteriori voci di condanna in essa contenute (Cass. 27 agosto 2013, n. 19595). E ciò in stretta analogia con l’ipotesi del decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o di estinzione del relativo giudizio, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso (con preclusione di ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio): in applicazione del principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logicogiuridico (Cass. 6 settembre 2007, n. 18725; Cass. 28 novembre 2017, n. 28318; Cass. 24 settembre 2018, n. 22465).
8.2. Ebbene, nel caso di specie, hanno acquistato efficacia di titoli esecutivi, in esito all’integrale rigetto delle opposizioni avverso di essi ai sensi dell’art. 654, primo comma c.p.c., i decreti ingiuntivi dei lavoratori in riferimento alle causae petendi delle domande di condanna in essi contenute nei confronti della committente T. s.p.a. “a titolo di responsabilità solidale dell’appaltante ex art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003”: come esplicitamente indicato al penultimo capoverso di pg. 2 della sentenza e parimenti dalle parti, con l’espressa aggiunta anche della solidarietà ai sensi dell’art. 1676 c.c. (come si legge al secondo capoverso di pg. 2 del ricorso e del primo periodo di pg. 2 del controricorso).
8.3. Tuttavia, in assenza della previa escussione del patrimonio della società appaltatrice datrice di lavoro, obbligata principale, per la deduzione tempestiva dalla committente del relativo beneficio, manca la condizione di procedibilità dell’azione esecutiva dei lavoratori nei confronti dell’obbligata sussidiaria, la cui inosservanza può essere eccepita dalla medesima mediante opposizione a norma dell’art. 615 c.p.c. (Cass. 23.12.1983, n. 7582; Cass. 12 aprile 1994, n. 3399; Cass. 15 luglio 2005, n. 15036; Cass. 14 novembre 2011, n. 23749: tutte in specifico riferimento all’ipotesi del socio di società di persone rispetto alla società partecipata).
9. Dalle superiori argomentazioni, comportanti l’assorbimento del quarto e quinto motivo, discende coerente il rigetto del ricorso, cori regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e l’affermazione, a norma dell’art. 384, primo comma, primo periodo c.p.c., del seguente principio di diritto: “Nella successione delle disposizioni diversamente regolanti, alla stregua di solidarietà in senso stretto ovvero sussidiaria (per la previsione di un beneficio di escussione), in caso di appalto di opere o di servizi, la responsabilità del committente imprenditore o datore di lavoro con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 29, secondo comma 276/2003, si applica, per la sua natura sostanziale, il regime di solidarietà vigente al momento di assunzione dell’obbligazione, e quindi di insorgenza del credito del lavoratore”.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i lavoratori alla rifusione, in favore della controricorrrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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