CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 giugno 2018, n. 15524
Licenziamento – Indebita ricezione di un regalo – Rimborsi non dovuti – Favoritismi – Comportamento illecito penalmente rilevante – Lesione del vincolo fiduciario
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Milano aveva respinto il ricorso proposto da A.D. diretto ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli per avere accettato un orologio al fine di compiere atti relativi al suo impiego di funzionario Equitalia.
2. Con sentenza del 14.7.2016, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la spa Equitalia a pagare, in favore dell’A., le somme rivendicate a titolo retributivo per il periodo di sospensione cautelare, ammontanti ad euro 37174,66 oltre accessori dal dovuto al saldo, confermando la decisione nel resto.
3. La Corte rilevava che non poteva condividersi quanto sostenuto dall’appellante con riguardo alla diversità del fatto contestato in sede disciplinare rispetto a quello accertato in sede penare, posto che la contestazione – riferita alla indebita ricezione di un regalo, orologio Omega del valore di 2000,00 euro, per essersi l’A. attivato al fine di consentire l’ottenimento, da parte del G.M., del rimborso di crediti d’imposta pari a complessivi euro 7.647.000,00, in realtà non dovuti, poi effettivamente corrisposti alle società -, sebbene vi fosse stata derubricazione in sede penale del reato originariamente ascritto ai sensi dell’art. 318 co. 2 c.p., che punisce il pubblico ufficiale che riceve una retribuzione che non gli è dovuta in conseguenza di un atto dell’ufficio, aveva trovato comunque conferma quanto alla condotta di accelerazione dei rimborsi ed all’abuso della propria posizione da parte del dipendente. Secondo la Corte non si era creata la discrasia dedotta tale da rendere illegittima la sanzione comminata, essendo rimasto in essere un comportamento illecito non solo penalmente rilevante, ma gravemente incidente sul rapporto di lavoro, che, sebbene meno grave sotto il profilo penale rispetto alla condotta originaria oggetto di imputazione, rientrava nel fatto come contestato ed era portatore di un grave disvalore tale da compromettere la correttezza e la fiducia richieste ai funzionari Equitalia, avendo l’A. dato corso a favoritismi nella erogazione dei rimborsi.
4. La condotta costituiva, poi, secondo la Corte, violazione dell’art. 32 del CCNL di settore, che stabiliva che il personale, nell’esplicazione della propria attività di lavoro, doveva tenere “una condotta costantemente informata ai principi di disciplina, di lealtà e di moralità”.
5. Quanto alle differenze retributive afferenti al periodo di sospensione cautelare dalla prestazione lavorativa (concernenti buoni pasto, premio incentivante e premio aziendale) si riteneva che tali emolumenti erano dovuti sulla base dell’art. 35 c.c.n.I.
6. Di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso l’A., che propone ricorso incidentale affidato a due motivi – illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste, con proprio controricorso, la società.
Ragioni della decisione
1. Per motivi di priorità logico giuridica, va esaminato preventivamente il ricorso incidentale proposto dall’A..
2. Con lo stesso si denunzia, al primo motivo, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla mancata considerazione della diversità della contestazione rispetto al fatto di rilevanza disciplinare come emerso in giudizio, anche a seguito di sentenza penale che aveva accertato che le attività svolte dall’A. non erano afferenti a rimborsi non dovuti, ma all’espletamento di condotte di accertamento e stimolazione nei riguardi di Equitalia Nord affinchè erogasse più puntualmente e celermente rimborsi erariali alla M., che risultavano comunque legittime spettanze della società. Era, poi, pacificamente emerso che l’A. avesse ricevuto il regalo dopo aver compiuto atti del suo ufficio e non prima, per poi attivarsi.
2. Con il secondo motivo, si lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 7 I. 300/70, con riferimento all’immutabilità della contestazione ed irrilevanza dei fatti non contestati quali elementi costitutivi della mancanza del lavoratore addotta a motivazione del licenziamento. In particolare, si evidenzia come il fatto posto a base della contestazione disciplinare non fosse stato mai accertato né in sede civile che in sede penale e che lo stesso era diverso da quello, molto meno grave, preso in considerazione dal Giudice per valutare il licenziamento per giusta causa come legittimo e fondato.
3. I due motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente per l’evidente connessione sussistente tra le questioni che ne costituiscono l’oggetto, non mancandosi di osservare che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. è precluso in relazione a sentenze di merito che configurino l’ipotesi di “doppia conforme”, come si è verificato nella specie in rapporto alla specifica questione dibattuta.
4. E’ principio pacifico quello alla cui stregua, in tema di licenziamento disciplinare, il fatto contestato ben può essere ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare, dato che, in tal caso, non si verifica una modifica della contestazione, ma solo un diverso apprezzamento dello stesso, essendo, tuttavia, preclusa la considerazione di circostanze diverse rispetto a quelle contestate (cfr. Cass. 10.11.2017 n. 26678, Cass. 22.3.2011 n. 6499, secondo cui in tema di licenziamento disciplinare, il fatto contestato ben può essere ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare – dato che, in tal caso, non si verifica una modifica della contestazione, ma solo un diverso apprezzamento dello stesso fatto -, ma l’immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di far poi valere, a sostegno della legittimità del licenziamento stesso, circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell’infrazione anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva, dovendosi garantire l’effettivo diritto di difesa che la normativa sul procedimento disciplinare di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 assicura al lavoratore incolpato).
5. Tale principio risulta affermato in ulteriori numerose pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 30433 del 19.12.2017, n. 29614 del 11.12.2017, n. 17604 del 10/08/2007 n. 11265 del 2000, Cfr. altresì Cass. lav. n. 22752 del 3/12/2004).
6. Ciò nondimeno, deve aversi riguardo al principio, ugualmente affermato in più precedenti di questa Corte, in forza del quale, in tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, pur dovendosi escludere che il giudice di merito possa esaminarli atomisticamente, attesa la necessaria considerazione della loro concatenazione ai fini della valutazione della gravità dei fatti, non occorre che l’esistenza della “causa” idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto sia ravvisabile esclusivamente nel complesso dei fatti ascritti, ben potendo il giudice – nell’ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro – individuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dall’art. 2119 cod. civ. (cfr., in tal senso, Cass. 2.2.2009 n. 2579, Cass. 31.10.2013 n. 24574, Cass. 30.5.2013 n. 24574).
7. Nella specie, la Corte ha espresso una motivazione conforme ai richiamati principi. E’ stato, invero, evidenziato che, pure essendo emerso, all’esito del procedimento di prime cure in sede penale che le attività svolte dall’A. non erano afferenti a rimborsi non dovuti, bensì all’espletamento con eccessivo zelo di condotta di accertamento e “stimolazione” nei riguardi di Equitalia Nord affinchè erogasse più puntualmente e celermente rimborsi erariali alla Società M., che risultavano comunque legittime spettanze della società, in ogni caso era ravvisabile un abuso della posizione dovuto all’accelerazione garantita unicamente alle 15 società del G.M. e collegato alla ricezione del dono dell’orologio da parte della società beneficiaria. Si è aggiunto che la condotta, anche se meno grave sotto il profilo penale rispetto a quella originariamente oggetto di imputazione, rientra comunque nel fatto contestato e viola il vincolo di lealtà, correttezza e buona fede su cui si basa il rapporto di lavoro, ponendosi in violazione dell’art. 32 del CCNL di settore, il quale prevede che “il personale, nell’esplicazione della propria attività di lavoro, deve tenere una condotta costantemente informata ai principi di disciplina, di lealtà e moralità”.
8. La richiamata ricostruzione fattuale e giuridica, in quanto conforme ai principi su richiamati, non è scalfita dai rilievi svolti nel ricorso incidentale, posto che diversa è la fattispecie esaminata – nella quale anche solo una parte della condotta addebitata poteva rilevare ai fini della sussistenza del fatto disciplinarmente rilevante quale contestato – da quella in cui venga compiuta una valutazione sulla giuridica rilevanza disciplinare di circostanze ulteriori rispetto a quelle formanti oggetto dell’originaria contestazione.
9. Il ricorso principale denuncia: 1. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro, sostenendosi che molte delle voci retributive erano non dovute al lavoratore nel periodo di sospensione cautelare, poiché relative allo svolgimento effettivo dell’attività lavorativa che nella specie non vi era stato e che il rapporto si era legittimamente interrotto a causa delle responsabilità del lavoratore, sicché nessuna ricostituzione ne doveva essere operata ed il rapporto doveva considerarsi risolto ex tunc; 2. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte omesso di esaminare la documentazione depositata da Equitalia nel giudizio di primo grado che asseritamente comprovava che una parte della somma era stata corrisposta all’appellante;
3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 41, 42, 49, 50, 107 c.c.n.I., in relazione ad importi riconosciuti pur presupponendo la relativa erogazione lo svolgimento in concreto di attività lavorativa (buoni pasto, premio di rendimento, premio aziendale, sistema incentivante). Si assumono come dovuti, invece, ai sensi dell’art. 34 c.c.n.I., gli emolumenti che determinano la retribuzione base, e cioè stipendio base, scatti di anzianità, importo ex ristrutturazione tabellare, assegni ad personam, assegno nucleo familiare e 13°.
10. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in ragione della mancata trascrizione della norma contrattuale di cui all’art. 35 ccnl che non consente di agganciare alla cessazione del rapporto una serie di conseguenze restitutorie che solo una espressa previsione potrebbe legittimare, a prescindere dalla considerazione che non è assolto l’onere di specificità sancito dall’art. 366, I comma, n. 6, c.p.c., neanche con riguardo alle somme, diverse da quelle connesse al giudizio di appello, oggetto della pretesa restitutoria della società.
11. La censura di cui al secondo motivo, che denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, è ugualmente inammissibile. L’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In disparte i rigorosi oneri di indicazione, ex artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., del “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, del “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e della sua “decisività”, va ricordato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. s.u. 07/04/2014 n. 8053). Questa Corte, nella sentenza a sezioni unite richiamata, ha chiarito che nella sua nuova formulazione la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione con la conseguenza che è 5 r.g. n. 27409/2015 denunciabile in cassazione solo quell’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. n. 8053 del 2014 cit.).
12. Sul terzo motivo, si osserva che non risulta chiarito in modo idoneo a supportare i rilievi formulati quali sono gli importi duplicati, laddove, per le voci che in sentenza sono indicate come dovute in restituzione, non si indica dove sono depositati atti e documenti che si assumono prodotti in primo grado, utili ad indicarne anche analiticamente gli importi ed i periodi di riferimento, e non se ne menziona la sede di produzione, né si procede alla relativa trascrizione, in dispregio degli oneri di specificazione e deposito, o di quello, alternativamente previsto, di indicazione della relativa sede di rinvenimento.
13. Alla stregua delle esposte considerazioni, deve pervenirsi al rigetto di entrambi i ricorsi.
14. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
15. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002, per la ricorrente principale e per quello incidentale.
P.Q.M.
Rigetta entrambi i ricorsi e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R.
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