CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 giugno 2018, n. 15525
Comodato di ramo di azienda – Persistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Applicabilità dell’art. 2112 cc – Autonomia funzionale del ramo ceduto
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 9956/2012 la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa il 12 novembre 2008 dal Tribunale della stessa città, ha dichiarato l’inefficacia nei confronti di V.C., A.M., R.N. e L.C. del comodato di ramo di azienda stipulato il 14.9.2006 da V.M. spa e S.I. spa, con conseguente persistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la predetta V.M. spa.
2. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno rilevato che: 1) l’eccezione di improcedibilità del gravame non era fondata attesa la non perentorietà del termine ex art. 435 2° comma cpc; 2) sussisteva l’interesse ad agire dei lavoratori che può consistere anche nella individuazione del corretto datore di lavoro; 3) le questioni relative alla forma del contratto e alla omessa registrazione dello stesso erano prive di rilevanza atteso che l’applicabilità dell’art. 2112 cc prescinde dalla tipologia negoziale o del provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato; 4) non era ravvisabile, nella vicenda contrattuale oggetto di giudizio, una valida cessione di ramo di azienda, riconducibile alla disciplina dell’art. 2112 cc sia per la insussistenza del ramo medesimo prima del contratto di comodato sia per la mancanza di particolare professionalità del personale ceduto sia, infine, per la inconsistenza dei beni strumentali trasferiti.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione V.M. spa affidato a due motivi, illustrati con memoria.
4. Hanno resistito i soli V.C., A.M. e R.N. con controricorso.
5. La S. spa, nel costituirsi con controricorso, pur facendo constatare che non erano state spiegate domande nei suoi confronti, ha chiesto la cassazione della impugnata pronuncia sulla base di tre motivi.
6. Con altra sentenza (n. 1902/2017) sempre la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia resa in data 26.6.2014 dal Tribunale della stessa città con cui, in accoglimento del ricorso proposto da V.C., A.M. e R.N., era stato ordinato a V.M. C.C.P. spa di usufruire delle prestazioni di lavoro dei ricorrenti ed era stato dichiarato il diritto di questi ultimi a rifiutarsi di prestare la propria attività lavorativa in favore di C. & M.S. srl.
7. La originaria domanda dei lavoratori era diretta – sul presupposto di avere ottenuto dalla Corte di appello di Roma la precedente pronuncia che aveva dichiarato la inefficacia, nei loro confronti, del contratto di cessione del ramo di azienda intervenuto tra V.M. spa e la Società S.I. la quale aveva, poi, ceduto il contratto di comodato alla C. & M.S. srl – ad ottenere la declaratoria del loro diritto a prestare l’attività lavorativa appunto nei confronti della prima cedente e a rifiutarsi a renderla per l’ultima cessionaria.
8. I giudici di secondo grado, a fondamento del decisum, hanno rilevato che: 1) la sentenza n. 9956/2012 della Corte di appello di Roma aveva efficacia esecutiva, sebbene non passata in giudicato; 2) legittimamente i lavoratori avevano chiesto al Tribunale di fare accertare il loro diritto di prestare attività lavorativa soltanto alle dipendenze di V.M. spa; 3) non era altresì ravvisabile alcun vizio di omessa pronuncia avendo i lavoratori, con il ricorso di primo grado, dedotto in modo specifico circa l’irrilevanza ed inefficacia nei loro riguardi della cessione del contratto di comodato del ramo di azienda intervenuto tra la S.I. spa e la C. & M.S. srl.
9. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la spa V.M. C.C.P. spa affidato a due motivi, illustrati con memoria.
10. Hanno resistito con controricorso V.C. e A.M.
11. La C. & M.S. srl è rimasta intimata.
12. Per entrambi i ricorsi è stato depositato atto di rinunzia agli atti e all’azione da parte di V.M. – C.C. spa, nei soli confronti di R.N., debitamente accettata.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente deve darsi atto dell’avvenuta riumone al presente procedimento del ricorso RG. n. 23959/2017 per motivi di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva.
2. Con il primo motivo, nell’ambito del giudizio RG. n. 13149/2013, la V.M. spa denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cc, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale che: a) il trasferimento di azienda ex art. 2112 cc può comprendere nel suo ambito applicativo anche il trasferimento di una attività realizzata con l’impiego di un insieme organizzato di lavoratori e di beni materiali di trascurabile entità o addirittura in assenza di supporto strumentale; b) il personale interessato all’operazione fosse privo di qualsiasi professionalità; c) un indice idoneo a suffragare la pretesa insussistenza di un autonomo ramo di azienda fosse la gratuità della concessione in comodato alla S.I. spa delle articolazioni di V.M. spa aventi ad oggetto i servizi di prima accoglienza e di igiene ambientale per le aree di non degenza.
3. Con il secondo motivo si censura l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, degli indici indicati dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità per ritenere, nel caso in esame, dimostrata la sussistenza di un complesso organizzato di persone e di elementi idonea a fare considerare legittimo il trasferimento ex art. 2112 cc, cioè la cessione di due articolazioni (servizi di prima accoglienza e igiene ambientale per le aree di non degenza) che erano preesistenti alla cessione, nonché del contratto di appalto collegato al comodato che avrebbe consentito di accertare la presenza di servizi economicamente valutabili.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la S.I. spa lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cc, ex art. 360 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito che non si fosse realizzata una valida cessione di ramo di azienda ex art. 2112 cc.
5. Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 n. 5 cpc e cioè che i lavoratori interessati non avevano patito alcun nocumento sotto il profilo dei diritti soggettivi della intervenuta cessione e che l’operazione organizzativa realizzata nel caso de quo era reale e non fittizia.
6. Con il terzo motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cpc, ex art. 360 n. 3 cpc, per essere stata condannata in solido con V.M. spa al pagamento delle spese di lite pur non essendo stata avanzata alcuna domanda nei suoi confronti e pur non avendo essa dato causa al giudizio.
7. Con il primo motivo, nell’ambito del giudizio RGi n. 23959/2017, la spa V.M. – C.C.P. – denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 cpc (litispendenza), ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, per non avere rilevato la Corte territoriale che la domanda dei lavoratori era la stessa di quella avanzata nel precedente ricorso definito con la citata sentenza n. 9956/2012.
8. Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2908 cc e 337 cpc (non esecutività della sentenza), con riferimento all’art. 360 n. 3 e n. 4 cpc, perché la sentenza n. 9956/2012 della Corte di appello, avendo natura dichiarativa e costitutiva, ma non di condanna, non poteva essere dotata di esecutività se non prima di essere passata in giudicato.
9. Orbene, devono, inizialmente, dichiararsi estinti i processi, relativamente al rapporto processuale tra V.M. – C.C.P. spa – e N.R., nulla disponendo in ordine alle relative spese ex art. 391 cpc, per intervenuta rinuncia della ricorrente agli atti e all’azione e contestuale accettazione della controparte.
10. Ciò premesso, i primi due motivi del ricorso proposto da V.M. spa ed i primi due di S.I. spa, nell’ambito del giudizio RG. n. 13149/2013, possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta interdipendenza.
11. Essi sono infondati.
12. In ordine alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cc, hic et inde denunziata, va ricordato il principio di questa Sezione (Cass. sent. n. 10542 del 25.2.2016), che il Collegio condivide, secondo cui “costituisce elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall’art. 2112 cc, anche nel testo modificato dal D.lgs n. 276 del 2003, art. 32, l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionale ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario- il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti”.
13. L’autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto può non coincidere con la materialità dello stesso, ma comunque l’autonomia dell’entità ceduta deve essere obiettivamente apprezzabile, sia pure con possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di verificarne l’imprescindibile requisito comunitario della sua conservazione.
14. L’art. 1 lett. b) della direttiva 2001/23 stabilisce, infatti, che “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”.
15. Ciò suppone una preesistente realtà produttiva funzionalmente autonoma (comma 5 art. 2112 cc come sostituito dall’art. 32 comma 1 d.lgs n. 276/2003) e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento (ex alis Cass. n. 21697 del 13.10.2009; n. 21481 del 9.10.2009; n. 20422 del 3.10.2012).
16. La ratio è quella di evitare che le parti imprenditoriali possano creare, in occasione della cessione, strutture produttive che, in realtà, costituirebbero l’oggetto di una forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un’entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità (Cass. n. 19740 del 17.7.2008 e n. 21481/2009 cit.).
17. La Corte di Giustizia, cui compete l’interpretazione del diritto comunitario, ha affermato che, proprio per garantire una protezione effettiva dei diritti dei lavoratori in una situazione di trasferimento, obiettivo perseguito dalla direttiva 2001/23, il concetto di identità dell’entità economica non può riposare unicamente sul fattore relativo all’autonomia organizzativa (Corte di Giustizia 12.2.2009 C-466/07 Dietmar, punto 43) e che l’impiego del termine <conservi> nell’art. 6, par. 1 commi 1 e 4 della direttiva <implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento> (Corte di Giustizia 6.3.2014, C- 458/12, Amatori, punti 30 e 32) pur non ostando che uno stretto vincolo di committenza ed una commistione del rischio di impresa non possa costituire di per sé ostacolo all’applicazione della direttiva 2001/23 (sentenza CG citata, Amatori, punto 50).
18. Ebbene, ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione di tali principi rilevando, nella vicenda contrattuale oggetto di giudizio, che non si sia realizzata una valida cessione di azienda ex art. 2112 cc.
19. Invero i giudici di secondo grado, procedendo correttamente alla verifica della sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta prevista dalla legge, hanno valutato tutti gli elementi necessari per l’applicabilità o meno del disposto di cui all’art. 2112 cc: l’insussistenza di un ramo di azienda che emergeva evidente già all’esame del contratto di comodato e di contestuale affidamento in appalto dei servizi di prima accoglienza, di centralino e di igiene ambientale per le aree di non degenza; la assoluta inconsistenza dei beni strumentali ceduti, la gratuità degli stessi e la loro potenziale improduttività nonché la mancanza di particolare professionalità del personale, giungendo alla condivisibile conclusione che non si verteva in una ipotesi di cessione di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture già esistenti al momento del trasferimento e, dunque, non solo teorica o potenziale (Cass. 23.2.2016 n. 5038).
20. Le doglianze formulate ex art. 360 n. 5 cpc sono, poi, inammissibili perché i fatti controversi da indagare, in esse indicati, da non confondere con la valutazione delle relative prova, sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte capitolina; sicché non di omesso esame si tratta, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dai ricorrenti (cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
21. Infine, anche il terzo motivo del ricorso incidentale della S.I. spa è infondato.
22. La violazione del precetto di cui all’art. 91 cpc, che impone di condannare la parte soccombente al pagamento totale delle spese giudiziali, salvi i casi di compensazione totale o parziale delle stesse, si configura ogni qualvolta il giudice ponga, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (cfr. Cass. 4.6.2007 n. 12963).
23. La individuazione del soccombente, poi, si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che, col comportamento tenuto fuori dal processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi Cass. 30.5.2000 n. 7182; Cass. 27.11.2006 n. 25141).
24. Nel caso in esame, non è ravvisabile alcuna violazione del disposto di cui all’art. 91 cpc in quanto, da un lato, la S.I. spa è risultata soccombente sostanziale rispetto alle domande proposte in fase di merito; dall’altro, deve rilevarsi, come emerge dalla sentenza gravata, che la predetta S.I. spa ha comunque resistito alle istanze dei lavoratori, sostenendo la legittimità della cessione del contratto.
25. Il primo motivo di V.M. – C.C. spa, proposto nel ricorso RG. n. 23959/2017, è inammissibile.
26. Invero, per aversi litispendenza ai sensi dell’art. 39 comma 1 cpc, occorre la contemporanea pendenza della stessa causa, tale dovendosi considerare quella di cui siano duplicati tutti gli elementi soggettivi (personae) e oggettivi (petitum e causa petendi) (cfr. Cass 15.4.2004 n. 7144; Cass. 16.3.2017 n. 6826).
27. La nozione di stessa causa, in questo contesto, deve essere desunta dai limiti oggetti del potenziale giudicato interno, nel senso che tale identità deve essere riconosciuta quando il bene della vita attribuibile ad una parte nei confronti dell’altra, ove fosse oggetto di giudicato in una delle due cause, non potrebbe essere più posto in discussione nella seconda causa, fra le medesime parti, perché già oggetto di decisione definitiva.
28. Nella fattispecie in esame, invece, l’oggetto del secondo giudizio riguardava, in sostanza, una diversa cessione del contratto di comodato rispetto a quello del processo definito con sentenza della Corte di appello n. 9956/2012; inoltre, le parti coinvolte erano parzialmente diverse: la S.I. spa nel primo, la C. & M.S. srl nel secondo.
29. La diversità del titolo, delle parti (parzialmente) e dell’oggetto (contratto di comodato) fa sì, pertanto, che tra i due giudizi intercorra una ipotesi di connessione oggettiva di cui all’art. 40 comma 1 cpc (ma non di litispendenza o di continenza), in cui la decisione dell’uno può spiegare effetti, in virtù di una situazione di pregiudizialità logicogiuridica di tipo diacronico, nei confronti dell’altro, ma non di identità di beni giuridici attribuibili ad una parte in quanto le rispettive domande non ne esaurivano l’oggetto venendo in rilievo, nell’una e nell’altra, diverse ed ulteriori pretese.
30. A fronte di tali principi, osserva il Collegio che la doglianza circa la violazione dell’art. 39 cpc è, quindi, inammissibile e ciò anche con riguardo al profilo prospettato circa una declaratoria parziale di litispendenza, nei soli confronti di V.M. C.C. spa, atteso che diversi erano i presupposti per la chiesta dichiarazione di sussistenza del rapporto di lavoro in capo alla detta società: in particolare, la illegittimità della cessione del contratto di comodato con la S.I. spa, nel primo giudizio; la illegittimità, invece, di quello tra S.I. spa e la C. & M.S. srl, nel secondo.
31. La trattazione del secondo motivo, invece, è resa superflua dal rigetto dei motivi formulati da V.M. spa in relazione al giudizio RG. n. 13149/2013, proprio per quel rapporto di pregiudizialità di cui si è fatto cenno, dal momento che l’inefficacia della cessione del contratto con la S.I. spa spiega necessariamente i suoi effetti su quella successiva intervenuta tra quest’ultima e la C. & M.S. srl, la cui legittimità avrebbe comportato l’obbligo dei lavoratori di rendere la prestazione lavorativa in favore di quest’ultima.
32. In conclusione, pertanto, riuniti i ricorsi di cui in epigrafe, vanno dichiarati estinti i processi tra V.M. – C.C.P. spa – e N.R.; devono essere rigettati i ricorsi (principale ed incidentale) proposti da V.M. -C.C.P. spa – e S.I. spa, nel giudizio RG n. 13149/2013; va, infine, dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso RG. n. 23959/2017 e assorbito il secondo.
33. Quanto alle spese, per il giudizio RG n. 13149/2013, V.M. – C.C.P. spa – e S.I. spa vanno ciascuna condannate al pagamento di quelle sostenute da C.V. e M.A., mentre devono essere compensate quelle relative al rapporto processuale tra le due società essendo le stesse allineate sulla medesima posizione; per il giudizio RG n. 23959/2017 alla rifusione delle spese sostenute da C.V. e M.A. va condannata la sola V.M. – C.C.P. spa – mentre nulla va disposto per quelle relative alla C. & M.S. srl rimasta intimata. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara estinti i processi tra V.M. C.C.P. spa e N.R., nulla disponendo per le relative spese; rigetta i ricorsi proposti da V.M. – C.C.P. spa – e S.I. spa, nel ricorso RG n. 13149/2013, compensando tra le società le spese del presente giudizio di legittimità e condannando ciascuna delle società medesime al pagamento, in favore di C.V. e M.A., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso RG. n. 23959/2017 e assorbito il secondo; condanna la ricorrente V.M. – C.C.P. spa – al pagamento, in favore di C.V. e M.A., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; nulla per quelle relative all’intimata non costituita. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale V.M. – C.C.P. spa – (per entrambi i ricorsi) e della ricorrente incidentale S.I. spa (per il ricorso RG n. 13149/2013), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, principali ed incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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