CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 luglio 2018, n. 18632
Tributi – Società in regime di consolidato fiscale – Vendita pacchetto azionario – Abuso di diritto – Sanzioni – Revisione del sistema sanzionatorio – D.Lgs. n. 158 del 2015 – Applicazione del favor-rei – Condizioni
Fatti di causa
La controversia trova origine dall’impugnazione da parte di N.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, di avviso di accertamento relativo ad IRES 2006 con il quale in relazione al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione “Consolidato nazionale e mondiale 2007”, era stata disconosciuta, ai sensi dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600/73, la deducibilità di interessi passivi perché maturata in relazione ad un finanziamento erogato dalla N. International B.V. alla N. s.p.a. e utilizzato da questa per l’acquisto del pacchetto azionario della M. s.p.a., a lei venduto dalla stessa N. International B.V.
La Commissione Tributaria Provinciale accolse il ricorso della Società ma la decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, è stata integralmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.), con conferma integrale dell’avviso di accertamento.
In particolare, secondo il Giudice di appello, la vendita del pacchetto azionario della M. s.p.a. dalla N. International alla N.I. s.p.a (che acquistava grazie a finanziamento erogato dalla stessa venditrice) integrava un’operazione progettata al sol fine di ottenere un vantaggio fiscale (individuato nell’intento di far gravare sulla Società italiana interessi passivi tali da azzerare l’utile della M. s.p.a. nell’ambito del Consolidato, realizzandosi così, con aggiramento dell’art. 109, comma 9 lett.a) TUIR, la remunerazione dell’investimento con interessi attivi e non, come sarebbe stato corretto, con dividendi).
Avverso la sentenza ricorre la Società su quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La Società ha depositato memoria, ex art. 378 cod.proc.civ., con la quale, tra l’altro, ha chiesto il riconoscimento dell’applicazione della disciplina sanzionatoria introdotta dal D.Lgs. n. 158/2015, più favorevole ad essa contribuente.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, 342 e 324 cod.proc.civ. laddove la C.T.R. non aveva dichiarato l’appello, proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la decisione di primo grado, inammissibile per mancanza di motivi specifici, essendosi limitata l’appellante a riprodurre letteralmente il contenuto delle controdeduzioni depositate innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale.
1.1. La censura ammissibile (alla luce dei principi ribaditi di recente da Cass. 24247/2016, ma già affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 17931 del 2013, <<il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione ivi stabilite, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Ne deriva che, ove il ricorrente lamenti l’errore processuale consistito nell’aver ritenuto ammissibile una domanda in violazione delle preclusioni processuali, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo alla norma processuale violata, purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa violazione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché si riferisca esclusivamente alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.>>) è, però, infondata.
1.2. Costituisce, invero, orientamento prevalente di questa Corte, che il Collegio condivide e, di recente, ribadito da Cass. n. 7369 del 22/03/2017, che <<nel processo tributario, ove l’amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall ‘art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992>> e, ancora, che <<in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni>> (v. Cass. n. 9083 del 07/04/2017; id n. 20379 del 24/08/2017).
1.3. E, nella specie, tra l’altro, l’atto di appello (pagg. 2 e 3) investe direttamente la sentenza impugnata, individuandone il capo, ritenuto privo di motivazione.
2. Al rigetto del primo motivo consegue il rigetto del secondo, basato sulla fondatezza del primo mezzo e con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n.4 c.p.c. la nullità della sentenza per error in procedendo per non avere la Commissione tributaria Regionale rilevato il giudicato interno formatosi in conseguenza dell’inammissibilità dell’appello.
3. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 109, co 9 lett. a) d.P.R. n. 917/1986 laddove la C.T.R. aveva ritenuto elusiva, ai sensi della norma citata, l’operazione di vendita, tramite finanziamento, da N.I. a N.I. s.p.a.
3.1 Secondo la prospettazione difensiva della ricorrente, invece, il complesso delle attività compiute non poteva avere carattere anomalo o inadeguato in quanto la Società Italiana, controllata, non aveva alcun potere coercitivo nei confronti della controllante e, priva di risorse finanziarie, avrebbe dovuto in ogni caso accedere ad un finanziamento.
4. Con il quarto motivo, infine, si denuncia la sentenza impugnata di insufficiente motivazione laddove la C.T.R. non aveva adeguatamente esaminato e valutato l’origine, la necessità e la strumentalità del finanziamento, unico strumento a cui poteva ricorrere la Società, priva di risorse, per acquisire la totalità della partecipazione in M..
5. Prima di procedere alla trattazione dei mezzi di impugnazione, appare opportuno premettere in fatto, che, a fronte dei vari atti con cui il gruppo N. di diritto olandese (del quale la ricorrente fa parte) ha proceduto all’acquisizione della società di diritto italiano M. s.p.a., l’operazione disconosciuta dall’Amministrazione finanziaria è l’ultima in ordine temporale, ovvero la vendita dell’intero pacchetto azionario della M. s.p.a alla N.I. s.p.a. da potere della N. International BV (all’epoca titolare del 100% sia delle azioni M. s.p.a. che della N.I. s.p.a.), il cui prezzo è stato corrisposto grazie a un finanziamento, con interessi semestrali ad un tasso del 4,3725%, effettuato in favore della compratrice dalla stessa venditrice (da cui il disconoscimento della deducibilità dei relativi interessi passivi).
Secondo l’Agenzia delle entrate tale operazione, il cui fine ultimo avrebbe potuto ottenersi egualmente attraverso il conferimento della M. s.p.a. da N.I. a N.I. s.p.a., nella forma di aumento gratuito del capitale, aveva quale unico scopo l’indebito vantaggio fiscale costituito da una riduzione dell’imponibile in Italia. Infatti, avendo la N.I. s.p.a. e la M. s.p.a. optato per il consolidato nazionale, l’operazione avrebbe permesso di ridurre la base imponibile di quest’ultima Società per effetto degli oneri finanziari corrisposti dalla N.I. s.p.a. alla sua controllante (N. International), mentre senza i suddetti oneri finanziari la Società italiana (oggi controricorrente) non avrebbe realizzato le perdite fiscali indicate in dichiarazione e, conseguentemente, il reddito complessivo globale della dichiarazione consolidata sarebbe risultato notevolmente più elevato.
5.1. In diritto, in relazione all’istituto dell’abuso del diritto di elaborazione comunitaria (in relazione ai tributi armonizzati) e successivamente accolto anche dall’ordinamento statale (in relazione alle imposte sui redditi ex art. 37 bis d.p.r. n. 600/1973) va rilevato che, sulla scia della pronuncia delle Sezioni Unite n. 30055 del 23/12/2008 (<<in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione), può dirsi, ormai, consolidato l’orientamento di questa Corte nel senso di ritenere che l’operazione economica che abbia quale suo elemento (non necessariamente unico, ma comunque) predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco costituisce condotta abusiva, ed è, pertanto, vietata allorquando non possa spiegarsi altrimenti (o, in ogni caso, in modo non marginale) che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, incombendo, peraltro, sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (cfr. tra le altre e di recente Cass. n. 5090 del 28.2.2017 la quale ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come abusiva, perché diretta unicamente ad ottenere un risparmio d’imposta, un’operazione con la quale una banca aveva stipulato un contratto di capitalizzazione per un’ingente somma di denaro con un istituto di credito appartenente al medesimo gruppo bancario e, per finanziarlo, aveva contratto, il giorno precedente, un prestito di pari importo con la società capogruppo, ma con interessi passivi più alti ed interamente dedotti dai redditi).
5.2. Gli indici sintomatici ai quali, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza di questo Giudice di legittimità, occorre attingere per la dimostrazione dell’abusività della condotta, non vanno ricercati nella causa (funzione economico sociale) o negli effetti giuridici del negozio o della complessa operazione negoziale (diretti a disciplinare il regolamento di interessi voluto dalle parti), ma devono essere ricercati nel limite imposto dalla convenienza economica dell’operazione, nel senso che, data la peculiare situazione economico patrimoniale ed il tipo di organizzazione aziendale o societaria del soggetto, rilevate ex ante rispetto alla operazione economica da compiere, detto limite è rispettato se la modifica di tale situazione – mediante l’attività negoziale posta in essere – è rispondente a logiche di mercato ed in ultima analisi ai principi di economicità della gestione: ove tali requisiti di economicità non siano, invece, rinvenibili nell’operazione realizzata, ma la fattispecie negoziale posta in essere consenta, comunque, di realizzare, mediante una diversa allocazione delle risorse economico-patrimoniali preesistenti, un trattamento fiscale più favorevole, allora la duplice combinazione di tali elementi (carente giustificazione economica dell’operazione, realizzazione di un risparmio fiscale) consente di pervenire a qualificare l’operazione come elusiva in quanto diretta esclusivamente ad impedire la verificazione del presupposto di imposta (v. Cass. n. 26781/2013; 21782/2011; 1372/2011; 12249/2010).
6. Alla luce degli illustrati e condivisi principi, il terzo motivo va rigettato.
La sentenza impugnata, infatti, ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento, come interpretata da questo Giudice di legittimità (e sopra illustrata) evidenziando la sussistenza di tutti presupposti, come sopra specificati, necessari al fine di considerare elusiva l’operazione posta in essere; mentre al contrario, gli elementi addotti dalla Società (la sua qualità di controllata che le avrebbe impedito di determinare le scelte gestionali della controllante), appaiono inidonei allo scopo.
Il Giudice di appello, infatti, – dopo avere rilevato che la M. s.p.a., acquistata dalla K.N. N.V. è stata da questa conferita alla propria partecipata N. International B.V. e da questa, invece, venduta alla propria partecipata di diritto italiano N.I. s.p.a. – ha ritenuto, sulla base dei fatti allegati dalle parti, che l’ultima operazione di vendita era stata progettata al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale e ciò anche valorizzando le difese della stessa contribuente (in ordine al peso dell’onere dell’indebitamento sull’una o sull’altra Società del medesimo gruppo), e rilevandone la debolezza proprio sulla considerazione che la Società venditrice aveva ricevuto la M. s.p.a. per conferimento, senza avere sostenuto, quindi, oneri finanziari.
Il Giudice di appello ha, quindi, correttamente ritenuto che il finanziamento posto a base del successivo passaggio, dalla N. International B.V. non potesse essere spiegato, altrimenti, se non con l’unico scopo di far gravare sulla società italiana interessi passivi tali da far azzerare l’utile della M. s.p.a. nell’ambito del Consolidato nazionale e Mondiale realizzandosi così, con l’aggiramento dell’art. 109, co 9 lett. a) d.p.r. 917/1986 la remunerazione dell’investimento con interessi attivi e non, come sarebbe stato corretto con dividendi.
Infine, altrettanto correttamente, il Giudice di appello ha valutato l’inesistenza di valide ragioni economiche, rilevando come l’operazione di accorpamento delle attività tra la N. e la M. e dei benefici economici derivatane non costituisse l’oggetto del contendere (dato, invece, dall’operazione di finanziamento) e ponendo, invece, l’accento sulla circostanza che la stessa venditrice avesse realizzato di fatto, sia pure limitatamente all’importo di euro 100.000.000, il conferimento della M. s.p.a., con la rinuncia al credito di parte del finanziamento di euro 400.000.000 convertito in patrimonio della Società, anzi immediatamente convertito, …operazione non realizzata per l’intero importo di euro 400.000.000, al solo fine di portare a carico dell’imponibile consolidato gli interessi passivi corrisposti alla capogruppo in Olanda.
7. Inammissibile, infine, deve ritenersi il quarto motivo di ricorso. Il fatto, rispetto al quale si denuncia la sentenza impugnata d’insufficiente motivazione (ovvero la natura necessaria e strumentale del finanziamento contratto da N.I. s.p.a.) era, come si evince dalla lettura integrale della motivazione, ben presente al Giudice di appello il quale, ne ha tenuto conto nella sua valutazione degli elementi probatori, sia pure sotto un angolo prospettico diverso da quello della ricorrente. Sotto questo profilo il mezzo è inammissibile alla luce dell’insegnamento di questa Corte secondo cui non è consentito alla parte censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, sicché le censure poste a fondamento del ricorso non possono risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali differente da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (tra le altre, di recente Cass. n. 19547 del 04/08/2017; id. n. 29404 del 07/12/2017).
8. Per le ragioni sin qui svolte, la sentenza impugnata è immune da censura. In memoria, tuttavia, la società sollecita l’applicazione della disciplina più favorevole introdotta dal d.lgs. n. 158/15, disciplina che, certamente può applicare ai processi in corso.
8.1.In tema, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento espresso da Cass. 9.6.2017 n. 14407 la quale, rilevato che le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015 non rendono la sanzione irrogata automaticamente illegale, perché non operano in maniera generalizzata in favor rei, ha ritenuto che, nell’ipotesi (quale quella in esame) in cui la contribuente in memoria ha richiamato le pagine dell’avviso di accertamento concernenti l’irrogazione delle sanzioni, occorra che il giudice del merito rinnovi la propria valutazione, al fine di verificare se il nuovo valore del minimo previsto per la sanzione sia adeguato alla specifica fattispecie, in considerazione degli elementi soggettivi ed oggettivi rilevanti e se risulti favorevolmente modificato il complessivo trattamento sanzionatorio.
9. Per questo solo aspetto, allora, va cassata la sentenza, con rinvio in relazione a tale profilo, nonché per la regolamentazione delle spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e, in applicazione dello ius superveniens costituito dal d.lgs. n. 158/2015, cassa sul punto la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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