CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 marzo 2018, n. 6042
Contributi Inpgi omessi – Figura del corrispondente – Caratteri distintivi del rapporto di lavoro subordinato – Inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e assoggettamento ai poteri direttivi e disciplinari datoriali – Univocità per qualunque tipo di lavoro – Aspetti e intensità diversi in relazione alla complessità delle mansioni o al contenuto della prestazione
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 23.11.2011, la Corte d’appello di Roma ha confermato la statuizione di primo grado che aveva revocato il decreto ingiuntivo con cui il locale Tribunale aveva ingiunto a C.S. s.r.l. di pagare all’INPGI somme per contributi omessi in danno di vari giornalisti ritenuti suoi corrispondenti.
Ricorre contro tali statuizioni l’INPGI, con due motivi. C.S. s.r.l. resiste con controricors.o. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, comma 1°, c.p.c., anche in relazione agli artt. 88, 167 e 416, comma 3°, c.p.c., nonché degli artt. 2697 c.c. e 111, comma 2°, Cost., per avere la Corte di merito escluso che ciascuno dei giornalisti coinvolti nell’accertamento ispettivo disposto dall’ente previdenziale, ad eccezione di M.F., avesse una zona di competenza, laddove la circostanza non aveva formato oggetto di specifica contestazione da parte dell’odierna controricorrente nel ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo e doveva perciò ritenersi pacifica.
Il motivo è inammissibile.
A conclusione della disamina delle risultanze istruttorie, infatti, la Corte territoriale ha bensì affermato che dovesse ritenersi «esclusa la dimostrazione che i giornalisti garantissero con continuità la copertura informativa di aree di loro specifica competenza con conseguente responsabilità di un servizio e perciò fossero stabilmente e funzionalmente inseriti nella organizzazione aziendale» (cfr. pag. 4), ma non tanto allo scopo di negare che ciascun giornalista avesse una propria zona di competenza in relazione alla quale garantire la copertura informativa relativa agli eventi sportivi, quanto piuttosto allo scopo di affermare che codesta copertura avveniva con modalità incompatibili con la sussistenza di un vincolo di eterodirezione, date le ulteriori circostanze di fatto acquisite agli atti (e segnatamente «l’assenza di prova in merito alla circostanza che i giornalisti [fossero] tenuti a mantenere le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro anche negli intervalli non lavorativi, ossia terminata la redazione dell’articolo»: ibid.). E dovendo quindi reputarsi la censura estranea alla ratio decidendi della sentenza impugnata, non può che darsi continuità al principio secondo cui la proposizione con il ricorso per cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso, non potendo quest’ultimo essere configurato quale impugnazione rispettosa del canone di cui all’art. 366 n. 4 c.p.c. (Cass. n. 17125 del 2007; nello stesso senso, più recentemente, Cass. nn. 11637 del 2016 e 24765 del 2017).
Con il secondo motivo, l’Istituto ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., anche in relazione agli artt. 5, 11 e 12 CNLG, per avere la Corte di merito escluso la sussistenza in specie della subordinazione sulla scorta di un’erronea ricostruzione della fattispecie astratta della prestazione del corrispondente.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale, infatti, ha ricostruito la figura del corrispondente coerentemente con il costante insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui i caratteri distintivi del rapporto di lavoro subordinato, costituiti dall’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi e disciplinari del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia, sono i medesimi per qualunque tipo di lavoro, incluso quello giornalistico, pur potendo essi assumere aspetti e intensità diversi in relazione alla maggiore o minore complessità delle mansioni esercitate o al contenuto, più o meno intellettuale e/o creativo, della prestazione pattuita (cfr. in tal senso Cass. n. 6983 del 2004 e numerose successive conformi), e ha all’uopo valorizzato correttamente l’obbligo del giornalista di tenersi stabilmente a disposizione dell’editore, per eseguirne le istruzioni, anche negli intervalli tra una prestazione e l’altra (cfr. sentenza impugnata, pag. 4), ritenendo, non meno correttamente, che il rapporto di subordinazione debba escludersi allorché le prestazioni siano state singolarmente convenute in base ad una successione di incarichi con retribuzione commisurata alla singola prestazione (ibid., pag. 5).
Deve pertanto escludersi che, nel ricostruire la fattispecie astratta della figura del corrispondente, la Corte territoriale abbia attribuito efficacia decisiva alle circostanze indicate da parte ricorrente a pag. 17 del ricorso per cassazione: la commisurazione del compenso al numero degli articoli pubblicati, la possibilità che i giornalisti proponessero autonomamente articoli da pubblicare e il fatto che i giornalisti in questione prestassero la loro attività anche in favore di terzi sono stati piuttosto assunti quali indici con valore meramente confermativo della «totale mancanza di prova in merito alla circostanza che i giornalisti erano tenuti a mantenere le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro anche negli intervalli non lavorativi, ossia terminata la redazione dell’articolo» (così la sentenza impugnata, pag. 4).
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 5.700,00, di cui € 5.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
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