CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 marzo 2019, n. 7120
Tributi – IRAP – Accertamento – IRAP – Autonoma organizzazione – Presupposti
Fatti di causa
1. II contribuente dott. S. O. F. ha presentato all’Agenzia delle Entrate tre domande di rimborso dell’importo indebitamente versato, a titolo di imposta regionale sulle attività produttive, per gli anni d’imposta dal 2002 al 2007, assumendo l’insussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione dell’attività professionale di medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.), esercitata nei medesimi periodi.
2. Avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione sull’istanza di rimborso, il contribuente ha proposto un unico ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Perugia, che lo ha accolto, escludendo la sussistenza dell’autonoma organizzazione in considerazione della ritenuta natura di lavoro parasubordinato, attribuita all’ attività del medico convenzionato con il servizio pubblico.
3. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, censurando la decisione di primo grado per aver qualificato il lavoro del medico convenzionato come subordinato, piuttosto che autonomo. L’ Ufficio appellante ha inoltre dedotto che il contribuente non aveva fornito la prova
dell’assenza dell’autonoma organizzazione, che peraltro era da escludere in considerazione delle spese sostenute dal medico per la locazione finanziaria del locale in cui svolgeva l’attività e per l’utilizzo di lavoro dipendente. Infine, l’Ufficio appellante ha sostenuto l’erroneità della somma complessiva delle domande di rimborso accolte in primo grado, in quanto l’i.r.a.p. versata ammontava a complessive euro 18.627,88, mentre il contribuente aveva domandato totali euro 20.077,32.
4. La C.T.R., con la sentenza n.82/26/12, depositata l’8 maggio 2012, ha rigettato l’appello, rilevando che dall’istruttoria emergeva che il medico disponeva esclusivamente di un ambulatorio, a titolo di locazione finanziaria, e della collaborazione di una sola dipendente, verosimilmente con funzioni di segreteria, elementi che corrispondevano all’organizzazione minima necessaria per esercitare l’attività sanitaria convenzionata.
5. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per la cassazione della predetta sentenza di secondo grado, articolando due motivi.
6. Resiste con controricorso il contribuente, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza dei motivi dedotti dalla ricorrente.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, per avere il giudice a quo ritenuto l’insussistenza dell’autonoma organizzazione dell’attività esercitata dal contribuente, pur avendo accertato la circostanza, peraltro pacifica, che il medico disponeva esclusivamente di un ambulatorio, a titolo di locazione finanziaria, e della collaborazione di una sola dipendente, verosimilmente con funzioni di segreteria.
Giova premettere alla decisione del primo motivo del ricorso la sintetica ricostruzione degli elementi costitutivi del presupposto d’imposta dell’i.r.a.p., come dettati dal legislatore ed interpretati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, in particolar modo con riferimento a fattispecie, come quella sub iudice, nelle quali l’eventuale soggetto passivo dell’imposizione si avvale di un dipendente, utilizzato con mansioni di segreteria. L’ art. 2 d.lgs. n. 446 del 1997 stabilisce che il presupposto dell’i.r.a.p., già definita dall’art. 1 come imposta a carattere reale, è “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.”. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ribadito che l’i.r.a.p. non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, ha rilevato che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l’autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito. Successivamente, Cass., Sez. U., 10/05/2016, n. 9451 ( in continuità con Cass., Sez.U., 12/5/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i requisiti dell’impiego del lavoro altrui) ha chiarito i parametri alla cui stregua la questione di fatto deve essere valutata: “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive“. Riguardo, in particolare, ai medici di medicina generale convenzionati con il S.S.N., Cass., 21/09/2017, n. 22027, ha ritenuto che: “In tema di IRAP, la disponibilità, da parte dei medici di medicina generale convenzionati con il SSN, di uno studio, avente le caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, reso esecutivo con d.P.R. n. 270 del 2000, rientrando nell’ambito del “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sé, in assenza di personale dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini del presupposto impositivo.(Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto sussistere il presupposto impositivo sulla base del mero esercizio abituale di un’attività organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, senza alcun approfondimento sulle caratteristiche dei beni strumentali, sull’effettiva incidenza di collaboratori e delle loro mansioni, sull’entità dei compensi a terzi, ed in merito a se le attività ulteriori rispetto al regime di convenzione implicassero la sussistenza di un’effettiva “autonoma organizzazione” ovvero fossero mere prestazioni intellettuali del professionista, legate alla sua capacità professionale, senza l’utilizzo di particolari strutture, strumentazioni o supporti).”.
Tanto premesso, venendo quindi all’esame del caso concreto sub iudice, il primo motivo di ricorso è infondato. Infatti, in forza dei principi normativi e giurisprudenziali già richiamati, la mera disponibilità, da parte del contribuente, di uno studio, costituendo il requisito minimo, in termini di beni strumentali, per esercitare l’attività di medico convenzionato con il S.S.N., non è sintomatica della sussistenza di un’autonoma organizzazione dell’attività professionale sanitaria (cfr. la citata Cass., 21/09/2017, n. 22027). Tanto meno costituisce indice significativo della ricorrenza del presupposto impositivo dell’i.r.a.p., esclusa quindi correttamente dalla C.T.R., l’impiego, da parte dello stesso professionista, di un solo collaboratore che esplichi mansioni di segreteria, che integra, con riferimento al fattore della forza lavoro, la soglia minima da oltrepassare per poter presumere ragionevolmente la sussistenza dell’autonoma organizzazione (così Cass., Sez. U., 10/05/2016, n. 9451. Sul punto, si vedano altresì Cass. 06/10/2017, n. 23466, secondo cui, ai fini del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, due unità lavorative part time sono tendenzialmente equivalenti ad una a tempo pieno, fatta salva la verifica in concreto; e Cass. 17/05/2018, n. 12084, per la quale non ricorre il necessario presupposto della autonoma organizzazione ove il contribuente si avvalga di un cd. assistente di sedia, ossia di un infermiere generico assunto part time, il quale si limita a svolgere mansioni di carattere esecutivo, senza pertanto accrescere le potenzialità professionali del medico).
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ., l’omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso, per non avere il giudice a quo adottato alcuna decisione in ordine al motivo d’appello con il quale l’Ufficio ha sostenuto l’erroneità della somma complessiva delle domande di rimborso accolte in primo grado, in quanto l’i.r.a.p. versata ammontava a complessive euro 18.627,88, mentre il contribuente aveva domandato totali euro 20.077,32.
Il motivo – che, a prescindere dalla sua rubricazione come vizio della motivazione, va riqualificato, con riferimento al suo contenuto sostanziale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 4, cod. proc. civ., integrando un’ipotesi di omessa pronuncia del giudice a quo – è fondato e va accolto.
Infatti – come risulta sia dalla trascrizione, nel ricorso, di parte dell’appello, sia dallo stesso controricorso- l’Ufficio appellante aveva introdotto la questione dell’effettivo importo dell’i.r.a.p. versata dal contribuente, e quindi da rimborsare a quest’ultimo, assumendo che esso fosse inferiore a quello domandato e riconosciuto in primo grado, e lo stesso contribuente, nelle proprie controdeduzioni in appello, aveva riconosciuto di avere diritto ad un rimborso minore di quello richiesto nell’istanza originaria. Pertanto il giudice a quo, confermato l’an del credito da rimborsare, avrebbe dovuto provvedere sulla questione, accertandone l’effettivo quantum, ciò che non è avvenuto.
La sentenza impugnata va quindi cassata. Poiché, pur concordando entrambe le parti che il credito da rimborsare al contribuente sia inferiore a quello domandato e riconosciuto dalla sentenza di primo grado, le cifre da ciascuna rispettivamente indicate non sono conformi, la determinazione del quantum debeatur richiede un accertamento in fatto che non è possibile in questa sede e va rimesso al giudice a quo.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; rigetta il primo motivo di ricorso;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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