CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 ottobre 2022, n. 29981
Differenze retributive – Rapporto di lavoro subordinato – Sussistenza – Riconoscimento – Crediti di lavoro – Prescrizione – Decorrenza
Ritenuto in fatto
1.Con sentenza n. 2704 del 2018, la Corte di appello di Roma, ha accolto l’impugnazione proposta da F.S., A.P. (in proprio e quale tutrice di G.S.) e R.S., tutti nella qualità di eredi di L.S., avverso la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda avanzata nei confronti della C.I.M.E.P. s.r.l. volta ad ottenere il riconoscimento della sussistenza, fra le parti, di un rapporto di lavoro subordinato in luogo dell’assenza di formalizzazione dello stesso dal 2 gennaio 2000 al 30 settembre 2002 e della configurazione quale contratto di collaborazione professionale per il periodo successivo al’1 dicembre 2012, con le connesse differenze retributive.
1.1. In particolare, il giudice di secondo grado, riesaminando i risultati della attività istruttoria esperita in primo grado, ha ritenuto di non condividere l’iter motivazionale del primo giudice e, pertanto, ha reputato configurabile un rapporto di lavoro subordinato fra le parti sin dall’inizio del rapporto, con le conseguenze economiche connesse a tale statuizione.
2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso C.I.M.E.P s.r.l. in liquidazione, affidandolo a tre motivi.
2.1. Resistono, con controricorso, F.S., R.S. e A.P., quest’ultima in proprio e nella qualità di tutrice legale d G.S.
Considerato in diritto
1.Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente censura la decisione impugnata sotto il profilo della violazione degli artt. 2222 cod. civ. e 2094 cod. civ., allegandosi il carattere di lavoro autonomo del rapporto intercorso tra le parti, in luogo di quello di natura subordinata ritenuto dalla Corte territoriale, adducendo, in particolare, l’assenza di potere direttivo, e disciplinare della società ricorrente.
1.1. Con il secondo motivo si censura la decisione impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2935 cod. civ. e 18 L. n. 300 del 1970 sempre secondo il parametro dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
1.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione del Contratto Collettivo Nazionale Lapidei (in particolare, artt. 71, 76, 96, 103) e degli artt. 2099 cod. civ. e 2120 cod. civ. in ordine all’errata determinazione dei conteggi relativi alla tredicesima mensilità ed al TFR.
2. Il primo motivo non può trovare accoglimento.
2.1. La Corte, nell’esaminare partitamente e compiutamente le risultanze istruttorie di primo grado, ha sottolineato, in primo luogo, come fossero pacifiche fra le parti le circostanze della corresponsione mensile di euro 1.800,00 per il primo periodo (fino al 30/09/2002) e di 2.300,00 mensili, del possesso delle chiavi della cava, nonché di un telefonino aziendale da parte del S..
Ha, poi, aggiunto che dalle risultanze testimoniali emergeva come il dante causa dei ricorrenti fosse sottoposto alle direttive dei dirigenti della C.I.M.E.P. nell’attività di direzione dell’estrazione lapidea nei vari siti interessati, non solo quanto al luogo ma anche quanto alle modalità e direzione del taglio dello sbanco ed ha concluso per lo stabile inserimento nell’organico aziendale del S. alla luce della acclarata circostanza che dettava disposizioni agli operai, che a lui gli stessi si rivolgevano quanto a richieste inerenti ferie e malattie, nonché alla percezione di un compenso anche nei periodi di assenza per ferie o malattia.
Conclusivamente, secondo la Corte, gli indici riscontrati deponevano per l’assenza di rischio e per la messa a disposizione da parte del S. delle proprie energie lavorative in relazione delle quali veniva corrisposta la retribuzione, in luogo del risultato conseguito.
3. Ha osservato, pertanto, il giudice di secondo grado, che soltanto nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e, allo scopo della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro ( cfr., fra le altre, Cass. n. 23846 del 2017).
3.1. Orbene, a fronte della puntuale ed esaustiva motivazione del giudice di merito deve ritenersi, con riguardo alla censura concernente l’asserita assenza di sottoposizione del S. al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, che parte ricorrente, nel formulare le proprie doglianze mediante ricorso per cassazione, non si sia conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34776 del 2021).
Nessun elemento, infatti, è stato addotto in ordine alla configurazione di elementi contrastanti con la valutazione delle risultanze istruttorie allegate dal giudice di secondo grado.
4. Il secondo motivo è infondato.
Deduce parte ricorrente la violazione della normativa sulla prescrizione dei crediti di lavoro, con riguardo all’eccezione non esaminata in primo grado atteso l’integrale rigetto della domanda, assumendone l’erronea applicazione da parte della Corte d’appello.
In particolare, la società ricorrente aveva eccepito, in primo grado, la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4, cod. civ., per tutte le voci di retribuzione richieste a partire dalla messa in mora, coincidente con la notifica del ricorso, avvenuta in data 5 marzo 2012.
La Corte ha affermato, con riguardo a tale domanda, che il rapporto di lavoro tra il S. e la società non era assistito da stabilità reale, in quanto senza formalizzazione nel periodo dal 2.1.2000 al 30.9.2002 ed in forza di contratto di lavoro autonomo dall’1.10.2002 al 26.9.2009.
Ha, conseguentemente, escluso che il termine di prescrizione decorresse in costanza di rapporto di lavoro.
5. Parte ricorrente assume l’infondatezza della statuizione del giudice di merito allegando la circostanza che la società aveva sempre occupato, nel periodo del rapporto, più di 15 dipendenti, come sarebbe emerso altresì nel corso del processo ad alla luce, quindi, della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la prescrizione dei crediti di lavoro decorre anche in costanza di rapporto dalla data di maturazione dei crediti medesimi ove il rapporto sia assistito da stabilità reale.
5.1. Orbene, osserva il Collegio come la vicenda in esame non involga tout court la questione relativa alla decorrenza o meno della prescrizione dei crediti di lavoro in costanza di rapporto e la relativa querelle dottrinaria e giurisprudenziale.
A guardar bene, infatti, quella questione presuppone la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ab origine considerato tale, con le conseguenti implicazioni in tema di stabilità del rapporto medesimo.
Invero, questa Corte ha affermato che la prescrizione dei crediti del lavoratore non decorre in costanza di un rapporto di lavoro formalmente autonomo, del quale sia stata successivamente riconosciuta la natura subordinata con garanzia di stabilità reale in relazione alle caratteristiche del datore di lavoro, giacché, in tal caso, il rapporto è, nel suo concreto atteggiarsi, di natura subordinata e, ciò non di meno, restando formalmente autonomo, non è immediatamente garantito, non essendo possibile, in caso di recesso datoriale, la diretta applicabilità della disciplina garantista, che potrebbe derivare solo dal futuro (ed eventuale) riconoscimento della natura subordinata del rapporto (cfr., sul punto, Cass. sez. lav. 22 settembre 2017, n.22172; Cass. 23 gennaio 2009 nr. 1717; SU nr. 3098/95 per il caso di rapporto intercorrente con soggetto pubblico), essendo tale conclusione stata esclusa, di recente, soltanto, in presenza di taluni presupposti, in tema di pubblico impiego contrattualizzato (Cfr., sul punto, Cass. n. 35676 del 2021).
5.2. Nella specie, le differenze retributive richieste discendono dall’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, talché non avrebbero potuto esser fatte valere in costanza di rapporto se non previo accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato ab origine.
Come emerge da quanto oggetto del presente giudizio, infatti, il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, negata dalla parte ricorrente fino al giudizio di legittimità, è stata proprio oggetto della vicenda sub judice, talché contrasterebbe con la richiamata giurisprudenza di legittimità la previsione della possibilità di far decorrere la prescrizione in costanza di un rapporto privo di qualificazione professionale per il primo periodo ed in prosieguo configurato in termini di lavoro autonomo, con una conseguente inammissibile compressione dei diritti retributivi del prestatore.
6. Il terzo motivo è inammissibile.
Premesso che la Corte ha escluso che fosse stata raggiunta la prova circa il mancato godimento delle ferie, dei permessi e delle ex festività i cui relativi emolumenti ha, quindi, negato, essa ha, invece, ritenuto dovuti gli emolumenti relativi a tredicesima e TFR, pacificamente non corrisposti.
Orbene, al riguardo, parte ricorrente, in dispregio del disposto di cui all’art. 366 cod. proc. civ., asserisce trattarsi di emolumenti quantificati in relazione a voci retributive non spettanti, in quanto determinati sulla base di un superiore inquadramento nonché di un orario di lavoro di 44 ore settimanali e con la previsione di straordinari, ferie e permessi, tutte voci che, a sua detta, vanno poi a formare la base di calcolo sia dell’importo della 13ma che del TFR.
Tuttavia, rispetto a tale affermazione, non si rinviene alcuna allegazione che possa condurre a diversa conclusione rispetto a quella raggiunta dalla Corte d’appello.
Ed invero, secondo costante giurisprudenza di legittimità, l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass. 342/2021).
7. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
8.1. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte controricorrente, che liquida in euro 4000,00 per compensi ed curo 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.