CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 ottobre 2022, n. 30164

Lavoro – Cessione di ramo di azienda – Continuità del rapporto – Indici di simulazione o preordinazione in frode alla legge del collegamento negoziale

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha – con sentenza n. 1840 pubblicata l’1.8.2016 – accolto la domanda di nullità della cessione di ramo di azienda dalla società SSC-Società S.C. s.r.l. alla I. s.r.l.  (e del collegato contratto di cessione di quote societarie dalla SSC s.r.l. alla V. s.r.l.), con conseguente declaratoria della continuità del rapporto tra i lavoratori indicati in epigrafe e la SSC s.r.l. e condanna della società al ripristino dei rapporti di lavoro e al pagamento delle retribuzioni sin dal 31.12.2010, oltre accessori di legge.

2. La Corte di appello ha, dapprima, fatto la ricognizione degli avvenimenti accaduti: costituzione della I. s.r.l. in data 15.11.2010, società a socio unico (la SSC s.r.l.); comunicazione, del 24.11.2010, della SSC s.r.l. alle organizzazioni sindacali, concernente la volontà di trasferire il ramo di azienda (ipermercato e quattro esercizi commerciali siti nel Centro commerciale di Capodrise) alla I., cui seguivano – infruttuosamente – diversi incontri tra le parti; conferimento del ramo di azienda, da SSC s.r.l. a I. s.r.l. in data 21.12.2010 (con acquisizione di perizia asseverata relativa alla valutazione del ramo di azienda pari ad un valore di euro 1.800.000,00) nonché delibera, della SSC s.r.l., di aumento di capitale per 1.800.000,00, con effetto dal 31.12.2010;

in data 30.12.2010, cessione, dalla SSC s.r.l. alla V. s.r.l., delle quote di partecipazione nella società I., con effetto dal 31.12.2010;

comunicazione della SSC s.r.l. ai lavoratori della prosecuzione del rapporto di lavoro con la I. con decorrenza dall’1.1.2011;

comunicazione, da parte della I., dell’avvio di una procedura di mobilità, ex art. 4 della legge n. 223 del 1991, in data 7.1.2011. Ritenuti acquisiti elementi gravi, precisi e concordanti in relazione alla simulazione assoluta del contratto di cessione di ramo di azienda – elementi costituiti essenzialmente dalla repentina successione degli eventi, dalla mancata prova del pagamento del corrispettivo concernente la cessione delle quote societarie, dalla mancanza (nel contratto di cessione di quote) di garanzie del suddetto pagamento (pur rappresentando, l’ammontare delle quote cedute, un valore venti volte superiore al capitale sociale della cessionaria, avente un capitale sociale pari a euro 100.000,00), dalla consistenza dell’azienda ceduta rispetto al prezzo concordato per la cessione (al di fuori degli oggettivi indici di mercato) – il collegamento tra negozio di cessione di ramo di azienda e di cessione di quote societarie è stato ritenuto simulato, ossia non configurabile “quale reale ed effettivo negozio a titolo oneroso”, con conseguente nullità del passaggio dei lavoratori, ex art. 2112 cod.civ., alla società cessionaria I. s.r.l. posseduta, in qualità di socio unico, dalla V. s.r.l.

3. Per la cassazione di tale sentenza la società SSC s.r.l. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria. I lavoratori sono rimasti intimati.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 41 Cost., 1344, 1362, 1363, 1366, 1414, 1415, 2112 cod.civ., 47 della legge n. 428 del 1990, 24 della legge n. 223 del 1991, avendo, la Corte territoriale, non solo trascurato la linearità e correttezza dell’avvenuto trasferimento di ramo di azienda quale appariva evidente dalla semplice lettura della nota 24.11.2010 con cui SSC, V. e I. hanno decritto alle organizzazioni sindacali le modalità di realizzazione, ma altresì l’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui non è in frode alla legge il contratto di cessione di azienda stipulato con un soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali, renda probabile la cessazione delle attività produttive, a fronte del quale è irrilevante sia l’adeguatezza o meno del prezzo della cessione nonché la mancata prova del prezzo stesso.

Insomma, ciò che i giudici hanno ritenuto essere dati presuntivi della illiceità del trasferimento del ramo di azienda altro non sono che modalità lecite di effettuare la cessione stessa.

1.2. Con il secondo motivo si denunzia, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e relativo alla prosecuzione dell’attività commerciale da parte della cessionaria I. (come risultante dalla sentenza di primo grado, nonché dall’atto di appello dei lavoratori ove si rilevava che “dopo dieci mesi dal conferimento del ramo di azienda la I. inaugurava il nuovo Centro commerciale…sostanzialmente immutato nelle dimensioni e soprattutto nei reparti”) violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, della legge n. 300 del 1970, per aver trascurato, la Corte territoriale, applicando il regime reintegratorio, che i fatti sono risultati sussistenti.

1.3. Con il terzo motivo si denunzia, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e relativo alla insussistenza di un rapporto di collegamento economico-funzionale societario tra la V. s.r.l. e la SSC s.r.l., trattandosi, anzi di società concorrenti (come evidenziato dalla SSC nella sua memoria di costituzione in primo grado).

2. Il ricorso è inammissibile.

3. La Corte territoriale ha ritenuto “assolutamente simulati” (pag. 15 della sentenza impugnata) i due negozi collegati individuabili nel negozio di cessione del ramo di azienda e in quello di cessione di quote alla V.; negozi privi di titolo oneroso e preordinati, in frode alla legge, a licenziare i lavoratori, evitare contenziosi con questi ultimi, con i “galleristi” del centro commerciale e con la società proprietaria del punto vendita. Il giudice di merito, svolgendo una valutazione globale di tutte le vicende negoziali poste in essere dalle società SSC, I., V., nel breve arco di tempo decorrente dal 15.11.2010 al 31.12.2010, ha ritenuto sussistere gravi, precisi e concordanti indizi della simulazione assoluta del contratto di cessione di ramo di azienda che portano ad “escludere una reale ed effettiva natura onerosa alla fattispecie contrattuale in questione”: “indizio fondamentale nell’ambito del quadro presuntivo consolidatosi” è rappresentato dalla mancanza di prova del pagamento del prezzo, da parte della V., della cessione delle quote azionarie ricevute dalla SSC (corrispettivo concernente il conferimento delle quote di I., pattuito tra SSC e V., e corrispondente ad una cifra pari al valore della quota ceduta, ossia euro 1.800.000,00 come stabilito dalla perizia asseverata, ma di cui non è stata fornita la prova della corresponsione); questo indizio concorre, secondo la valutazione complessiva della Corte territoriale, con altri indici presuntivi quali l’incongruità del prezzo stabilito rispetto agli oggettivi indici di mercato (considerato che con il ramo di azienda sono stati ceduti immobili di notevole consistenza) nonché l’assenza di garanzie (a supporto del pagamento del prezzo della cessione di quote) fornite dalla V. (che non aveva disponibilità delle somme per far fronte al pagamento del corrispettivo della cessione, possedendo un capitale sociale pari a soli 100.00,00 euro, rispetto al valore del ramo di azienda ceduto, valutato in euro 1.800.000,00).

4. Questa Corte ha affermato che il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo negozio ma con una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato ad un’unica regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica (cfr. Cass. n. 18585 del 2016). Ai fini della qualificazione giuridica di tale situazione negoziale deve essere allegata l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze del collegamento realizzato dalle parti. L’accertamento è eseguito dal giudice di merito interpretando la volontà contrattuale e, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità non essendo sindacabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. n. 18585 del 2016, Cass. n. 20634 del 2018, Cass. n. 22354 del 2021).

5. E’ stato, altresì, ribadito (da ultimo, Cass. n. 37291 del 2021) che, ai fini della cessione d’azienda disciplinata dall’art. 2112 cod.civ., è irrilevante l’esistenza di un collegamento societario tra cedente e cessionario, in quanto l’esistenza di un tale collegamento tra imprese appartenenti al medesimo gruppo non è idoneo, di per sé, a far venire meno l’alterità dei soggetti giuridici e a configurare un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro, occorrendo a tal fine altri requisiti, individuati in indici di simulazione o preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico (v. Cass. n. 4418 del 1997; n. 3136 del 1999; n. 6707 del 2004; n. 11107 del 2006; più recentemente, Cass. n. 3482 del 2013; n. 26346 del 2016; n. 13809 del 2017; n. 19023 del 2017) oppure nella mera apparenza della pluralità di soggetti giuridici a fronte di un’unica sottostante organizzazione di impresa, intesa come unico centro decisionale (v. Cass. n. 11275 del 2000; n. 4274 del 2003; n. 5496 del 2006; n. 25270 del 2011; n. 7704 del 2018).

6. Orbene il giudice di appello ha verificato che nelle operazioni poste in essere dalle società (cessione di azienda e cessione di quote) era ravvisabile un meccanismo fraudolento e, soprattutto, che si trattava di operazioni che rientravano in un piano unitario e comune che escludeva il titolo oneroso di tutta l’operazione. Sulla base di quanto specificatamente allegato e provato nel corso del giudizio, ha ritenuto di poter ravvisare un accordo complesso, comprensivo anche della cessione delle quote societarie, in danno dei lavoratori.

7. Si tratta di un accertamento di fatto del tutto coerente con le emergenze probatorie che non si espone alle critiche mosse nel caso in esame sicché alla Corte è preclusa ogni diversa ricostruzione dei fatti che appartiene al giudice del merito.

8. Le censure della ricorrente non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata perché la ricorrente insiste sulla irrilevanza della solidità economica del cessionario quale requisito per una legittima cessione di ramo di azienda (e sulla effettiva ripresa dell’attività produttiva nell’ottobre 2011) ma nulla deduce sulla interpretazione degli indici di simulazione o preordinazione in frode alla legge del collegamento negoziale, indici individuati dal giudice di merito in una pluralità di elementi concordanti quali la mancanza del pagamento del corrispettivo della cessione delle quote, l’incongruità della valutazione del ramo di azienda ceduto, la carenza di garanzie fornite dalla V. per l’adempimento del contratto a fronte dell’esiguo capitale sociale posseduto, e, in generale, la stretta connessione e concentrazione cronologica delle diverse operazioni negoziali svolte dalle società SSC, I., V.. La sentenza impugnata non ha fondato il proprio accertamento sul rilievo della carenza di continuità dell’attività produttiva tra cedente e cessionario, bensì ha ritenuto di rinvenire una simulazione assoluta dei negozi formalmente posti in essere (cessione di ramo di azienda e cessione di quote societarie) alla luce della valutazione complessiva di plurimi indici.

9. Infine, per quanto riguarda gli altri motivi, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame di un fatto decisivo – secondo l’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, nel testo risultante dalla modifica introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storicofenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo, mentre le censure (di cui al secondo ed al terzo motivo di ricorso) si risolvono nella inammissibile denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

10. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile; nulla sulle spese in assenza di costituzione delle controparti

11. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.