CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 ottobre 2022, n. 30167
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Perdita dell’appalto – Assegnazione di mansione inferiore rispetto alla qualifica rivestita – Nullità – Accertamento
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1482 pubblicata il 18.7.2019 la Corte d’appello di Milano, in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 3129 del 2019, ha dichiarato, confermando la pronuncia di primo grado, la illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo (perdita dell’appalto) il 19.12.2013 a A. A. dalla società S. s.p.a.
2. La Corte distrettuale, rilevato che doveva ormai ritenersi definitivamente accertata la nullità dell’assegnazione dell’A., capoturno di pattuglie di guardie giurate, presso una postazione successivamente soppressa per perdita dell’appalto (per violazione dell’art. 2103 c.c., trattandosi di assegnazione di mansione inferiore rispetto alla qualifica rivestita, come accertato dal Tribunale della medesima sede con sentenza n. 2513 del 2012), ha sottolineato come “l’insussistenza del fatto ovvero l’assenza di un nesso causale con la soppressione di un posto cui l’A. è stato assegnato in forza di un atto nullo, sia perentoriamente, agevolmente ed univocamente emersa, senza margini di dubbio, dall’istruttoria svolta”; ritenuto, pertanto, integrato il requisito della “manifesta insussistenza” richiesto dall’art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970, ha disposto l’applicazione della tutela reintegratoria, rilevando che l’ulteriore questione della eccessiva onerosità del ripristino del rapporto di lavoro (elemento eventualmente impeditivo della reintegrazione nel posto di lavoro) si presentava quale questione nuova (mai allegata nei gradi di merito precedenti né proposta dal giudice del rinvio); ha, infine, compensato le spese del grado di legittimità e condannato la società al pagamento delle spese di lite.
3. La società ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati da memoria. Il lavoratore ha depositato controricorso.
4. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con i primi tre motivi di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, violato il principio di diritto espresso dalla Cassazione in sede di annullamento con riguardo alla ricostruzione ermeneutica del concetto di “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento (ai sensi dell’art. 18, comma 7 della legge n. 300 del 1970), ricostruzione effettuata in base a orientamento di legittimità diverso da quello richiamato dalla sentenza di annullamento della Cassazione (Cass. n. 10435 del 2018) e senza l’indagine sia sulla “evidente e facilmente verificabile” carenza del nesso di causalità tra assegnazione (nulla) alla postazione e successiva soppressione del posto sia sulla eccessiva onerosità della reintegrazione.
2. Con il quarto ed il quinto motivo la ricorrente ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato – ai fini della valutazione della “eccessiva onerosità della reintegrazione” che presso la Centrale operativa di Milano non vi erano posizioni di capoturno disponibili e che in base alla declaratoria del III livello di cui al CCNL Vigilanza del 2013 all’A. non potevano essere più assegnate mansioni di capoturno (circostanze tutte tempestivamente allegate e provate già in sede di opposizione ex art. 1, comma 51 della legge n. 92 del 2012).
3. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente compensato le spese di lite del grado di legittimità nonostante la Corte di Cassazione abbia accolto il secondo motivo del ricorso principale proposto dalla società e integralmente rigettato i motivi di ricorso incidentale del lavoratore.
4. I primi cinque motivi di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente per la stretta connessione, non sono fondati.
5. L’art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970 (come novellato dalla legge n.92 del 2012) – che regola l’apparato sanzionatorio da applicare in caso di accertamento della illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo – è stato inciso da due recenti sentenze della Corte Costituzionale, successive alla pronuncia rescindente, proprio con riguardo ai requisiti per l’applicazione della tutela reintegratoria: la sentenza n. 59 del 2021 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma; la sentenza n. 125 del 2022 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, limitatamente alla parola «manifesta».
6. Per effetto dell’intervento del giudice delle leggi, il giudice, una volta accertata l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ordina – in simmetria col regime dei licenziamenti soggettivi – la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, senza alcuna facoltà di scelta tra tutela ripristinatoria e tutela economica. Pertanto, l’apprezzamento della sussistenza dei vizi denunciati con il ricorso dev’essere fatto con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità.
7. Questa Corte ha già affermato che la valutazione della fondatezza o meno del ricorso per cassazione deve farsi con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità, essendo irrilevante che la decisione impugnata o la stessa proposizione del ricorso siano anteriori alla pronuncia del giudice delle leggi, atteso che gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma retroagiscono alla data di introduzione nell’ordinamento del testo di legge dichiarato costituzionalmente illegittimo (sulla portata retroattiva delle pronunce di incostituzionalità cfr., fra le tante, Cass. n. 1166 del 2013, Cass. n. 4360 del 2019); è stato, altresì, più volte affermato che le sentenze di cassazione con rinvio non costituiscono giudicato (che si forma solo sulla sentenza che abbia – e definitivamente – deciso la causa nel merito) del tutto pacifico in giurisprudenza e che l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla regula juris enunciata dalla Corte di cassazione a norma dell’art. 384 c.p.c. viene meno quando la norma da applicare, in aderenza a tale principio, sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (cfr. Cass. n. 13873 del 2012, citata dallo stesso ricorrente).
8. Posto che i primi cinque motivi di ricorso vertono tutti sulla ricorrenza di due requisiti attinenti al regime sanzionatorio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (la “manifesta insussistenza” del fatto e la “eccessiva onerosità della reintegrazione” i quali, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte precedentemente all’intervento della Corte Costituzionale, consentivano al giudice di merito di scegliere la tutela ripristinatoria o la tutela economica), requisiti che non sono più vigenti, i suddetti motivi vanno rigettati; invero, gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale retroagiscono fino al momento dell’introduzione nell’ordinamento della norma dichiarata illegittima e pertanto, l’apprezzamento della sussistenza del vizio denunciato con i primi cinque motivi di ricorso dev’essere fatto con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità; va precisato che la sentenza rescindente di questa Corte ha ritenuto corretta (dunque, passata in giudicato esclusivamente) la valutazione effettuata sulla “insussistenza del fatto” posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” (in considerazione della nullità dell’adibizione dell’A. all’appalto successivamente assegnato ad altra società), ma – accogliendo un motivo di ricorso della società – ha rinviato alla Corte territoriale l’indagine (sulla eventuale “manifesta insussistenza”, ratione temporis necessaria) per individuare il regime sanzionatorio da applicare, indagine espletata dal giudice di merito in sede di rinvio (che ha statuito in momento precedente l’intervento del giudice delle leggi) ed oggetto del ricorso per cassazione della società, ricorso che concerne proprio profili della disposizione normativa medio tempore dichiarati costituzionalmente illegittimi (e che, invece, la società richiederebbe di applicare); sulla questione del regime sanzionatorio da adottare nel caso di specie non si è, pertanto, formato alcun giudicato né alcuna preclusione che impediscano di far retroagire l’applicazione delle sentenze del giudice delle leggi;
9. La Corte distrettuale ha, inoltre, rilevato che l’accertamento circa la illiceità del fatto posto a fondamento, in un vincolo di causalità, con il recesso era da ritenersi definitivo, in quanto la sentenza rescindente adottata da questa Corte (n. 3129 del 2019) ha precisato che “si deve ritenere totalmente insussistente il fatto materiale che ha determinato il licenziamento del 19.12.2013 del sig. A., posto come non vi sia stata una lecita adibizione del lavoratore all’appalto presso la Banca Intesa di Limbiate, non potendo perciò un fatto illecito essere posto a fondamento, in un vincolo di causalità, con il recesso per giustificato motivo oggettivo.
In altre parole, il fatto “perdita dell’appalto” non può giustificare il licenziamento del lavoratore che non poteva esservi assegnato”. Consegue la piena integrazione dell’unico requisito richiesto dall’art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970 (nel testo a seguito dei due interventi della Corte Costituzionale) per l’applicazione della tutela reintegratoria.
10. Il sesto motivo di ricorso non è fondato.
11. Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), anche nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c.
12. La Corte distrettuale ha esplicitato le ragioni della ricorrenza di entrambi i requisiti richiesti dall’art. 92 per operare la compensazione delle spese di lite del giudizio di legittimità, rilevando correttamente che i diversi, ed autonomi, motivi di ricorso (principale) per cassazione proposti dalla società erano stati respinti ad eccezione di uno, integrando tale situazione, a fronte del rigetto dei motivi del ricorso incidentale, una condizione di reciproca soccombenza; inoltre, secondo valutazione insindacabile in questa sede, la Corte distrettuale ha rilevato la ricorrenza altresì dell’ulteriore autonomo requisito per operare la compensazione delle spese di lite, rilevando la sopravvenienza di un orientamento di questa Corte chiarificatore del dettato normativo di cui si chiedeva l’applicazione; la statuizione del giudice di merito, anche a prescindere dall’esito finale della lite (che ha visto soccombente la società), è corretta.
13. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono integralmente compensate tra le parti in considerazione degli interventi del giudice delle leggi sopravvenuti alla sentenza rescindente di questa Corte.
14. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.