CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2018, n. 22332

Tributi – Accertamento – Riscossione – Cessioni a titolo oneroso – Operazioni di triangolazione nazionale

Rilevato che

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 17 febbraio 2010, che, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla P. s.p.a. e in reiezione di quello incidentale proposto dalla medesima Agenzia, ha dichiarato parzialmente illegittimi, limitatamente ad alcune delle riprese fiscali effettuate, due avvisi di accertamento con cui erano state contestate, relativamente all’anno 2002, violazioni in materia di i.v.a. e, relativamente all’anno 2003, anche in materia di i.r.p.e.g. e i.r.a.p., recuperate a tassazione le imposte non versate e irrogate le relative sanzioni;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che il giudice di primo grado aveva confermato i rilievi dell’Ufficio quanto all’i.v.a. e annullato l’avviso di accertamento quanto alle ulteriori imposte, limitatamente ai rilievi concernenti l’indeducibilità degli ammortamenti relativi a terreni industriali, la plusvalenza non contabilizzata derivante dalla cessione gratuita di un bene strumentale, sopravvenienze indeducibili, limitatamente alla somma di euro 2.462,80, una sopravvenienza passiva deducibile, erogazioni liberali a favore di università e rimborsi chilometrici indeducibili;

– aveva, inoltre, ritenuto non dovute le sanzioni relative all’omessa applicazione dell’i.v.a. sulle operazioni in triangolazione mandando all’Agenzia delle Entrate di rideterminare le sanzioni ex art. 12, quinto comma, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, aumentando quella base alla metà;

– il giudice di appello ha, poi, escluso anche la fondatezza dei rilievi aventi ad oggetto l’omessa applicazione dell’i.v.a. alle cessioni di automobili effettuati in favore della P.C.A. S.A. (in seguito, PCA), l’indeducibilità di costi sostenuti per prestazioni di revisione contabile e di attività notarile e di sopravvenienze passive rappresentate da costi di esercizio originariamente fatturati per importi non corretti dai fornitori Z.S. e M.M., l’omessa applicazione dell’i.v.a. a servizi di consulenza tecnica resi in favore della PCA e ad interessi addebitati alla M.M., le sanzioni applicate alla violazione per mancata autofatturazione e l’indebita detrazione dell’i.v.a. relativa ai costi sostenuti per servizi usufruiti dai dipendenti;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– resiste con controricorso la P. s.p.a., la quale, inoltre, deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.;

Considerato che

– con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 8, primo comma, lett. a), d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 58, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv., con modif., nella I. 29 ottobre 1993, n. 427, per aver la sentenza impugnata ritenuto non imponibili le operazioni di cessione di veicoli effettuate in favore della P.C. S.A., per mezzo della G.I. s.p.a.;

– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione delle medesime disposizioni di legge, per aver il giudice di appello ritenuto non imponibili tali operazioni, benché la merce compravenduta non fosse stata trasportata presso il cessionario non residente ovvero spedita a questi a nome o cura del primo cedente nazionale;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati;

– le censure muovono dall’assunto che, rivestendo la G.I. s.p.a. il ruolo di rappresentante fiscale in Italia della P.C. S.A., le operazioni di cessione dovevano considerarsi intervenute tra soggetti fiscalmente residenti, con la conseguenza che la loro non imponibilità poteva essere riconosciuta solo alla condizione – non ricorrente nel caso di specie – che si inserissero nell’ambito di una cd. triangolazione nazionale;

– non si sarebbe, infatti, in presenza di una siffatta operazione, in quanto i soggetti che vi intervenivano erano quattro: la società contribuente quale primo cedente; il cessionario del primo cedente (PCA, tramite la G.I. s.p.a.); il cessionario comunitario (francese) A.P. (in seguito, AP); il cessionario finale estero, soggetto passivo in altro Stato comunitario;

– pertanto, secondo la tesi dell’Agenzia, la Commissione regionale aveva errato nel ritenere applicabile il richiamato art. 58, d.l. n. 331 del 1993, anche ad operazioni di triangolazione comunitaria intervenute tra soggetti appartenenti a tre Stati diversi, includendo nella triangolazione anche la cessione intervenuta tra PCA, soggetto passivo nello Stato italiano, e AP, da qualificarsi, invece, quale cessione interna imponibile;

– quanto allegato dalla ricorrente non trova, tuttavia, riscontro nella ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale la quale ha individuato, quali soggetti dell’operazione, la società contribuente, quale primo cedente, la PCA, quale primo cessionario, e la AP quale cessionario finale;

– ha espressamente escluso la presenza, nella catena degli acquisti, della G.I. s.p.a., la quale ha agito quale vettore dei beni compravenduti;

– ha, poi, accertato che l’operazione era preordinata al trasporto dei beni in altro Stato membro (la Francia), essendo destinati ad AP, cessionario finale;

– così apprezzata la vicenda sottoposta al suo esame, appare corretta la qualificazione della stessa quale operazione triangolare nazionale, in ragione dell’intervento di due soggetti entrambi identificati ai fini i.v.a. in Italia (la contribuente e la PCA, per il tramite del suo rappresentante G.I. s.p.a.) e il trasporto dei beni in altro Stato membro;

– infatti, l’art. 58, d.l. n. 331 del 1993, dispone che non sono imponibili le cessioni di beni, anche tramite commissionari, effettuate nei confronti di cessionari o commissionari di questi se i beni sono trasportati o spediti in altro Stato membro a cura o a nome del cedente, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi, aggiungendo che tale disposizione si applica anche se i beni sono stati sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni;

tale fattispecie si caratterizza per l’intervento di tre distinti operatori economici e per il fatto che la merce oggetto della cessione, e che deve essere spedita o trasportata dal territorio dello Stato membro di partenza in quello dello Stato membro del cessionario, non è utilizzata direttamente dall’acquirente ma è, fin dall’origine, vincolata alla consegna ad un terzo soggetto passivo che la immette al consumo o la destina agli impieghi della propria attività economica nello Stato membro di destinazione della merce, per cui la cessione viene effettuata non al destinatario finale della merce ma ad un soggetto passivo, realmente interposto, che effettua l’acquisto esclusivamente in funzione della successiva esportazione ovvero della operazione intracomunitaria, in quanto a ciò giuridicamente vincolato dall’accordo stipulato con il cedente (cfr. Cass. 17 febbraio 2016, n. 3099);

– in particolare, l’art. 58, primo comma, prende in considerazione la peculiare fattispecie della triangolazione in cui il «primo acquirente» è residente nello stesso Stato membro del cedente ed effettua l’acquisto nello Stato con il vincolo del successivo trasferimento ad altro soggetto passivo, indicato «ab origine» quale cessionario finale, residente in un diverso Stato membro, nel territorio del quale il bene viene direttamente spedito o trasportato;

la finalizzazione della cessione nazionale al trasporto a cessionario residente all’estero deve guidare l’interpretazione dell’espressione letterale «a cura» del cedente, contenuta nel predetto art. 58, primo comma, nel senso che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, deve essere voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero e non anche che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest’ultimo (cfr., sul tema, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4408; Cass. 24 giugno 2011, n. 13951);

– con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 19 e 19-bis. 1, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, per aver la Corte territoriale riconosciuto la detraibilità dell’i.v.a. relative a spese sostenute per un soggiorno estivo dei figli dei dipendenti, per la formazione dei dipendenti di altre società del gruppo e di trasporto del personale;

– il motivo è infondato;

– occorre premettere che l’i.v.a. in oggetto si riferisce, secondo quanto accertato dal giudice di appello, a costi per «benefici» in favore dei figli dei dipendenti, per formazione e qualificazione dei dipendenti medesimi e per servizi di trasporto del personale, anticipati da altra società del gruppo;

– ciò posto, il diritto alla detrazione dell’i.v.a. assolta è ammesso non solo quando sussiste un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle, tale per cui le spese sostenute per acquistare i beni o i servizi gravati dall’imposta facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni soggette ad imposta a valle che conferiscono diritto a detrazione, ma anche quando i costi dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo (cfr. Corte Giust. 29 ottobre 2009, SKF);

– in particolare, i costi sostenuti per i servizi offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti possono essere considerati come aventi un nesso economico con il complesso delle attività economiche della contribuente medesima, risolvendosi nella acquisizione di prestazioni accessorie rispetto alle esigenze dell’impresa, per cui assumono rilevanza quali spese generali connesse al complesso delle attività economiche del soggetto passivo (cfr. Corte Giust. 18 luglio 2013, Maritza East) ;

– non può trovare, dunque, applicazione al caso in esame l’invocato divieto di detrazione dell’imposta previsto dall’art. 19-bis. 1, lett. e), d.P.R. n. 633 del 1972, nella formulazione applicabile pro tempore, per le prestazioni – salvo che formino oggetto dell’attività propria dell’impresa – alberghiere, di somministrazioni di alimenti e bevande e di trasporto di persone ed al transito stradale delle autovetture e autoveicoli di cui all’articolo 54, lettere a) e c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, esulando i casi in esame dall’ambito di applicazione di tale fattispecie;

– con l’ultimo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 67, primo e secondo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nella formulazione pro tempore vigente, e del d.m. 31 dicembre 1988, per aver la Corte territoriale, confermando la decisione assunta sul punto dal giudice di primo grado, ritenuto infondato il rilievo dell’Ufficio attinente la deduzione fiscale delle quote di ammortamento di un terreno, calcolate con riferimento sia al valore di acquisto, sia al costo dell’infrastruttura (piazzale) che vi è stata edificata;

– il motivo è fondato;

– come noto, l’ammortamento consiste nella ripartizione per competenza (con metodo sistematico e razionale) del costo di acquisizione di beni con riferimento alla loro «vita utile», negli anni in cui la loro utilità funzionale ed economica si connette al processo produttivo dell’impresa partecipando al risultato dei singoli esercizi, in rapporto al deperimento fisico o tecnologico o economico (e perciò giuridico) di essi, derivante dall’impiego produttivo del bene strumentale di durata pluriennale (cfr., sul punto, Cass., sez. un., 26 aprile 2017, n. 10225);

– con riferimento ai beni strumentali costituiti da terreni, gli stessi, di regola, non sono soggetti a logorio fisico ed economico, né ad usura, per cui non rientrano nella nozione fiscale di beni ammortizzabili, a meno che non venga in rilievo, in alcuni casi eccezionali, un deperimento (fisico od economico) del terreno nel corso del suo utilizzo pluriennale al servizio dell’impresa, tale da escludere la normale illimitata durata della «vita utile» del bene;

– nel caso in esame, la decisione impugnata si è limitata riconoscere la deducibilità delle quote di ammortamento del terreno, senza verificare se fosse ipotizzabile un deperimento (fisico od economico) del terreno nel corso del suo utilizzo pluriennale al servizio dell’impresa e, per tale via, una deroga al principio generale della non ammortizzabilità dei terreni;

– la sentenza va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione;

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione.