CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2018, n. 22348
Tributi – Accertamento – Immobili – Compravendita – Corrispondenza economica fra il valore del mutuo e quello degli immobili – Determinazione dell’imposta dovuta
Rilevato che
– la C.C. s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 3 luglio 2012, di reiezione dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto i tre ricorsi – poi riuniti – proposti avverso altrettanti avvisi di accertamento relativamente a IRES, IRAP e IVA, per gli anni 2004, 2005, 2006;
– confermando la decisione di primo grado, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto la correttezza dell’operato dell’Ufficio, che doveva reputarsi trovare riscontro nella valutazione peritale delle banche eroganti i mutui accesi per l’acquisto degli immobili, alla luce degli importi dei mutui, superiori al valore delle vendite, secondo quanto confermato anche da taluni compratori;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso;
– il PG ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso la C.C. S.r.l. denunzia difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia con riguardo alla ritenuta corrispondenza economica fra il valore del mutuo e quello degli immobili oggetto di compravendita al fine della determinazione dell’imposta dovuta, in assenza di elementi probatori a sostegno della tesi e nell’asserita impossibilità per la contribuente di dimostrare il contrario;
– con il secondo motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione dei principi in ordine alla valutazione delle prove, alla luce dell’art. 24 Cost. sempre con riguardo alla difficoltà probatoria per il contribuente a fronte degli accertamenti effettuati, con particolare riferimento alle dichiarazioni raccolte dalla Guardia di Finanza;
– con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546/92 in relazione alla dedotta abrogazione dell’art. 35 comma 23 D.L. 2223/06 ritenuta tardiva in quanto non proposta in primo grado;
– con riguardo al primo motivo, inammissibile, va rilevato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (in questi termini, Cass. n. 19547 del 2017);
– il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (V. Cass. 19547/2017);
– nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale fornisce adeguata contezza degli elementi probatori, che reputa univoci, atti a corroborare l’adeguatezza dell’accertamento effettuato in ordine all’esistenza di una differenza fra il prezzo di acquisto dei beni immobili dichiarato e quello effettivo alla luce non solo delle dichiarazioni degli interessati, ma anche di elementi documentali reputati idonei a suffragare l’accertamento;
– con particolare riguardo al rilievo attribuito alle dichiarazioni rese dai compratori, oggetto dell’articolata memoria di parte ricorrente, va evidenziato che trattasi soltanto di uno degli elementi presuntivamente assunti a sostegno della constatazione relativa alla sussistenza di un divario fra il prezzo degli immobili quale dichiarato e quello effettivo, elemento che è stato utilizzato esclusivamente al fine di suffragare strumenti probatori di carattere documentale all’uopo ritenuti rilevanti;
– con riferimento alle dedotte violazioni di legge, va invece evidenziato che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea cognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex plurimis, Cass. n. 24054 del 2017);
– in particolare, il discrimen tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr. Cass n 7394 del 2010; Cass. n 14468 del 2015, nonché la già richiamata Cass. n. 24054 del 2017);
– nel caso di specie, invero, parte ricorrente, pur deducendo una violazione di legge, mira, in realtà ad ottenere una inammissibile revisio prioris istantiae richiedendo al giudice di legittimità una diversa valutazione di merito (che avrebbe potuto esser fatta valere ai sensi dell’art. 360 n. 5 nei limiti consentiti dalla formulazione temporalmente applicabile) e volendo ricondurre tale verifica nell’ambito del vizio di violazione di legge.
– in ordine al terzo motivo, premesso che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., fra le altre, Cass. n. 11223 del 2016), nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili, va rilevato che anche a voler ritenere ammissibile la dedotta intervenuta abrogazione dell’art. 35 comma 23 D.L. n. 223/06, tale aspetto risulta del tutto irrilevante nell’iter decisorio seguito sia in primo che in secondo grado;
– è vero, infatti, che la mentovata disposizione legislativa prevede che, per i trasferimenti immobiliari soggetti ad IVA finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari il valore normale dei fabbricati non è inferiore al finanziamento erogato e, purtuttavia, alle medesime conclusioni può pervenirsi, come hanno fatto le due Commissioni a prescindere dall’applicazione della norma considerata, essendo le decisioni fondate non sulla richiamata disposizione di legge, bensì sulla massima di esperienza secondo cui tendenzialmente il valore dei mutui accesi per l’acquisto di un immobile tende a coincidere con esso e non a sopravanzarlo come accaduto nel caso di specie, mentre, d’altro canto, tale argomentazione risulta suffragata da diversi elementi probatori;
– deve, quindi, ritenersi che i giudici di merito abbiano utilizzato il valore del mutuo e le perizie bancarie come presunzioni semplici, e non come presunzione legale in applicazione della abrogata disposizione di cui all’art. 35, comma 23 bis, presunzione semplice suffragata da altri elementi probatori indicati dalla C.T.R. (quali i prezzi superiori indicati nelle promesse di acquisto e vendita e le dichiarazioni dei soggetti acquirenti);
– anche in questo caso, pertanto, pur deducendosi una violazione di legge, si mira, invece, a promuovere una nuova valutazione del merito della vicenda, incompatibile con il giudizio di legittimità;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;
– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità in favore della parte controricorrente, che liquida in euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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