CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2018, n. 22381
Lavoro – Contratto di somministrazione – Nullità – Sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato
Fatti di causa
1.1. Con sentenza n. 3978/2013 la Corte di appello di Roma, decidendo sull’impugnazione di C.B. nei confronti di T.I. S.p.A., in riforma della decisione del Tribunale capitolino, riteneva la nullità del contratto di somministrazione intercorso tra l’utilizzatrice T. e la società di fornitura S. S.p.A. e di quello di lavoro somministrato intercorso tra la B. e la S. S.p.A. a far data dall’1/12/2005 (stipulato con riferimento al contratto di somministrazione sopra richiamato e ai sensi dell’art. 20, co. 4, del d.lgs. n. 276/2003 per ‘gestione del cali center in relazione alle esigenze di carattere organizzativo connesse al riassetto societario del gruppo T.), dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato, condannava la società utilizzatrice al ripristino della funzionalità del rapporto e a corrispondere all’appellante le retribuzioni omesse dal 21/10/2008 oltre accessori di legge e pagamento dei contributi.
1.2. Riteneva la Corte territoriale che sia nel contratto di somministrazione sia in quello di lavoro somministrato (entrambi a tempo determinato) non fossero esplicitate in maniera sufficientemente specifica ed esaustiva le ragioni del ricorso a tale tipologia contrattuale e che neppure sussistessero le temporanee esigenze sottese all’assunzione, da considerarsi requisito essenziale, implicito nella legge.
Escludeva, poi, l’applicabilità dell’art. 32 della l. n. 183/2010.
2. Per la Cassazione della sentenza ricorre T.I. S.p.A. con quattro motivi.
3. C.B. resiste con controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 276/2003, artt. 20, 21 e 27. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto necessaria, ai fini della validità del contratto di somministrazione, l’esistenza di una ragione temporanea, essendo sufficiente l’indicazione della ragione giustificatrice di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e censura, altresì, la sentenza impugnata per aver ritenuto generica la causale indicata nel contratto, evidenziando che la stessa integrava i requisiti di forma richiesti dall’art. 20, co. 4 del d.lgs. n. 176/2003.
1.2. Con il secondo motivo, assumendo violazione dell’art. 27, co. 2, del d.lgs. n. 276 del 2003 e mancanza di motivazione, la società contesta che in caso di somministrazione irregolare possa costituirsi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei confronti dell’utilizzatore.
1.3. Con il terzo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione della l. n. 183/2010, art. 32, la ricorrente assume che nella specie trovasse comunque applicazione il regime indennitario previsto dall’art. 32 citato.
1.4. Con il quarto motivo, denunciando la violazione degli artt. 1123 e 1127 cod. civ., la ricorrente lamenta il mancato esame dell’eccezione di aliunde perceptum.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha evidenziato quale primo (essenziale) profilo di illegittimità del contratto di lavoro somministrato in questione la genericità della causale nello stesso indicata.
Tale soluzione, da sola idonea a fondare la declaratoria di illegittimità, è corretta.
Questa Corte, che già ha avuto modo di affermare – riguardo all’omologa figura del lavoro temporaneo di cui alla l. n. 196/1997 – che il contratto di fornitura non può omettere di indicare la relativa causale, né può indicarla in maniera generica limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa (v. Cass. 7 gennaio 2013, n. 1148), è pervenuta ad analoghe conclusioni anche in ordine alla somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20 e ss. del d.lgs. n. 276/2003 (v. Cass. 13 maggio 2013, n. 11411; Cass. 7 maggio 2013, n. 10560; Cass. 3 aprile 2013, n. 8120, Cass. 8 maggio 2012, n. 6933).
E’ stato precisato che l’indicazione delle ragioni giustificative non può essere tautologica, né può essere generica, dovendo esplicitare, onde consentirne lo scrutinio in sede giudiziaria, il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta (v. anche Cass. 5 maggio 2016, n. 9121; Cass. 10 agosto 2014, n. 17540; Cass. 6 ottobre 2014, n. 20001).
Nella specie non è censurabile la decisione qui impugnata che ha ritenuto che la casuale indicata in contratto (gestione del call center in relazione alle esigenze di carattere organizzativo connesse al riassetto societario del gruppo T.) non soddisfacesse quel minimo necessario di specificità della causale medesima che, sia pure non più legata a situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto collettivo, deve sempre essere chiaramente espressa con riferimento al contesto della peculiare situazione dell’impresa utilizzatrice e delle sue esigenze produttive (v. Cass. 9 dicembre 2016, n. 25265), non risultando, in particolare, esplicitato per quali ragioni per la gestione del call center occorresse il ricorso al lavoro somministrato né in cosa consistesse il riassetto societario indicato ovvero il periodo temporale di riferimento.
2.2. Il secondo motivo è del pari infondato.
La sanzione di nullità del contratto opera anche in ipotesi di indicazione omessa o generica della causale della somministrazione, con conseguente trasformazione del contratto a tempo determinato alle dipendenze del somministratore in contratto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore (cfr. Cass. n. 25265/2016 cit.; Cass. n. 17540/14 cit.; Cass. 29 maggio 2013, n. 13404; Cass. 9 settembre 2013, n. 20598).
2.3. Va, invece, accolto il terzo motivo, con assorbimento del quarto.
Ed infatti, l’art. 32 l. n. 183/2010 trova applicazione, quale ius superveniens, in assenza di formazione di giudicato (Cass., Sez. U, 27 ottobre 2016, n. 21691), a tutti i giudizi pendenti all’entrata in vigore della legge (v. fra le altre in motivazione, Cass.12 agosto 2015, n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati). Ciò anche in tema di lavoro interinale, posto che l’indennità prevista dalla norma citata riguarda ogni caso in cui vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato, e dunque anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi degli artt. 20, 21 e 22 d.lgs. n. 276/2003 (come già prima ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. a) l. n. 196/1997), convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione. Anche tale contratto è, infatti, riconducibile alla categoria del contratto di lavoro a tempo determinato, come anche si desume dalla Direttiva 1999/70/CE, di recepimento dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, che, proprio per tale astratta riconducibilità, lo ha escluso espressamente dal suo campo di applicazione (Cass. n. 13404/2013 cit.; Cass. 20 agosto 2014, n. 18046; Cass. 23 aprile 2015, n. 8286; Cass. 26 aprile 2017, n. 10317).
4. Conclusivamente vanno respinti i primi due motivi di ricorso ed accolto il terzo, con assorbimento del quarto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e con rinvio alla Corte d’appello designata in dispositivo, per la determinazione dell’indennità dovuta alla lavoratrice ex art. 32 l. n. 183\2010, oltre che per la regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto, respinti il primo e il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
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