CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 dicembre 2018, n. 32415
Accertamento – Diniego parziale di rimborso di crediti di imposta sui dividendi – Impugnazione – Contenzioso tributario
Fatti di causa
L. (Europe) Ltd (in Admnistration) ricorre, su cinque motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso) avvero la sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara (d’ora in poi C.T.R.), nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione di diniego parziale di rimborso di crediti di imposta sui dividendi, ne aveva rigettato l’appello confermando la decisione di primo grado di rigetto del ricorso introduttivo.
In particolare, il Giudice di appello -premesso che era stata contestata dall’Ufficio la spettanza del 92,49% dei crediti di imposta sui dividendi chiesti a rimborso, malgrado la rinuncia operata dalla ricorrente all’atto della sottoscrizione del processo verbale di constatazione al 75% dei crediti richiesti- accertava che il sistema delle operazioni attuate dalla Società istante, che partiva dall’acquisizione di una massa consistente di titoli azionari, quali prestito titoli stipulati con vari investitori, istituzionali, come nel caso di fondi di investimento, la cessione dei predetti crediti ad una società controllata nel Regno Unito, prima del pagamento del dividendo stesso e quindi ripetizione, diremo per brevità, in senso inverso del percorso, dà contezza di una provvisoria utilizzazione di titoli in prossimità dello stacco dei dividendi al fine di potere beneficiare del credito di imposta convenzionale.
Da ciò e rilevata, altresì, l’insussistenza di valide ragioni economiche la C.T.R. faceva conseguire la piena legittimità del provvedimento di diniego con assorbimento di tutte le ulteriori questioni sollevate.
La Società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n.5 cod.proc.civ., la sentenza impugnata di omessa, o quanto meno insufficiente, motivazione. Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R. aveva omesso ogni argomentazione in ordine al fatto decisivo costituito dalla circostanza che la Società, sin dal primo grado di giudizio, aveva dimostrato con la produzione di prospetti, indici e tavole riassuntive e con riferimento all’ ammontare di crediti di imposta pari ad euro 53.167.779, che le controparti dei contratti di prestito titoli erano soggetti esteri residenti per la maggioranza non già negli Stati Uniti bensì in Italia, Francia e Regno Unito, come tali legittimati a fruire del credito di imposta sui dividendi di fonte italiana e che, per altra parte, i crediti di imposta contestati derivavano da ordinarie operazioni di acquisto di azioni e non solo da contratti di prestito titoli.
1.1 La censura è inammissibile. Come affermato da questa Corte “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (nel testo vigente ratione temporis) deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo, e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 cod. civ. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario, dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale (v. Cass. n. 16655/2011; id.n. 29883/2017).
1.2. Nel caso in esame, a fronte dell’accertamento in fatto compiuto dalla Commissione Tributaria Regionale (sostanzialmente confermativo delle risultanze emergenti dalle verifiche della Guardia di finanza e fatte proprie nel provvedimento di diniego espresso dal Centro Operativo) e della diversa ricostruzione del fatto evidenziata dall’Agenzia delle entrate in controricorso (ovvero che i titoli in questione erano stati sempre, nella pressoché integrale totalità, acquistati da Fondi di investimento diritto statunitense), il mezzo, nei termini in cui è formulato, appare privo della necessaria specificità in ordine alla “decisività” dei fatti sui quali la C.T.R. non avrebbe (o avrebbe insufficientemente) motivato.
La ricorrente, infatti, a fondamento del motivo, ribadisce di avere prodotto in giudizio un prospetto recante l’indicazione dell’ammontare complessivo del credito di imposta, un indice dei titoli azionari presi a prestito, delle tavole riassuntive di ciascuno dei titoli indicati dagli indici, tutti formati dalla stessa L., dai quali, a suo dire, era evincibile che l’importo chiesto a rimborso derivava da azioni prese a prestito da parti terze che a loro volta avevano diritto al credito e che per, un ulteriore parte, le azioni erano riferibili ad acquisiti fisiologici di azioni effettuate da L. nell’attività di trading e di investiment banking.
Ma, poi, la censura rimane carente in autosufficienza, giacché in seno al motivo si fa riferimento, sempre genericamente, a parti terze che a loro volta avrebbero comunque avuto diritto al credito di imposta ovvero ad un ulteriore parte di azioni relative ad acquisti nella fisiologica attività di trading e di investiment banking senza mai fornire una specifica e puntuale indicazione delle stesse né tanto meno riportare, neppure per stralci, le evidenze della documentazione prodotta.
2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi del n.4, 1 comma dell’art. 360 cod. proc.civ., l’omessa pronuncia da parte della C.T.R. sulla domanda di annullamento del provvedimento di diniego in quanto emesso a seguito di attività istruttoria eseguita molti anni dopo la presentazione delle istanze, in aperta violazione dell’art.10, par.5 della Convenzione Italia regno Unito sulla doppia imposizione. Secondo la prospettazione difensiva, in particolare, il provvedimento era illegittimo in quanto l’ufficio non aveva chiesto alla Società, all’atto di ricezione dell’istanza, le prove ritenute necessarie per verificare la spettanza del rimborso.
3. Con il terzo motivo si deduce, sempre ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n.4 cod.proc.civ., un’ulteriore omessa pronuncia relativamente alla domanda con la quale era stati chiesto l’annullamento del provvedimento di diniego perché illegittimo in quanto derivante da una procedura di rimborso contraria all’art.56 del Trattato CE, e ciò perché negli anni cui si riferivano le istanze di rimborso presentate da L. la procedura di rimborso dei crediti di imposta sui dividendi applicabile ad un soggetto residente in Italia era più favorevole di quella applicabile ad un soggetto residente nel Regno Unito. Inoltre la C.T.R. non aveva pronunciato, neppure, sulla domanda di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
4. Con il quarto motivo si deduce l’omessa pronuncia sulla domanda relativa alla contrarietà della procedura di rimborso con i principi della CEDU e sulla rimessione della questione alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234 del Trattato (in termini di danni economici subiti per i lunghi termini per ottenere il rimborso).
5. Infine, con il quinto motivo si deduce sempre omessa pronuncia laddove la C.T.R. non aveva pronunciato sulla irragionevolezza del criterio della media seguito dalla Guardia di Finanza e dal Centro Operativo di Pescara per determinare l’ammontare dei crediti di imposta.
6. Le censure, prospettanti tutte il vizio di omessa pronuncia, sono inammissibili.
6.1. In realtà, sulle domande, pretermesse secondo la prospettazione della ricorrente, il Giudice di appello ha pronunciato laddove, dando espressamente atto della loro proposizione nella parte dedicata allo svolgimento del processo, ha, poi, ritenuto (pag.3 della parte motiva della sentenza) che i motivi, già esposti per confermare la legittimità del diniego, erano assorbenti ogni altra considerazione, e, quindi, di non reputare, sempre per tali motivi, di aderire alla richiesta subordinata di… astensione e sottoposizione di quesiti alla Corte di Giustizia.
6.2. Egualmente la C.T.R. non è incorsa in omessa pronuncia sulla domanda oggetto del quinto motivo laddove ha dato atto, implicitamente condividendolo, del metodo seguito dal Centro operativo di Pescara.
6.3. Ciò posto va rilevato che, secondo l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (cfr. tra le altre, Cass. n. 28663 del 27/12/2013) condiviso dal Collegio, la figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa.
6.4.Nel caso in esame, la ricorrente ha sempre denunciato, invece, il vizio di omessa pronuncia e neppure in seno ai singoli motivi di ricorso, ha censurato la pronuncia di assorbimento ovvero il rigetto implicito delle domande ad opera della C.T.R. con conseguente inammissibilità del mezzo ed impossibilità da parte della Corte di valutare la fondatezza delle doglianze.
7. In conclusione, per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso va rigettato e la ricorrente, soccombente, condannata alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 8.200,00 oltre spese prenotate a debito.
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