CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 dicembre 2018, n. 32419

Tributi – Accertamento – PVC – Contenzioso tributario – Riscossione – Perdita fiscale dichiarata dalla società

Fatti di causa

1. L’Agenzia delle entrate notificava a S. I. s.r.l. avviso di accertamento, sulla base dei rilievi formulati dalla Guardia di finanza nel processo verbale di constatazione, con il quale riprendeva a tassazione ai fini Irpeg ed Irap per l’anno 2001 ammortamenti ritenuti indeducibili per complessivi € 42.637.538,00, rettificando di conseguenza la perdita fiscale dichiarata dalla società. Gli ammortamenti ritenuti indeducibili riguardavano costi per noleggio satellite per € 5.237.123, costi per diritti televisivi per € 3.801.840,00 e costi per diritti sportivi per € 33.598.575. Con riferimento ai costi per l’utilizzo del satellite l’Agenzia riteneva che erano stati indebitamente capitalizzati ed ammortizzati secondo il principio contabile FAS 51 emanato dal FASB , organismo contabile statunitense, ma non potevano essere considerati come costi per “utilità ripetuta” nel tempo, in quanto meri canoni di locazione. Allo stesso modo i costi per avvenimenti sportivi non erano a “utilità ripetuta”, ma solo costi di esercizio, sicché per ogni esercizio la società doveva sostenere nuovi costi per l’acquisto di ulteriori avvenimenti sportivi. Quanto all’acquisizione di films, la risoluzione ministeriale n. 35/E del 13-2-2003 riteneva che non fossero costi ad utilizzo pluriennale, ma dovessero essere inquadrati fra i beni immateriali, ammortizzabili con le regole ordinarie, essendo i films acquistati per un tempo molto limitato (alcuni mesi), al di fuori delle spese di start up.

2. Proponeva ricorso la contribuente, deducendo che aveva legittimamente iscritto nell’attivo patrimoniale come costo di impianto ed ampliamento tali costi nel “triennio” di lancio dell’attività di trasmissione televisiva su piattaforma digitale satellitare (maggio 1999-maggio 2002), in applicazione del principio contabile statunitense FAS 51 (relativo alle start up del settore televisivo), con deduzione delle quote di ammortamento dei costi ai sensi dell’art. 74 comma 3 del d.p.r. 917/1986, imputate al conto economico 2001 (cfr. pagina 4 del ricorso per Cassazione). Tale principio contabile, ad integrazione dei principi nazionali ed europei, consentiva di capitalizzare i costi di avviamento di una nuova iniziativa imprenditoriale durante un periodo denominato di “prematurità”, quando il sistema televisivo era parzialmente operativo. Si trattava dei costi che non sarebbero variati in modo significativo al variare del numero dei sottoscrittori e che dovevano, quindi, essere capitalizzati e distribuiti in più esercizi (cinque ai sensi dell’art. 2426 c.c.), previo consenso del collegio sindacale, secondo un algoritmo determinato, fino al raggiungimento al terzo anno di attività di circa un milione di abbonati, proprio tenendo conto del fatto che l’attività televisiva era intrapresa in una situazione di totale assenza di abbonati. Trattavasi di costi di “utilità pluriennale” in quanto l’utilità della controprestazione ottenuta (nuova clientela e diffusione degli abbonamenti) si ripercuoteva anche negli esercizi futuri. Per i primi anni di attività, quindi, era inevitabile che i costi sostenuti per l’acquisito dei diritti televisivi non potessero trovare alcuna correlazione con i rispettivi ricavi. Costituivano, dunque, costi di impianto da indicare nella voce BI1 dello stato patrimoniale ex art. 2424 c.c., con utilità pluriennale ai sensi dell’art. 2426 punto 5 c.c..

3. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso.

4. Avverso tale decisione proponeva appello la società.

5. La Commissione tributaria regionale rigettava il gravame.

6. Proponeva ricorso per cassazione la società.

7. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “inesistenza o nullità della sentenza per inidoneità al raggiungimento dello scopo, dovuta al difetto dei requisiti essenziali di forma-contenuto (in particolare, di dispositivo e motivazione, i quali né singolarmente né congiuntamente, consentono di individuare il concreto comando espresso dai Giudici), per violazione degli articoli 156, comma 2, c.p.c., 132 comma 1, nn. 4 e 5 c.p.c., 118 disp.att.c.p.c., e 36 comma 2, nn. 4 e 5 d.lgs. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c”, in quanto la Commissione tributaria regionale dichiara nel dispositivo di accogliere in parte l’appello proposto dalla società, ma in motivazione non si individua “con obiettiva certezza” il concreto comando giudiziale che esprime “rendendo impossibile determinare gli effetti del parziale accoglimento dell’appello sull’avviso di accertamento in controversia”.

1.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la sentenza della Commissione regionale è strutturata con adeguata motivazione e con dispositivo finale. Nel dispositivo si legge che “In parziale riforma della sentenza, si determina la competenza dei costi, come in motivazione. Spese compensate”.

In motivazione, la sentenza si sofferma sulle tre voci di costi contestate dalla Agenzia delle entrate, in quanto la società non poteva iscrivere tali costi tra le immobilizzazioni immateriali dello stato patrimoniale, ed in particolare nella voce BI 1 (“costi di impianti e di ampliamento”), previo consenso del collegio sindacale ai sensi dell’art. 2426 comma 1 n. 6 c.c., per poi procedere alla deduzione delle quote di ammortamento in più anni, in applicazione del principio contabile FAS 51 di origine statunitense. La Commissione, quindi, esamina prima di tutto le spese sostenute dalla società per acquisire i diritti televisivi sportivi (campionato di calcio e Coppa Italia ed altri diritti sportivi), accogliendo in parte l’appello della società.

In sostanza, per la Commissione regionale i verificatori “hanno confutato la qualificazione giuridica, operata dalla società, dei suddetti costi come spese di start up, sostenute per l’avvio e lo sviluppo dell’attività ed iscritte in bilancio come costi di impianto e di ampliamento operando, pertanto la deduciblità fiscale delle quote di ammortamento”.

Tuttavia, con riferimento specifico ai costi per l’acquisizione di diritti televisivi sportivi, la società ben avrebbe potuto dedurre i costi in due anni, in quanto gli eventi sportivi hanno in genere durata biennale, iniziando ad agosto del primo anno e terminando a giugno dell’anno successivo, quindi con una deduzione in due anni (“…la cessione dei diritti in argomento ha una validità limitata nel tempo e nello spazio e pertanto tali costi non possono essere posti in correlazione con futuri ricavi, bensì partecipare alle spese di esercizio (anno 2000) e a quelle del successivo esercizio. Infatti è notorio a tutti che il campionato di calcio e la Coppa Italia svolgono la loro attività in un arco di tempo che mediamente va da Agosti dell’anno in corso a Giugno dell’anno successivo. Per quanto detto è giusta la partecipazione delle spese relative alla acquisizione di tali diritti in proporzione all’anno in corso e a quello successivo”)

Non v’è stata, allora, conferma piena dell’avviso di accertamento, in quanto l’Agenzia aveva proceduto a dichiarare indeducibili tutte le quote di ammortamento relative ai tre anni in oggetto, quindi dal 1999 al 2002, incasellando le spese per acquisizione di diritti televisivi sportivi per ciascun anno, e rifiutando la deduzione pluriennale delle spese, quali spese di start up o costi di impianto, relative ad utilità future (in vista della sottoscrizione degli abbonamenti e del procacciamento dei clienti).

Anche con riferimento alle spese per l’acquisizione di diritti cinematografici, la Commissione regionale ritiene che debba essere applicato l’ammortamento ai sensi dell’art. 68 del d.p.r. 917/1986, in base alla risoluzione ministeriale 35/E del 2003 (“questa Commissione concorda con quanto rilevato dai verbalizzanti…circa l’applicazione della Risoluzione Ministeriale del 13-2-2003 n 35/E, che ha precisato che i diritti di sfruttamento delle opere cinematografiche vanno considerate come beni immateriali e ammortizzate secondo le regole dettate dall’art. 68, comma 1, del d.p.r. 917/1986 in vigore interessa”).

Anche in tal caso, quindi, viene accolto in parte l’appello della società sul punto.

Solo in relazione alle spese sostenute per l’utilizzo del satellite, viene confermato in toto l’accertamento della Agenzia delle entrate, trattandosi di spese di locazione, non attinenti al diritto di proprietà o ad altro diritto reale (“Infine, per quanto riguarda i costi di cui alla lettera c, utilizzo del satellite, questa Commissione ritiene che tali costi vadano considerati come meri canoni di locazione che non determinano alcun diritto sulla proprietà o altro diritto reale, se non quello dell’uso previsto contrattualmente”).

La Commissione, poi, respinge la possibilità di applicare il criterio di ammortamento delle spese di cui al principio contabile FAS 51, in quanto relativo ad altro ordinamento giuridico (USA) ed in contrasto con i principi contabili nazionali ed internazionali (“si vuole sottolineare che il principio contabile statunitense, cosiddetto Fas 51, non esplica alcuna efficacia per l’ordinamento normativo italiano e non possono avere prevalenza alcuna sulle regole dettate dai principi contabili nazionali e soprattutto da quelli previsti dallo IASC”).

La sentenza chiude con l’affermazione che “in conclusione l’appello della società, in riforma della sentenza impugnata, si accoglie in parte come indicato nei tre punti di cui in motivazione”.

Pertanto, la sentenza, pur nella sua sintetica motivazione, adempie in modo congruo alla sua funzione di palesare i passaggi argomentativi che conducono al parziale accoglimento dell’appello della società.

Né l’indicazione contenuta nel dispositivo in ordine ai costi di “competenza” può indurre ad equivoci o ad incomprensioni (“In parziale riforma della sentenza, si determina la competenza dei costi, come in motivazione”), in quanto l’oggetto della controversia concerne proprio la deducibilità delle quote di ammortamento in più anni (secondo la tesi della società), oppure in un unico esercizio quale costo ordinario di gestione (secondo la tesi della Agenzia delle entrate).

Del resto, dal tenore del ricorso per cassazione si evince che la società ha ben compreso il contenuto della motivazione della sentenza della Commissione regionale, avendo affermato la S. s.p.a. che “si tratta di proposizioni che non consentono di individuare quale parte dell’avviso di accertamento è stato annullato per effetto della parziale riforma della sentenza di prime cure”), quindi comprendendo che era stato accolto in parte l’appello proposto dalla società, aggiungendo subito dopo che “per quanto attiene i costi per il noleggio del satellite, …si può ritenere che i Giudici di appello abbiano inteso confermare il recupero a tassazione delle relative quote di ammortamento, avendo aderito in motivazione alle argomentazioni formulate dall’Ufficio, già recepite dalla Commissione Tributaria Provinciale”).

Insomma, proprio dal tenore del ricorso per cassazione emerge la chiara intelligibilità del decisum, favorevole in parte alla società con riferimento alle prime due voci di costi (cfr. pagina 35 “…suggerendo la deducibilità di una parte degli stessi nell’esercizio al quale si riferisce la controversia (il 2000) e, dunque, un ridimensionamento o un annullamento del recupero in questione”; cfr. pagina 36 per gli eventi cinematografici “non è chiaro se, ammettendo l’ammortamento dei costi considerati ai sensi dell’art. 68 comma l…del d.p.r. 917/1986, anziché dell’art. 74, comma 3…i Giudici abbiano inteso confermare il recupero a tassazione delle quote di ammortamento dedotte dalla società, ovvero annullarlo…”) e del tutto sfavorevole alla stessa con riferimento alla terza voce di spesa, attinente alla locazione del satellite per le trasmissioni televisive, da inserire nel conto economico secondo il criterio di competenza economica sulla base degli accordi contrattuali ai sensi dell’art. 75 del d.p.r. 917/1986.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “Illegittimità della sentenza nella parte in cui i Giudici hanno negato che i costi in controversia costituiscano costi di impianto ed ampliamento ad utilità pluriennale per violazione degli artt. 74, comma 3…, del d.p.r. 917/1986, 2424, comma 1, BI1, e 2426, comma 1, n. 5, c.c., nonché falsa applicazione dell’art. 68, comma l…del d.p.r. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.” in quanto è legittima la capitalizzazione dei costi di impianto e di ampliamento relativi all’esercizio 1999, con imputazione di quote di ammortamento di tali costi capitalizzati nel conto economico relativo al 2000, per complessivi € 14.145.826,00.

2.1. Tale motivo è infondato.

Invero, non può essere condivisa la tesi sostenuta dalla società per cui le tre tipologie di costi in contestazione, in realtà sarebbero costi di impianto e di ampliamento, da capitalizzare ai sensi dell’art. 2424 lettera BI1, con quote di ammortamento da imputare ad una pluralità di anni, ai sensi dell’art. 2426 comma 1 n. 5 c.c..

Per la società, in applicazione del principio contabile statunitense FAS 51, caratteristico però delle televisioni via cavo, e non satellitari, le spese affrontate per l’acquisizione di diritti televisivi sportivi, cinematografici e per l’utilizzo del satellite, sarebbero equiparabili ai costi di impianto e di ampliamento, in quanto diretti alla conquista di spazi di mercato e di abbonati, e quindi per utilità future. In tal modo, le spese, proprio perché attinenti ai futuri ricavi relativi ad esercizi a venire, non possono essere inseriti alla voce costi del conto economico, determinando così perdite ingenti nei primi anni di attività, quando non vi è ancora nessun abbonato (e quindi in assenza di ricavi), ma vanno appunto capitalizzati e spalmati quali quote di ammortamento in una pluralità di anni nel conto economico come costi per ammortamento delle immobilizzazioni immateriali.

In tal modo, tali spese, essendo preordinate all’obiettivo di lungo termine, caratterizzato dalla sottoscrizione di abbonamenti e dalla conquista di clienti, vanno per tale ragione, equiparate ai costi di impianto e di ampliamento, con la connessa possibilità di diluizione in più esercizi come quote di ammortamento. L’art. 2424 c.c. dello stato patrimoniale prevede alla lettera BI1 dell’attivo proprio i costi di impianto e di ampliamento, ma ciò solo previo consenso del collegio sindacale. L’art. 2426 comma 1 n. 5 c.c. prevede, poi, che “i costi di impianto e di ampliamento e i costi di sviluppo aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale. I costi di impianto e ampliamento devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni”.

Vengono poi, in rilievo, i principi contabili nazionali (OIC 24), riferiti proprio ai costi di impianto e di ampliamento, consentendo la capitalizzazione degli stessi all’attivo patrimoniale e la deduzione delle quote di ammortamento in più anni. Al punto 4 si legge che “le immobilizzazioni immateriali sono attività normalmente caratterizzate dalla mancanza di tangibilità. Esse sono costituite da costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo ma manifestano i benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi. Le immobilizzazioni immateriali comprendono: oneri pluriennali (costi di impianto e di ampliamento; costi di sviluppo)…”.

Gli oneri pluriennali hanno caratteristiche più difficilmente determinabili rispetto ai beni immateriali veri e propri (diritti di brevetto, diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno).

I costi di impianto e di ampliamento sono “i costi che si sostengono in modo non ricorrente in alcuni caratteristici momenti del ciclo di vita della società, quali la fase pre-operativa (cosiddetti costi di start up) o quella di accrescimento della capacità operativa” (cfr. punto 6 del principio contabile OIC 24).

Al punto 25 del principio OIC 24 si chiarisce il significato della voce BI 1 dell’art. 2424 c.c., sicché “La voce BI1 costi di impianto e di ampliamento può comprendere: – i costi inerenti l’atto costitutivo, le relative tasse, le eventuali consulenze….- i costi di start up…si tratta di costi sostenuti da una società di nuova costituzione per progettare e rendere operativa la struttura aziendale iniziale, o i costi sostenuti da una società preesistente prima dell’inizio di una nuova attività, quali ad esempio un nuovo ramo di azienda, un nuovo centro commerciale i costi relativi all’ampliamento della società…”.

Al paragrafo 40 si evidenzia che “gli oneri pluriennali possono essere iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale solo se: – è dimostrata la loro utilità futura;

– esiste una correlazione oggettiva con i relativi benefici futuri di cui godrà la società; -è stimabile con ragionevole certezza la loro recuperabilità…dando prevalenza al principio della prudenza…”

Nel paragrafo 42 si aggiunge che “la rilevazione iniziale dei costi di impianto …nell’attivo patrimoniale è consentita solo se si dimostra la congruenza ed il rapporto causa-effetto tra i costi in questione ed il beneficio (utilità futura) che dagli stessi la società si attende…” Si sottolinea che “la facoltà concessa dalla norma civile di capitalizzare tali costi non è uno strumento per politiche di bilancio finalizzate all’alleggerimento, nel conto economico della società, di costi che potrebbero significativamente ridurre i risultati economici della stessa, né la capitalizzazione di questi costi è l’automatica conseguenza del fatto che gli stessi siano stati sostenuti”.

Al punto 43, quindi, si cristallizzano i criteri per la deducibilità pluriennale delle quote di ammortamento delle spese di start up (“I costi di start up sono imputati al conto economico dell’esercizio in cui sono sostenuti; essi possono essere capitalizzati quando sono rispettate tutte le seguenti condizioni:- i costi sono direttamente attribuibili alla nuova attività e sono limitati a quelli sostenuti nel periodo antecedente il momento del possibile avvio (i costi generali e amministrativi e quelli derivanti da inefficienze sostenute durante il periodo di start up non possono essere capitalizzati)”‘, – il principio della recuperabilità dei costi è rispettato, in quanto è ragionevole una prospettiva di reddito”.

Il principio internazionale di cui allo IAS 38, invece, esclude in ogni caso la possibilità di capitalizzazione delle spese per costi di impianto, in quanto si intende privilegiare la trasparenza della gestione societaria, con la plastica visione dei risultati di ogni esercizio, con la comparazione tra ricavi e costi (cfr. pagina 52 del ricorso per cassazione “lo las 38, che regola la contabilizzazione delle immobilizzazioni immateriali, definisce queste ultime in guisa da escludere dal loro novero i costi di impianto e di ampliamento i quali, pertanto,…non sono capitalizzabili…ma restano assorbiti negli ordinari costi di esercizio”).

Non trova applicazione, allora, l’art. 74 comma 3 del d.p.r. 917/1986 il quale dispone che “Le altre spese relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1 e 2, sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio”, e quindi, secondo l’assunto della società nel massimo di cinque anni ai sensi dell’art. 2426 comma 1 n. 5 c.c., previo consenso del collegio sindacale.

Va applicato, invece, l’art. 75 del d.p.r. 917/1986, ove si dispone che “I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza”.

Le spese relative ai costi per l’utilizzazione del satellite, a quelle per l’acquisizione di diritti televisivi sportivi e cinematografici, sono invece spese con un orizzonte temporale limitato, in quanto gli eventi sportivi in contestazione concernono solo un biennio, e la locazione prevede un canone da pagare annualmente, sicché come dedotto dalla Agenzia delle entrate, tali spese attengono alla mera gestione ordinaria dell’impresa e non sono relative a ricavi per esercizi futuri. La società, quindi, deve sostenere puntualmente tali costi alla scadenza dei relativi termini contrattuali.

La definizione dei costi di impianto di cui all’art. 2424 lettera BI 1 va interpretata restrittivamente, in quanto consente di non inserire per intero il costo nel conto economico proprio dell’anno in cui il costo viene sostenuto, con una ammortamento delle relative quote in una pluralità di anni. In tal modo, si impedisce che i redattori del bilancio inseriscano tra i costi di impianto anche altri elementi in modo da determinare un “puro differimento di perdite” di esercizio.

L’imprenditore, dunque, anche nell’intraprendere una start up deve pianificare sin dall’inizio i costi necessari per lo svolgimento della attività, in modo da coprire tali oneri con i ricavi iniziali, con un adeguato capitale o con un nuovo apporto di capitale da parte dei soci già al termine del primo esercizio.

Il principio contabile statunitense del FAS 51 (con l’algoritmo di cui a pagina 76 del ricorso per Cassazione “frazione avente al denominatore il numero totale degli abbonamenti previsti [quindi 1 milione] per la fine del periodo di prematurità ed al numeratore il maggiore tra….”) è in aperto contrasto con il principio internazionale IAS 38 ed è riferito, peraltro, solo alle imprese televisive via cavo e non satellitari, sicché non è applicabile al caso di specie. Con riferimento alla violazione dell’art. 68 d.p.r. 917/1986, per quanto attiene ai costi per l’utilizzo di diritti cinematografici, la Commissione regionale ha correttamente fatto applicazione della risoluzione E/35 del 13-2-2003 della Agenzia delle entrate, considerando dunque che i beni rappresentati dai film non sono considerati oneri pluriennali, ma beni immateriali, il cui ammortamento fiscale è disciplinato dall’art. 68 del d.p.r. 917/1986 (“Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno…sono deducibili in misura non superiore a un terzo del costo”).

Non può condividersi, allora, proprio per la necessaria interpretazione restrittiva dell’art. 2424 comma 1 Lettera BI1 c.c., la tesi per cui tra i costi pluriennali vanno ricompresi non solo quelli relativi alla fase pre-operativa (come i costi per la costituzione della società), ma anche quelli inerenti alla fase prettamente “operativa”, solo perché il pareggio del bilancio potrà aversi a distanza di anni, quando si sarà raggiunto un minimo di abbonamenti sottoscritti (la messa a regime dell’attività, cfr. pagina 65 del ricorso per cassazione).

Per la Suprema Corte, peraltro, in tema di deduzioni ai fini IRPEG ed IRAP, i costi di natura straordinaria per la loro utilità pluriennale, ai sensi dell’art. 2426, primo comma, numero 5), cod. civ., possono – previo consenso del collegio sindacale ove esistente – essere iscritti nell’attivo, anziché essere imputati in conto economico come componenti negativi del reddito di esercizio in cui sono sostenuti, ove la società ritenga, in base ad una scelta fondata su criteri di discrezionalità tecnica, di capitalizzarli in vista di un successivo ammortamento pluriennale invece di far gravare i costi interamente sull’esercizio in cui sono stati sostenuti; tale valutazione, ai fini della graduazione del beneficio, deve tenere conto che l’iscrizione di queste spese all’attivo dello stato patrimoniale è consentita, oltre che dall’utilità pluriennale, di cui siano causa immediata e diretta, anche dalla circostanza che esse non abbiano avuto, come contropartita, l’incremento di valore di specifici beni o diritti anch’essi iscritti all’attivo (Cass.Civ., 6 novembre 2013, n. 24939, che richiama anche Cass.Civ., 11 gennaio 2006, n. 377).

Nella specie, come si è detto, manca proprio il carattere della utilità pluriennale, in quanto i costi sono stati sostenuti, ed in particolare quelli per l’utilizzo del satellite e per l’acquisizione di eventi sportivi televisivi , per i singoli esercizi commerciali.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la società deduce “illegittimità della sentenza nella parte in cui i Giudici hanno negato che i costi in controversia, in quanto volti a remunerare servizi acquisiti nell’esercizio in cui sono stati sostenuti, costituiscano costi di impianto ed ampliamento ad utilità pluriennale, per insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.”, anche in ragione del consenso espresso dal collegio sindacale e del parere della società di revisione.

3.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la Commissione regionale si è soffermata sull’analisi separata delle tre voci di costo che, secondo la appellante, inerivano a spese pluriennali, tali da poter essere capitalizzate ai sensi dell’art. 2424 comma 1 lettera BI1 c.c., per poi essere dedotte in quote ammortamento in più anni.

La Commissione ha, con argomentazioni sintetiche ma precise, negato il carattere pluriennale ai canoni di locazione del satellite, assumendo che tali spese costituiscono costi di gestione ordinaria previsti contrattualmente a specifiche scadenze. Inoltre, ai sensi del principio contabile OIC 24 al punto 76 si prevede che “L’ammortamento dei costi per migliorie dei beni di terzi si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione”, ma nella specie, si tratta di costi di locazione e non di miglioria.

Allo stesso modo la Commissione ha ritenuto possibile una deducibilità dei costi relativi agli eventi sportivi solo in due anni, per la peculiare durata degli eventi, quindi da agosto dell’anno in corso sino al giugno dell’anno successivo.

Per quanto concerne le spese per acquisizione di opere cinematografiche si è ritenuto corretto applicare il disposto dell’art. 68 del d.p.r. 917/1986, in relazione ai beni immateriali, anche sulla scorta della risoluzione della Agenzia delle entrate n. 35/E del 13-2-2003.

Inoltre, la Commissione ha esplicitato anche le ragioni della non applicabilità del principio contabile statunitense FAS 51 (paragrafo 6), in contrasto con il principio internazionale IAS 38.

Né osta alla decisione della Commissione regionale la relazione della società di revisione, che dà luogo solo ad una presunzione di veridicità delle scritture contabili (Cass.Civ., 26 febbraio 2010, n. 4737; Cass.Civ., 12 marzo 2009, n. 5926 ), in questo caso mai messa in discussione, in quanto il Giudice di appello si è limitato ad escludere il carattere pluriennale di alcune spese sostenute nella fase di “lancio” della nuova attività di impresa televisiva satellitare.

4. Le spese del giudizio vanno poste a carico della società e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la società a rimborsare alla Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 12.000,00, oltre spese prenotate a debito.