CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 febbraio 2019, n. 4389
Tributi – Accertamento – Dazi – Riscossione – Importazioni – Dogana – Operazione doganale irregolare
Fatti di causa
L’Agenzia delle Dogane ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria n. 49, depositata il 23 luglio 2013, che ha rigettato l’appello da essa proposto contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di La Spezia che aveva accolto il ricorso di T.B. avverso un avviso di accertamento, mediante il quale gli veniva richiesto il pagamento di maggiori dazi, per un ammontare di euro 20.434,30, avuto riguardo alla constatata irregolarità dell’operazione doganale di importazione IM/4 n. 716/F del 6 luglio 1998, concernente una partita di pesce congelato, da lui eseguita quale legale rappresentante della società importatrice.
Il ricorso agenziale è affidato a due motivi.
Resiste il contribuente con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Dogane denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 201 e 202 del codice doganale comunitario e degli artt. 38 e 56 del TULD, per avere i giudici d’appello erroneamente ritenuto che obbligati al pagamento dei dazi sono soltanto l’importatore e/o il suo rappresentante indiretto, e non anche qualsiasi altro soggetto, persona fisica o giuridica, che partecipi all’operazione doganale irregolare.
2. Con il secondo motivo, l’Agenzia delle Dogane denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la CTR affermato che “l’assoluzione per intervenuta prescrizione” del Bovo dal reato di contrabbando del quale era stato imputato in relazione al medesimo illecito oggetto dell’accertamento impugnato valesse ad escluderne tout court la coobbligazione tributaria e a comportare l’addebito della stessa “alla società e solo a quest’ultima”.
3. I due motivi, intimamente connessi, si prestano ad una trattazione unitaria; essi sono fondati e vanno accolti.
4. Entrambi i motivi censurano la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso, confermando quella di primo grado, la responsabilità solidale di T.B. che, quale legale rappresentante della società importatrice, aveva dichiarato un valore delle merci importate inferiore a quello effettivo.
5. La Commissione tributaria regionale ha condiviso, sul punto, in modo pedissequo, la sentenza della Commissione provinciale ed ha respinto l’appello rilevando che “…i reati hanno una valenza personale, mentre le eventuali evasioni fiscali sono riconducibili esclusivamente al soggetto che le commette; nella fattispecie il sig. B. è stato assolto per intervenuta prescrizione; la pretesa fiscale quindi è da addebitare alla società e solo a quest’ultima…”
6. La CTR ha omesso, con ogni evidenza, di considerare che, indipendentemente dalla qualifica di importatore attribuita al soggetto giuridico che introduce in modo irregolare la merce nel territorio doganale comunitario, è chiamato a rispondere della medesima obbligazione doganale anche chiunque abbia a qualsiasi titolo partecipato o contribuito a realizzare tale introduzione irregolare (art. 202 codice doganale comunitario di cui al Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 del 1992) (v. Cass. n. 15034 del 2014). Segnatamente, il comma 3 dell’art. 202 del codice doganale comunitario stabilisce che sono debitori dell’obbligazione doganale: “la persona che ha proceduto a tale introduzione irregolare”; “le persone che hanno partecipato a questa introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare”, nonché le “persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce introdotta irregolarmente”. La normativa di riferimento qualifica, dunque, come debitori per l’obbligazione doganale sorta in seguito all’irregolare introduzione di merce in ambito comunitario (in uno all’importatore) pure le persone che ad essa hanno, a qualsiasi titolo, partecipato ovvero che hanno acquisito o detenuto la merce illegalmente introdotta, prevedendo per tali persone – quale presupposto in aggiunta per la responsabilità – che esse sappiano o avrebbero dovuto sapere, secondo ragione, che l’introduzione della merce era irregolare (v. Cass. n. 24675 del 2011; cfr. anche Corte di Giustizia CE, 17 luglio 1997, resa nel procedimento C-97/95).
7. Pertanto, l’assunto del giudice d’appello, secondo cui l’evasione contestata alla società importatrice non potrebbe essere ricondotta ad altro soggetto, persona fisica (quand’anche, come nella specie, amministratore della stessa società) è erroneo e confliggente con la disciplina in vigore, la quale evidenzia, al contrario, che il soggetto che si sia, in qualsiasi modo ed anche di fatto, ingerito nell’operazione doganale di importazione, è tenuto in solido con il proprietario delle merci al pagamento dei dazi doganali. Ed infatti, a mente dell’art. 201, comma 3, del codice doganale comunitario, quando una dichiarazione è resa in base a dati che determinano la mancata riscossione totale o parziale dei dazi dovuti per legge, le persone che hanno fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione e che erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza della erroneità, possono essere parimenti considerati debitori conformemente alle vigenti disposizioni doganali.
8. È stato, in ultima analisi, significativamente osservato che soggetto passivo dell’obbligazione al versamento dei dazi non è solo l’importatore (direttamente e/o quale soggetto per conto del quale è resa la dichiarazione), ma anche, oltre suo rappresentante indiretto, qualsiasi altro soggetto che partecipi alle formalità doganali, rispondendo dell’obbligazione doganale quale sottoscrittore della dichiarazione o comunque “cooperante” al perfezionamento dell’operazione, posto che “l’obbligazione doganale sorge in conseguenza del mero fatto oggettivo della dichiarazione in dogana, prescindendo da qualsiasi considerazione ulteriore, anche concernente la titolarità della merce oggetto della dichiarazione stessa” (Cass. n. 7261 del 2009).
9. Merita soggiungere che, in base alla normativa nazionale, lo spedizioniere-doganalista risponde (in solido con il rappresentato), nelle ipotesi di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 2 della I. n. 213 del 2000, con espresso riferimento al caso dell’asseverazione dei dati delle dichiarazioni da presentare agli Uffici finanziari; il comma 5 del medesimo art. 2, per asseverazione intende “la verifica della corrispondenza dei dati contenuti nelle dichiarazioni presentate con i documenti sui quali le stesse si basano. Relativamente alle dichiarazioni doganali, l’asseverazione comprende anche l’attestazione che l’operazione doganale richiesta è regolare, completa dei documenti necessari e risponde a tutti i requisiti richiesti dalla normativa vigente per poter essere effettuata”; trattasi in definitiva di tutti quegli errori od omissioni inerenti la regolarità, veridicità e completezza dei dati, nonché di quelli attenenti all’idoneità e validità dei documenti allegati alle dichiarazioni fiscali e doganali.
10. Ciò che rileva in modo assorbente è dunque il dato normativo della I. n. 213 del 2000, la quale nel solco del diritto comunitario, incidendo sulle alcune disposizioni del d.P.R. n. 43 del 1973 ed del D.M. 28 dicembre 1992 esclude la responsabilità solidale dello spedizioniere-doganalista nelle sole ipotesi in cui egli non sia a conoscenza, o non avrebbe dovuto ragionevolmente esserlo, dell’erroneità delle dichiarazioni doganali.
11. Vale nel caso di specie, in definitiva, l’avviso sedimentato di questa Corte, secondo cui, quando una dichiarazione è resa in base a dati che determinano la mancata riscossione totale o parziale dei dazi dovuti per legge, le persone che hanno fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione e che erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza della erroneità, possono essere parimenti considerati debitori conformemente alle vigenti disposizioni doganali, posto che, in linea con la regolamentazione comunitaria, il d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 38, vincola all’obbligazione tributaria tutti coloro comunque ingeritisi nell’operazione (Cass. n. 3285 del 2012, Cass. n. 29585 del 2011, Cass. n. 1574 del 2012).
12. Quanto osservato è idoneo a corroborare, sul piano della fondatezza, la censura, avendo i giudici d’appello escluso la sussistenza del titolo di solidarietà passiva che giustificava la pretesa doganale anche nei confronti di TB (peraltro affermando erroneamente che questi è stato assolto dal reato di contrabbando ascrittogli in relazione all’accertamento doganale per cui è causa, che è stato invece dichiarato estinto per prescrizione) solo perché persona fisica.
13. Il giudice d’appello avrebbe, viceversa, dovuto limitarsi a valutare se il B., dichiarante in nome e per conto della società importatrice, “era o avrebbe dovuto ragionevolmente essere a conoscenza dell’erroneità dei dati dichiarati”.
14. All’accoglimento del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, per un nuovo esame; il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
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