CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 giugno 2018, n. 15637
Licenziamento – Carattere ritorsivo – Conseguenze patrimoniali – Retribuzione globale di fatto – Retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato – Esclusi dei compensi eventuali, quelli di cui non sia certa la percezione, quelli legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione ed aventi carattere occasionale
Fatti di causa
1. Con la pronuncia n. 139/2014 il Tribunale di Benevento ha dichiarato nei confronti di P. srl e, per essa, del C. P., l’illegittimità del licenziamento irrogato a M.C. siccome ritorsivo, con ordine di immediata reintegra e condanna al pagamento di tutte le retribuzioni globali di fatto dal 26.12.2006; ha condannato, altresì, la P. e per essa il C. P. al pagamento in favore della lavoratrice delle differenze retributive e tfr nonché delle retribuzioni relative al periodo 29.9.2006 – 25.12.2006, mentre ha rigettato la domanda riconvenzionale di risarcimento danni proposta dalla società.
2. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 4665/20016, in parziale riforma della predetta pronuncia, ha quantificato la retribuzione globale di fatto in euro 3.436,54 mensili in luogo di euro 4.258,22.
3. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha rilevato che: 1) non vi era alcuna incertezza, dalla lettura del dispositivo, in ordine al contenuto e ai destinatari della decisione; 2) il licenziamento aveva carattere ritorsivo e, quindi, andava applicata la tutela reale; 3) andava condivisa la valutazione del primo giudice in ordine alla qualifica di pseudo-dirigente attribuita alla C.; 4) l’importo globale di fatto della retribuzione andava individuato in euro 3.436,54 mensili, non essendovi contestazione circa le voci che componevano la retribuzione globale, conseguendo la differenza sull’importo complessivo al ricalcolo delle differenze retributive, che però era intervenuto in data successiva al licenziamento e connessa ad un fatto incerto ed eventuale; 5) il verbale di accordo sindacale del 22 settembre 2003 non poteva integrare alcuna rinuncia alla retribuzione fissata contrattualmente; 6) la clausola compromissoria non era strutturata quale condizione di procedibilità di una successiva azione giudiziaria; 7) la domanda riconvenzionale della società di risarcimento danni era infondata.
4. Avverso la pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione M.C. a quattro motivi.
5. Ha resistito con controricorso la P. srl formulando ricorso incidentale sulla base di sette motivi.
6. Il Concordato Liquidatorio P. srl è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo M.C. denuncia la violazione e falsa applicazione di legge: art. 112, 434 e 342 cpc, art. 2909 cc, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, per essersi la Corte di appello pronunciata sulla questione dell’ammontare della retribuzione globale di fatto mensile pur non essendo stata mai chiesta, ritualmente, la modifica sul punto della statuizione di primo grado.
2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione di legge: art. 18 comma 4° legge n. 300/1970, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, nonché in parte qua, l’art. 345 cpc, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per non avere rilevato che la quantificazione della retribuzione globale di fatto mensile, operata dal primo giudice in euro 4.258,28 a seguito di correzione di errore materiale, ed erroneamente riformata dalla Corte di appello, si evinceva incontestabilmente dalla consulenza contabile al dicembre 2006, inoltre, si deduce che non era esatta l’affermazione che le parti avessero stabilito consensualmente in euro 4.000,00 la retribuzione netta spettante alla dipendente perché comunque era stato previsto, nella clausola sottoscritta nel contratto del 30.3.2001, l’adeguamento come previsto dal CCNL Dirigenti e che, comunque, l’importo della stessa non era stato mai contestato e, pertanto, l’eccezione proposta solo con l’atto di gravame avrebbe dovuto considerarsi nuova e, quindi, inammissibile.
3. Con il terzo motivo la C. si duole dell’anomalia motivazionale (inesistenza/apparenza/illogicità manifesta/contrasto) nonché della violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 cpc, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, per avere la Corte di appello omesso l’esplicitazione di ogni ragione idonea a giustificare e a rendere comprensibile la quantificazione sulla determinazione della retribuzione globale di fatto, per giunta in assenza di rilievi di controparte.
4. Con il quinto motivo si sostiene l’omesso esame circa uno o più fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, per avere la Corte territoriale omesso di valutare quanto dedotto e prodotto dalle parti, ed emerso dalle risultanze istruttorie, circa la determinazione della retribuzione globale di fatto mensile in euro 4.258,22.
5. Con il ricorso incidentale la P. srl denuncia la falsa applicazione degli artt. 287 e ss cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, perché, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure, la integrazione della sentenza di primo grado con le parole “nei confronti della P. srl e per lei in Concordato” non potevano costituire oggetto del procedimento di correzione di errore materiale e l’omessa indicazione delle parti costituiva motivo di assoluta incertezza comportante la nullità della pronuncia.
6. Con il secondo motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per erronea valutazione delle risultanze istruttorie in ordine alla effettività della qualifica di dirigente di M.C. e della sua autonomia decisionale.
7. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc e 116 cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per erronea valutazione delle risultanze istruttorie sulla sussistenza della giustificatezza e sulla giusta causa di licenziamento.
8. Con il quarto motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 legge n. 604/1966, 15 dello Statuto dei Lavoratori e 3 legge n. 108/1990, nonché dell’art. 116, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per erronea valutazione delle risultanze istruttorie sulla insussistenza del carattere ritorsivo del licenziamento.
9. Con il quinto motivo si contesta la falsa applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori per l’inapplicabilità della tutela reale non spettante alla C. che rivestiva la posizione di dirigente.
10. Con il sesto motivo la ricorrente deduce la illegittimità della gravata sentenza nella parte in cui è stato dichiarato infondato il motivo di appello relativo alla insussistenza del diritto della C. al riconoscimento delle differenze retributive.
11. Con il settimo motivo si censura l’erronea valutazione delle risultanze probatorie in ordine alla fondatezza della domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni non riconosciuta nei gradi di merito.
12. Preliminarmente va riconosciuta la legittimità ad impugnare la sentenza di appello, da parte della società, avendo il liquidatore del Concordato legittimazione processuale nelle sole controversie relative a questioni liquidatone e distributive, e non anche in quelle di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorché influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione (Cass. 4.9.2015 n. 17606; Cass. 28.7.2017 n. 18823).
13. Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica, deve essere esaminato dapprima il ricorso incidentale.
14. Il primo motivo è inammissibile.
15. La gravata sentenza, nel valutare la censura di nullità della sentenza di primo grado per non avere il Tribunale indicato nel dispositivo le parti nei cui confronti doveva intendersi emessa la pronuncia di condanna alla reintegrazione e al pagamento delle retribuzioni, ha ritenuto, invece, che la specificazione intervenuta in ordine al soggetto tenuto al pagamento delle differenze retributive, delle retribuzioni e delle spese, fosse idonea ad individuare la parte datoriale destinataria anche della condanna ex art. 18 St. lav., vertendosi in ipotesi di omissione emendabile atteso che, da una lettura complessiva del dispositivo, era agevole identificare le parti pretermesse.
16. A fronte di tale interpretazione, la società ribadisce che si trattava di un vizio concettuale e sostanziale della decisione senza, però, evidenziare perché tale assunto non sia condivisibile e soprattutto, se non ribadendo le doglianze già disattese dai giudici di seconde cure, quali fossero gli obiettivi dubbi sull’effettivo contenuto della decisione che vedeva, come parti, da un lato la società, e per essa il Concordato liquidatorio, e, dall’altra, la lavoratrice.
17. Ne consegue che la doglianza non è conferente alla ratio decidendi della impugnata pronuncia.
18. Il secondo, terzo e quarto motivo sono inammissibili perché essi, ancorché sotto il profilo della violazione di legge, si sostanziano nella critica della ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, configurando come tale una censura riconducibile al paradigma del vizio di motivazione.
19. A tal proposito va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata o sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr. Cass. n. 12121/2004; Cass. n. 255428/2009).
20. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole, espressione di una potestà propria del giudice di merito che non può essere sindacata nel suo esame (Cass. n. 14212/2010; Cass. n. 14911/2010).
21. In definitiva, quindi, le doglianze della ricorrente si sostanziano nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito delle emergenze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità.
22. La trattazione del quinto motivo è assorbita dalla inammissibilità dei motivi precedenti che non hanno inciso in ordine alla qualifica di pseudo-dirigente attribuito alla C. dalla Corte di merito.
23. Il sesto e settimo motivo sono inammissibili perché non rispondenti ai principi statuiti da questa Corte (tra le altre Cass. SS. UU. 24.7.2013 n. 17931) secondo cui il ricorso per cassazione, avente ad oggetto censure espressamente o tassativamente previste dall’art. 360 primo comma epe, deve essere articolato su specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazioni stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
24. Nella fattispecie concreta, invece, non solo non sono indicate le norme asseritamente violate, ma mancano anche le specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza (cfr. anche Cass 15.1.2015 n. 635).
Quanto, invece, alla denunziata erronea valutazione delle risultanze probatorie, va ribadito quanto sopra esposto in ordine ai motivi sub 2, 3 e 4.
25. In conclusione, pertanto, il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
26. Venendo al ricorso principale, il primo motivo è infondato.
27. Essendo state, infatti, contestate dalla società, con l’atto di appello, sia l’illegittimità del licenziamento che l’applicabilità della tutela reale, non è configurabile il giudicato in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitone (nel caso in esame la determinazione della retribuzione globale di fatto) legato alle precedenti tematiche da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto degli artt. 329 comma 2 e 336 comma 1 cpc, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisone impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente (in termini Cass. n. 21691/2016; Cass. n. 5226/2017).
28. E’, invece, fondato il secondo motivo del ricorso principale, non essendosi la Corte di merito attenuta al principio, affermato in sede di legittimità (Cass. 16.9.2009 n. 19956; Cass. 17.7.2015 n. 15066), secondo cui, in tema di conseguenze patrimoniali da licenziamento illegittimo ex art. 18 St. lav., la retribuzione globale di fatto deve essere commisurata a quella che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato, ad eccezione dei compensi eventuali e di cui non sia certa la percezione, nonché di quelli legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione ed aventi carattere occasionale o eccezionale.
29. In altri termini, la retribuzione globale di fatto deve essere intesa come il coacervo delle somme che risultano dovute, anche in via continuativa, purché non occasionali, in dipendenza del rapporto di lavoro ed in correlazione ai contenuti e alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, così da costituire il trattamento economico normale, che sarebbe stato effettivamente goduto, se non vi fosse stata l’estromissione dall’azienda (cfr. anche Cass. Sez. Un. 15.10.2002 n. 14616; Cass. 10.1.2004 n. 215).
30. Alla stregua di tali principi deve quindi essere determinata la retribuzione globale di fatto nel caso in esame.
31. La trattazione degli altri motivi resta, conseguentemente, assorbita.
32. Alla stregua di quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che, nell’esaminare le questioni sulla determinazione dell’importo della retribuzione globale di fatto, si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati. Il giudice di rinvio provvederà alla liquidazione delle spese dell’intero processo, comprese quelle del giudizio di legittimità.
33. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, in ordine alla declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale, come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il primo e assorbiti gli altri, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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