CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 giugno 2019, n. 15994
Tributi – IVA – Accertamento – Beni importati – Regolamenti (CE) nn. 804/68 e 1767/82 – PVC – Contenzioso tributario
Fatti di causa
L’Agenzia delle Dogane notificò avviso di accertamento in rettifica in danno della società importatrice di formaggi E. SRL a titolo di maggiori diritti per prelievi agricoli, IVA e sanzioni, per avere la medesima usufruito indebitamente del regime preferenziale di prelievi in misura ridotta a termini dei Regolamenti (CE) n. 804/68 del 27 giugno 1968 e n. 1767/82 del 10 luglio 1982 nel settore del latte e dei prodotti lattiera-caseari. L’accertamento, che originava da indagini penali, era motivato dall’avere il ricorrente beneficiato di rimborsi da parte delle società esportatrici sotto forma di premi post vendita, tali da avere ridotto il valore delle merci importate a un livello inferiore a quello minimo fissato per usufruire del prelievo preferenziale. A seguito di ricorso della società contribuente, la CTP di Como accolse la preliminare eccezione di prescrizione triennale di cui all’art. 11 d. Igs. 8 novembre 1990, n. 374, sentenza confermata dalla CTR della Lombardia. Con ordinanza del 18 novembre 2009 n. 24338 la Cassazione ha cassato con rinvio la decisione, statuendo che “ai fini prescrizionali” ciò che rileva è “l’ipotesi delittuosa che sta alla base della notitia criminis”, rispetto alla quale “è sufficiente che l’evento procedimentale nel quale si traduce la notizia di reato intervenga nell’arco temporale stabilito dalla legge per il recupero a posteriori al fine di postergarlo senza conseguenze caducatorie dalla sua inosservanza”.
La CTR Lombardia, adita in sede di giudizio di rinvio su istanza della società contribuente, con sentenza in data 26.07.2011, ha integralmente rigettato il ricorso della società contribuente. Ha rilevato il giudice impugnato che l’elemento procedimentale che rileva nel caso di specie è il processo verbale di constatazione del 12.09.1997, redatto tempestivamente rispetto all’insorgenza delle obbligazioni tributarie (merci importate tra il 16 e il 18.01.1996). Nel merito il giudice del rinvio ha ritenuto legittimo l’utilizzo della documentazione acquisita nel corso del procedimento penale, ancorché senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria, rilevando l’adeguata motivazione dell’avviso, con particolare riferimento al menzionato PVC del 12.09.1997, posto in essere nel contraddittorio della società contribuente. Nel merito ha ritenuto provata la sussistenza di rimborsi operati dalle società esportatrici alla ricorrente, risultanti dall’analisi delle fatture e della documentazione contabile, dalle bolle doganali, dai certificati di importazione e dalla documentazione bancaria. Ha, inoltre, ritenuto irrilevante il fatto che lo sconto alla base della rettifica, si fosse determinato a posteriori senza accordo preventivo tra le parti, in quanto ha ritenuto rilevante il valore di transazione a termini dell’art. 29 Regolamento (CE) n. 2913/92 del 12 ottobre 1992, al netto degli sconti, ancorché gli stessi fossero stati praticati sulla sola base di un accordo informale con l’esportatore. Ha ritenuto, inoltre, la CTR irrilevante la insussistenza della incolpazione nel procedimento penale per falso e contrabbando, nonché l’eventuale errore di calcolo del prezzo in dogana dei prodotti. Sono, infine, stati rigettati i motivi relativi all’applicazione degli interessi e alla nullità dell’avviso di accertamento per contrasto con gli artt. 220 e 239 del Regolamento (CE) n. 2913/92.
Propone ricorso la società contribuente in liquidazione con sette motivi di ricorso, cui resiste con controricorso l’Ufficio.
Ragioni della decisione
1- Con il primo motivo la società contribuente deduce, benché non vi sia indicazione espressa del vizio dedotto, illegittima utilizzazione ai fini fiscali della documentazione acquisita nell’ambito dei poteri di polizia giudiziaria senza preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria, in violazione degli artt. 33, comma 3, d.P.R. 30 settembre 1973, n. 600 e 63, comma 1, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, anche in considerazione del fatto che il procedimento penale è sorto a seguito di una rogatoria internazionale.
Con il secondo motivo (numerato anch’esso come motivo n. 1) la società lamenta, senza evidenziare uno specifico motivo di censura della sentenza impugnata, che la sentenza impugnata non avrebbe rilevato il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento.
Con il terzo motivo (numerato come motivo n. 2) il ricorrente lamenta, benché anche in questo caso non vi sia specificazione del vizio denunciato a questa Corte, che la sentenza avrebbe erroneamente ritenuto sussistente un accordo tra ricorrente e la società esportatrice Kaseunion SA, in conformità di quanto asserito nell’avviso di accertamento e nel precedente PVC, con effetto retroattivo sulle importazioni precedenti. Contesta il ragionamento probatorio della CTR in relazione all’art. 2697 cod. civ., nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto sussistente detto accordo sulla base di presunzioni e contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di porre a fondamento della decisione il prezzo rimasto definitivamente a carico dell’acquirente al netto degli sconti praticati sulla base di un accordo informale con il venditore.
Con il quarto motivo (numerato come motivo n. 3) il ricorrente lamenta, anche in questo caso senza dedurre specifici motivi di censura, che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto erroneamente irrilevante l’assenza di incolpazione in sede penale per falso e contrabbando, deducendo che il venir meno del reato comporta l’insussistenza dei diritti di confine.
Con il quinto motivo (numerato come motivo n. 4) il ricorrente denuncia l’illegittima applicazione della misura degli interessi.
Con il sesto motivo (numerato come motivo n. 5) il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’art. 220 del Regolamento (CE) n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 relativo alla contabilizzazione a posteriori dei prelievi agricoli.
Con il settimo motivo (numerato come motivo n. 6) il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’art. 239 del Regolamento (CE) n. 2913/1992 per non avere il giudice impugnato tenuto conto della buona fede del ricorrente nel comunicare dati esatti o incompleti. Si richiama alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di situazione particolare, al fine di evidenziare la propria buona fede desumibile dalla assenza di frode o di negligenza manifesta, essa stessa desumibile dall’atteggiamento collaborativo mostrato con l’autorità doganale, il che legittimerebbe lo sgravio o il rimborso dei maggiori dazi eventualmente dovuti.
Al riguardo va rilevato preliminarmente come sia legittima la riproposizione nel merito delle deduzioni già proposte nelle precedenti fasi del giudizio, essendosi originariamente il giudizio di merito arrestato sulla preliminare questione di prescrizione che è stata rigettata dalla citata pronuncia del giudice di legittimità.
2 – Il primo motivo, da qualificarsi come vizio di violazione di legge, è infondato.
E’ principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in tema di accertamento delle imposte (in relazione alla richiamata ipotesi di cui all’art. 63 d.P.R. n. 633/1972), l’utilizzazione della documentazione acquisita nel corso delle attività di polizia tributaria non è subordinata all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, in quanto tale atto è posto esclusivamente a tutela del segreto istruttorio (Cass., Sez. V, 16 giugno 2006, n. 14058); non essendovi, peraltro, alcuna esigenza di tutela dei terzi, la mancanza dell’autorizzazione non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Cass., Sez. V, 13 ottobre 2006, n. 22035; Cass., Sez. V, 5 febbraio 2007, n. 2450; per le imposte dirette Cass., Sez. V, 26 marzo 2009, n. 7279).
Il secondo motivo, qualificato anch’esso quale violazione di legge, è infondato. Il giudice del rinvio ha dato atto che la motivazione dell’avviso appariva adeguata “anche in assenza di una autonoma valutazione da parte dell’accertante degli elementi indicati negli atti prodromici”, ai quali l’atto ha fatto rinvio per retationem, dati anch’esso noti al contribuente. E’ principio pacifico quello secondo cui l’avviso di accertamento, nell’ipotesi di motivazione per relationem, è legittimo ove il processo verbale di constatazione richiamato nello stesso faccia a propria volta riferimento a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente (Cass., Sez. V, 12 dicembre 2018, n. 32127), come nella specie.
3 – Il terzo e il settimo motivo, qualificabili anch’essi come violazione di legge, vanno trattati congiuntamente.
3.1 – Il terzo motivo si incentra sulla asserita erronea decisione del giudice impugnato per avere equiparato, a termini dell’art. 29 del Regolamento (CE) n. 2913/2012 (pur non essendo stata richiamata tale disposizione), il valore in dogana al valore di transazione e per avere a sua volta determinato il valore di transazione sulla base dei controlli eseguiti dall’ufficio, che avevano evidenziato rimborsi dall’esportatore alla ricorrente sotto forma di premi post vendita ritenuti ascrivibili alle precedenti importazioni con prelievo agricolo agevolato. Il ricorrente contesta la sussistenza di un qualsiasi accordo con l’importatore e, conseguentemente, ritiene non corretta la riqualificazione del valore di transazione. Con il settimo motivo il ricorrente invoca la propria buona fede (prospettata anche nel terzo motivo), per effetto dell’assenza di accordo fraudolento con l’esportatore svizzero.
Va evidenziato al riguardo che la disciplina del Regolamento (CE) n. 1767/1982, successivamente modificato – in particolare dal Regolamento (CE) n. 1600/95 del 30 giugno 1995, relativo alle modalità d’applicazione del regime d’importazione e all’apertura di contingenti tariffari nel settore del latte e dei prodotti lattiera- caseari, applicabile ratione temporis dopo il 1°.07.1995 – subordina la concessione del regime preferenziale in favore dell’importatore alla presentazione, al momento dello sdoganamento dei beni, del certificato IMA 1.
Detto certificato, come indicato in allegato al Regolamento (CE) n. 1767/82 – nonché in allegato al Regolamento (CE) n. 1600/95 e ai regolamenti successivi ^prevede al punto n. 17 “si certifica con la presente (…) che per i prodotti più sopra designati non sono né saranno concessi all’ acquirente sconti o premi o qualsiasi altra forma di riduzione che possa avere per conseguenza un valore inferiore al valore minimo fissato all’importazione per il prodotto in questione”. La Corte di Giustizia (Corte Giustizia, 11 giugno 1998, Stato del Belgio) ha affermato, in proposito, che la compilazione del suddetto certificato in conformità alle istruzioni enunciate negli allegati al citato Regolamento costituisce condizione per il riconoscimento del prelievo preferenziale. Ne consegue che, dovendo il certificato IMA 1, tra l’altro, attestare la non inferiorità del prezzo delle merci franco frontiera al valore “soglia” fissata dai regolamenti e contenere la dichiarazione dell’importatore in ordine alla mancata concessione, anche solo futura, di sconti, premi o altre forme di riduzione che possano determinare un valore inferiore a quello minimo fissato all’importazione per i prodotti interessati, l’accertato godimento di sconti, premi o riduzioni post vendita del prezzo determina ex post la non corrispondenza del medesimo certificato alle istruzioni enunciate nel Regolamento CEE n. 1767/1982 e, quindi, la perdita del trattamento preferenziale (in termini Cass., Sez. V, 4 aprile 2012, n. 5385).
3.2 – Alla luce di tale considerazione il terzo motivo si rivela infondato.
E’ irrilevante che il ricorrente abbia beneficiato di sconti non sulla base di un accordo preventivo con l’esportatore ma ex post sotto forma di premi post vendita, perché ciò che rileva è che questi sconti, ancorché successivi alle singole importazioni e riferibili alle precedenti importazioni con certificato IMA 1 siano stati applicati dall’esportatore. Il che comporta non solo la non conformità dell’importazione (sia pure in virtù di controllo a posteriori) all’originario certificato IMA 1, ma anche la violazione della “dichiarazione-impegno” dell’importatore “alle istruzioni enunciate nel regolamento 1767/82 e nei suoi allegati, tale da determinare la perdita del trattamento preferenziale” (Cass., n. 5385/2012, cit.; conf. Cass., Sez. V, 13 settembre 2013, n. 20935).
La corresponsione di questi sconti o abbuoni post vendita è stata accertata e ritenuta persino pacifica dal giudice di appello (pag. 5 sentenza, punto 5.2), per cui su tale accertamento in fatto si è formato il giudicato.
Deve, pertanto, ritenersi che la contribuente sia incorsa, nella specie, nella definitiva perdita del trattamento doganale preferenziale per avere disatteso l’impegno assunto con la compilazione del certificato IMA 1, praticando a consuntivo un valore di transazione inferiore al prezzo soglia necessario per poter beneficiare del prelievo agricolo preferenziale.
Da questo assunto consegue che deve ritenersi irrilevante che parte ricorrente sia stata o meno in buona fede all’atto delle importazioni in oggetto, essendo stata accertata a posteriori la corresponsione di un prezzo di transazione inferiore al prezzo soglia, il che comporta di per sé la perdita del regime preferenziale di corresponsione dei prelievi agricoli in misura ridotta anziché piena, indipendentemente dall’atteggiamento psicologico dell’importatore.
4 – Il quarto motivo è inammissibile. E’ noto che nel contenzioso tributario non vi è alcuna efficacia diretta degli esiti delle indagini penali, ben potendo, peraltro, le prove e gli esiti del giudizio penale essere valorizzati nel procedimento tributario (Cass., Sez. V, TI febbraio 2013, n. 4924). Tuttavia il ricorrente non ha evidenziato quali atti e documenti formatisi nel procedimento penale sarebbero stati decisivi nel processo tributario.
Parimenti inammissibili sono il quinto e il sesto motivo, in quanto non evidenziano specifiche censure avverso la sentenza impugnata.
Il ricorso va, pertanto, rigettato nel suo complesso. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna E. Srl in liquidazione al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle dogane, che liquida in € 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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