CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 giugno 2022,n. 19180

Lavoro irregolare – Sanzione pecuniaria – Avviso di irrogazione – Opposizione – Termine di decadenza ex art. 20, d. lgs. n. 472 del 1997

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 26 settembre 2018, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stata respinta l’opposizione proposta da R. P. avverso “l’avviso di irrogazione di sanzione emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Catania, con cui gli veniva comminata la sanzione pecuniaria di euro 34.157,76, per aver impiegato due lavoratori dipendenti, che in seguito ad accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza non risultavano dalle scritture obbligatorie”;

2. la Corte – in estrema sintesi e per quanto qui ancora rileva – ha respinto il mezzo di gravame con cui il P. lamentava che il primo giudice non avesse applicato l’art. 28 della l. n. 689 del 1981 ma l’art. 20 del d. lgs. n. 472 del 1997, che individua un termine di decadenza per l’amministrazione entro il quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione;

3. nel merito la Corte territoriale ha ritenuto che, “tenuto conto che l’appellante nel giudizio di prime cure non ha provato, come suo onere, un diversa decorrenza, più favorevole ad egli, dei rapporti di lavoro irregolari, la sanzione, per altro irrogata nel minimo, è corretta”;

4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 2 motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso;

nell’adunanza camerale del 28 gennaio 2021 il Collegio ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per la trattazione della causa in quella sede, rinviandola a nuovo ruolo per la fissazione in pubblica udienza. 5. In prossimità dell’udienza pubblica del 6 aprile 2022 il P.G. ha comunicato, ai sensi dell’art. 23, comma 8 bis, d.l. n. 137 del 2020, inserito nella l. di conv. n. 176 del 2020, le sue conclusioni di rigetto del ricorso.

Il P. ha comunicato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di norma di diritto in relazione agli articoli 28 della l. n. 689 del 1981 e 20 del d. lgs. n. 472 del 1997; si deduce che, rispetto alla violazione accertata in sede ispettiva dalla Guardia di Finanza in data 22 luglio 2005 e contestata con il verbale di accertamento n. 502 del 4 aprile 2006, dovesse trovare applicazione la prescrizione quinquennale prevista in generale dalla disciplina sulle ordinanze ingiunzioni e non quella applicata dai giudici di merito tratta dall’art. 20 del d. lgs. n. 472 del 1997, in materia tributaria.

2. Il motivo non può trovare accoglimento. Il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, volto a dettare «disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie», in attuazione dell’articolo 3, comma 133, della l. 23 dicembre 1996, n. 662, ha stabilito, con gli artt. 16 e ss., un procedimento unitario d’irrogazione delle sanzioni, con riferimento a tutti i tributi, abrogando le norme procedimentali contenute nelle singole leggi d’imposta (cfr. Cass. n. 20938 del 2013). Nell’ambito della detta disciplina in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, destinata a valere, in generale, con riferimento a tutti i tributi, si colloca l’art. 20 del detto d.lgs. n. 472/97, applicato dalla Corte territoriale e rubricato “Decadenza e prescrizione” che all’epoca così era formulato: “L’atto di contestazione di cui all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi. Entro gli stessi termini devono essere resi esecutivi i ruoli nei quali sono iscritte le sanzioni irrogate ai sensi dell’articolo 17, comma 3” (comma 1); “Se la notificazione è stata eseguita nei termini previsti dal comma 1 ad almeno uno degli autori dell’infrazione o dei soggetti obbligati in solido il termine è prorogato di un anno” (comma 2); “Il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento” (comma 3). Pertanto la norma distingue nettamente il termine di decadenza, entro il quale deve essere contestata la violazione ed irrogata la sanzione, individuandolo in cinque anni o nel diverso termine previsto per l’accertamento del singolo tributo (comma 1), dal termine di prescrizione del diritto alla riscossione consolidato in un provvedimento non impugnato, il cui decorso è interrotto dall’impugnazione del provvedimento di irrogazione di sanzione e fino alla definizione del relativo procedimento (comma 3); con la disciplina di cui innanzi il legislatore delegato ha quindi sostanzialmente mutuato l’impostazione del sistema penale, nel quale è ben chiara la distinzione tra termini di prescrizione del reato di cui all’art. 157 c.p., corrispondenti al termine di decadenza per la contestazione/irrogazione di cui all’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, e termini di prescrizione delle pene previsti dall’art. 172 c.p., corrispondenti al termine per la riscossione di cui al citato art. 20, comma 3 (cfr. Cass. n. 2613 del 2020; in precedenza Cass. n. 15665 del 2014, in motivazione). Orbene, nello svolgimento del processo riportato nella sentenza impugnata si riferisce che il P., nell’atto di opposizione avverso “l’avviso di irrogazione di sanzione emesso dall’Agenzia delle Entrate”, aveva eccepito “la decadenza dell’Agenzia delle Entrate di irrogare la sanzione amministrativa”, né chi ricorre per cassazione indica e riproduce – in violazione dell’art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c. – il contenuto degli atti processuali dai quali evincere se e come l’opponente avesse sollevato, invece, la diversa eccezione in senso stretto di prescrizione e come la medesima fosse stata eventualmente coltivata in appello. Non può contestarsi che la decadenza applicata è quella prevista dal comma 1 dell’art. 20 del d. lgs. n. 472 del 1997, così come richiamato dalla l. n. 247 del 2007 che ha introdotto il comma 7 bis nell’art. 36 bis del d. l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla l. n. 248 del 2006, in base al quale “L’adozione dei provvedimenti sanzionatori amministrativi di cui all’articolo 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, relativi alle violazioni constatate prima della data di entrata in vigore del presente decreto, resta di competenza dell’Agenzia delle entrate ed è soggetta alle disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, ad eccezione del comma 2 dell’articolo 16”. Non risulta pertinente nella specie, pertanto, verificare la compatibilità di quello che è pacificamente un termine di natura prescrizionale quale quello previsto dall’art. 28 della l. n. 689 del 1981 (v. Cass. n. 21706 del 2018; Cass. SS.UU. n. 22082 del 2017) nell’ambito di una disciplina sulle ordinanze ingiunzioni che non prevede termini decadenziali (v., fra le altre, Cass. n.17526 del 2009 e i precedenti ivi richiamati), con il diverso termine di decadenza invece previsto dal comma 1 dell’art. 20 del d. lgs. n. 472 del 1997.

3. Il secondo motivo, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., denuncia: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio inerente la prova dell’effettiva decorrenza dei rapporti lavorativi rilevati irregolari dagli agenti ispettori della Guardia di Finanza, con riguardo al verbale ispettivo Inps n. 502 del 04/04/2006 citato e prodotto in atti”; si critica la sentenza impugnata per non aver considerato che da detto verbale emergeva la prova che l’inizio del rapporto lavorativo aveva avuto una decorrenza diversa da quella contestata nell’accertamento.

4. La censura è inammissibile. Si invoca a sostegno della stessa l’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., trascurando del tutto di considerare l’applicazione al presente giudizio della formulazione novellata nel 2012, così come rigorosamente interpretata dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), dei cui enunciati parte ricorrente non tiene alcun conto. In particolare si manca di enucleare il “fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere realmente decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, considerato altresì che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”; pertanto, la censura a mente del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non può mai investire direttamente la valutazione di un documento probatorio.

5. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.