CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 marzo 2018, n. 6324
Cartella esattoriale – Contratto di riallineamento ex art. 5, D.L. n. 510/1996 – Esclusione per liberi professionisti non imprenditori – Non sussiste – Esercizio di attività di coordinamento e controllo di fattori della produzione ulteriore rispetto alla tipica attività professionale – Natura imprenditoriale
Fatti di causa
La Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 403/2011, respingendo l’appello proposto dal dottor E.B. nei confronti dell’Inps anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a. e del concessionario per la riscossione S.S. s.p.a, ha confermato la decisione del Tribunale di Trapani relativa alla sussistenza del credito contributivo preteso dall’Inps con cartella esattoriale per un importo di Euro 32.358,55 derivante dalla inadempienza del contratto di riallineamento e di pregressi obblighi contributivi nel periodo 1996-1999 relativi al dipendente C.P., per il quale E.B. aveva avanzato domanda di regolarizzazione il 20 aprile 1999.
La Corte territoriale ha ritenuto che la normativa sul riallineamento introdotta dall’art. 5 del d.l. n. 510 dell’1.10.1996 conv. in I. n. 608 del 28/11/1996 non riguardasse i liberi professionisti non imprenditori (come il B. che aveva esercitato la professione di commercialista), inoltre, che la sanatoria derivante dall’adesione agli accordi di riallineamento fosse vincolata all’esatto adempimento degli obblighi futuri rispetto al momento in cui era avvenuta l’adesione, per cui poiché il B. era venuto meno alla puntualità dei pagamenti rateali pianificati, senza che tale condotta fosse giustificata da omesse cooperazioni da parte dell’INPS non previste dalla norma, non poteva che verificarsi la decadenza dal beneficio e la impossibilità di fruizione degli ulteriori sgravi concessi ai sensi dell’art. 116 comma 4 lett. b) I. n. 388/2000.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione E.B. con tre motivi Resiste l’INPS con controricorso.
Ragioni della decisione
1) Con il primo, complesso, motivo di ricorso si denuncia: a) violazione di legge relativa all’art. 2238 cod. civ., all’art. 5 del d.l. n. 510 del 1996 e succ. modif., nonché relativa all’art. 345 cod. proc. civ.; b) vizio di motivazione relativo alla individuazione della nozione d’impresa in capo al professionista che si avvalga di dipendenti.
2) Con il secondo motivo si afferma: a) violazione del citato art. 5 d.l. n. 510 del 1996 e succ. modif.; b) insufficiente motivazione con riferimento agli effetti decadenziali totali connessi al mancato rispetto della puntualità dei pagamenti rateali in favore dell’Inps ma non nei riguardi del lavoratore ed al mancato riconoscimento dell’onere di cooperazione da parte dell’Inps all’interno della procedura.
3. Il terzo motivo ha per oggetto: a) la violazione dell’art. 116 comma 4 e comma 8 della legge n. 388 del 2000; b) il vizio di motivazione, in considerazione della circostanza che la citata disposizione prevede, in caso di ritardato o mancato pagamento dei contributi, l’obbligo di pagare una sanzione civile e non la decadenza del beneficio.
4. Le questioni oggetto dei motivi di ricorso risultano tutte dipendenti dalla soluzione, cui va data risposta negativa, della questione preliminare oggetto del primo motivo di ricorso, relativa all’ applicabilità della procedura di riallineamento anche alla figura del libero professionista non imprenditore.
5. Il complesso normativo riferibile alla materia del riallineamento retributivo va ricondotto storicamente ad una serie di norme (art. 6 undicesimo comma del decreto legge 9 ottobre 1989 n. 338 (convertito nella legge 7 dicembre 1989 n. 389) d.m. 21 ottobre 1989, d.m. 11 giugno 1990; art. 1 settimo comma del decreto legge 20 gennaio 1989 n. 3 in legge 21 marzo 1990 n. 52, art. 1 decimo comma del decreto legge 19 gennaio 1991 n. 18 in legge 20 marzo 1991 n. 89, art. 2 quinto comma del decreto legge 22 marzo 1993 n. 71 in legge 20 maggio 1993 n. 151, art. 19 terzo comma del decreto legge 16 maggio 1994 n. 299 in legge 19 luglio 1994 n. 45).
6. La normativa è stata poi specificata con l’art. 5 del decreto legge 1 ottobre 1996 n. 510 (convertito nella legge 28 novembre 1996 n. 608) e tale disposizione è stata modificata dall’art. 75 della legge 23 dicembre 1998 n. 448, e successivamente dall’art. 45 della legge 17 maggio 1999 n. 144, con l’adozione di una misura di ampliamento del beneficio ad altri territori, diversi da quelli originari, e del profilo temporale, mediante la sanatoria di periodi pregressi. Si è inteso, così, consentire anche alle imprese che non avevano erogato ai propri dipendenti trattamenti non inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva nazionale, ai sensi della legge n. 389 del 1989, e che quindi erano inadempienti agli obblighi contributivi e non avrebbero potuto fruire degli sgravi fiscali e della fiscalizzazione degli oneri sociali, di poter ugualmente accedere ai detti benefici attraverso l’adesione ad uno strumento contrattuale sindacale, territoriale o aziendale, di graduale riallineamento agli importi retributivi di legge. Ciò sulla base del presupposto che si trattasse di imprese che avevano erogato retribuzioni inferiori al minimo contrattuale collettivo a causa delle svantaggiate condizioni economiche ed al fine di mantenere integro il livello occupazionale, posto che il repentino ripristino delle situazioni di indebita fruizione dei benefici e l’integrale pagamento della contribuzione dovuta avrebbero generato effetti devastanti sull’occupazione.
6. La ratio dell’intero complesso normativo è, dunque, palesemente legata alla necessità di salvaguardare i livelli occupazionali delle zone economicamente svantaggiate ed in questa ottica va condotta l’interpretazione del testo di legge al fine di selezionare dal punto di vista soggettivo la platea dei suoi destinatari, giacché solo il soggetto economicamente rilevante può influire sul livello occupazionale.
7. L’art. 5 del d.l. n. 508 del 1996, conv. in I. n. 610 del 1996, è chiaramente diretto ai soli soggetti che svolgono attività imprenditoriali come si evince dal testo: «Al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e di consentire la regolarizzazione retributiva e contributiva per le imprese operanti nei territori di cui alle zone di cui all’articolo 92, paragrafo 3, lettera a), del Trattato istitutivo della Comunità europea, ad eccezione di quelle appartenenti ai settori disciplinati dal Trattato CECA, delle costruzioni navali, delle fibre sintetiche, automobilistico e dell’edilizia».
7. Se la fruizione dell’agevolazione connessa all’adesione ai contratti di riallineamento postula che ne benefici una impresa, deve ora risolversi la questione del rapporto esistente tra l’attività libero professionale (svolta in modo incontestato dal ricorrente) e l’esercizio dell’attività d’impresa.
Questa Corte di legittimità, a tale proposito, ha convincentemente avuto modo di affermare che anche il professionista intellettuale assume la qualità di imprenditore commerciale quando esercita la professione nell’ambito di un’attività organizzata in forma d’impresa, in quanto svolga una distinta e assorbente attività che si contraddistingue da quella professionale per il diverso ruolo che riveste il sostrato organizzativo – il quale cessa di essere meramente strumentale – e per il differente apporto del professionista, non più circoscritto alle prestazioni d’opera intellettuale, ma involgente una prevalente azione di organizzazione, ossia di coordinamento e di controllo dei fattori produttivi, che si affianca all’attività tecnica ai fini della produzione del servizio (Cass. n. 2645 del 1982; 13677 del 2004; 28312 del 2011).
8. Applicando tale principio alla fattispecie in esame, va quindi affermato che solo laddove il libero professionista alleghi e dimostri di aver esercitato una attività di coordinamento e controllo di fattori della produzione ulteriore rispetto alla tipica attività professionale, può accertarsi la natura imprenditoriale della relativa attività e da ciò riconoscersi il diritto alla fruizione delle agevolazioni previste dall’art. 6 del d.l. n. 508 del 1996 conv. in legge n. 610 del 1996 e succ. modif. ed integr.
9. Nel caso di specie, difetta del tutto tale allegazione per cui va escluso, come affermato dalla sentenza impugnata, che al ricorrente possa riconoscersi il diritto alla fruizione dei benefici di cui ai contratti di riallineamento.
10. Tale conclusione, come è evidente, determina l’assorbimento di tutte le altre doglianze che poggiano, all’opposto, sul riconoscimento del diritto ad avvalersi dell’agevolazione e mirano ad accertare il sostanziale rispetto della prevista procedura di riallineamento. Va, dunque, respinto il primo motivo di ricorso con assorbimento di tutti gli altri motivi.
10. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo e dichiara assorbiti gli altri; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio che liquida, in favore del contro ricorrente, in Euro 2.500,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
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