CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 marzo 2022, n. 8242
Tributi – IRPEF – Prestazioni erogate in forma di capitale dal fondo pensione aziendale – Regime fiscale
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva parzialmente, solo in ordine alla compensazione delle spese del primo grado di giudizio, l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino (n. 63/18/2011), che aveva accolto il ricorso presentato da L. Z. L., ex dipendente della Banca Commerciale Italiana, contro il rifiuto dell’Agenzia al rimborso della somma di euro 9.835,66, pari alla differenza tra le imposte trattenuto dal fondo pensioni (22.343,53) e quelle dovute dal ricorrente (12.507,87). In particolare, il giudice d’appello evidenziava che nei confronti dei soggetti iscritti alle forme pensionistiche prima del 28 aprile 1993 (“vecchi iscritti a vecchi fondi”) doveva applicarsi il previgente regime fiscale delle prestazioni erogate in forma di capitale cioè “al netto dei contributi versati dal lavoratore in misura non eccedente il 4% della retribuzione annua”. Il fondo pensioni, quindi, avrebbe dovuto scomputare dall’importo lordo liquidato capitalizzato (euro 77.527,87), l’importo di euro 15.376,96, corrispondente al 4% della retribuzione imponibile percepito dal ricorrente. Con riferimento alla carenza probatoria dedotta dall’Ufficio, in ordine al fatto che i contributi erano stati direttamente versati dal lavoratore, il giudice d’appello evidenziava che tale motivo era stato avanzato per la prima volta solo in sede di appello ed era quindi inammissibile. Tra l’altro, il versamento del 4% risultava provato dal fatto che era lo statuto stesso del fondo pensionistico che lo aveva stabilito, prevedendo la trattenuta alla fonte.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
3. Il contribuente si è limitato a depositare procura speciale, attribuendo al difensore “ogni più ampio potere di difendere sottoscritto davanti alla Ecc.ma Corte di cassazione in relazione al predetto ricorso, ivi compresa la possibilità di partecipare all’udienza di discussione che verrà fissata e di prendere copia degli atti avversari e di ogni informazione relativa al procedimento stesso”.
4. Successivamente, il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
5. Questa Corte, con ordinanza in data 30 gennaio 2020 ha previsto la trattazione in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. Anzitutto, si rileva che il motivo di ricorso per cassazione è autosufficiente in quanto, pur nella sua assoluta stringatezza, riproduce il contenuto degli atti processuali che hanno caratterizzato la controversia in esame, indica le disposizioni di legge violate, consentendo a questa Corte la piena comprensione della questione giuridica e fattuale posta alla sua attenzione.
1.1. Con un unico motivo di ricorso Agenzia delle entrate deduce la “violazione degli articoli 48 h-bis, 48-bis, lettera d-bis del d.P.R. n. 917 del 1986 (testo 2003) ovvero 50, h-bis, 52, d-ter e 51 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nuovo testo). Il giudice d’appello avrebbe applicato un “diritto non attuale”, in quanto la corresponsione delle somme è avvenuta nel 2006. Inoltre, per giurisprudenza di legittimità dal 1° gennaio 2001 non si applicava l’attuale art. 51, lett.a, del d.P.R. n. 917 del 1986 e non si potevano dedurre i contributi versati dalle parti, in quanto era pacifico che tale versamento era stato effettuato in base al regolamento aziendale e non per legge dello Stato; art. 51, lett. a) del d.P.R. n. 917 del 1986 escludeva solo i contributi versati “in forza di legge”. Inoltre, non poteva applicarsi la riduzione all’87,50%, in quanto l’art. 48, comma 7-bis del d.P.R. n. 917 del 1986, era venuto meno il 1° gennaio 2001 e la lettera d-ter dell’attuale art. 52 non consentiva tale riduzione.
2. Il motivo è fondato.
2.1. I fatti di causa possono essere qui sinteticamente assunti; il contribuente L. Z. L., ex dipendente della Banca Commerciale Italiana, iscritto allo speciale fondo pensione della stessa, ha versato al Fondo Pensione un contributo in misura percentuale, dal 4,50% al 7,75% delle proprie retribuzioni soggette a contribuzione; pertanto, tali contributi avevano prodotto la prestazione, nell’anno 2006, mediante il pagamento di capitale in sostituzione della rendita originaria. Ciò in quanto vi era stata la decisione dell’istituto di messa in liquidazione coattiva del fondo medesimo, dichiarato poi estinto in data 22 dicembre 2006, con la trasformazione della rendita in capitale. Nel corso dell’anno 2006 il fondo ha erogato a Z. L. la somma di euro 77.525,87, trattenendo, però, a titolo di imposta, la somma di euro 22.343,00, applicando una ritenuta del 28,81%, come risultava dalla certificazione CUD 2007; in data 14 gennaio 2009 il contribuente ha presentato all’Ufficio domanda di rimborso della somma di euro 9835,66, pari alla differenza tra le imposte trattenuta dal fondo pensioni (euro 22.343,53) e quelle dovute dal ricorrente (euro 12.507,87) “in conseguenza del mancato abbattimento degli imponibili” non effettuato dal fondo pensioni. Il contribuente, da un lato, ha ritenuto che il fondo non aveva scorporato le ritenute operate nella misura del 4%; dall’altro che il capitale riscosso poteva essere tassato solo per la percentuale dell’87,5%.
3. Il Fondo Comit, fino al 1954, ha operato in regime sostitutivo del regime generale di previdenza obbligatoria per invalida e vecchiaia per i dipendenti della Banca Commerciale Italiana. Inizialmente, dunque, la partecipazione di essi al Fondo era obbligatoria, costituendo parte integrale del contratto di lavoro con la Banca Commerciale Italiana.
Successivamente dal 1° gennaio 1955, a seguito di decisione governativa di estendere l’iscrizione dei dipendenti della banca all’assicurazione generale obbligatoria presso l’Inps, con attivazione dei corrispondenti obblighi contributivi, il Fondo, da funzione sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria, ha iniziato a svolgere la funzione di previdenza complementare integrativa (Cass., sez. 6, 28 dicembre 2016, n. 27079).
Il Fondo pensione Comit, dunque, in quanto iscritto all’albo dei fondi presso la Covip e assoggettato alla sua vigilanza, costituisce una forma di previdenza complementare, concretizzandosi in una prestazione in forma di rendita realizzata in modo volontario, con lo scopo di integrare la pensione pubblica al fine di garantire all’avente diritto un adeguato tenore di vita dell’età pensionabile (in tal senso Cass., sez. 6, 27079/2016, cit.).
Per l’Agenzia, per evitare una doppia trattenuta sulle retribuzioni, una in favore dell’Inps e l’altra in favore del Fondo, è stato stipulato dalla banca e dalla Commissione interna, organo di rappresentanza dei lavoratori, un accordo aziendale che ha introdotto il meccanismo dell’incrocio contributivo.
Tale meccanismo, secondo la ricorrente, sorto come puro strumento di semplificazione contabile, imputava formalmente alla banca il contributo previdenziale obbligatorio gravante per legge sul lavoratore e destinato all’Inps, mentre imputava formalmente sul lavoratore quello destinato al Fondo Comit.
3.1. La questione attiene, dunque, attiene alla verifica della natura obbligatoria o facoltativa dei contributi erogati al fondo di previdenza complementare.
4.Infatti, ai sensi dell’art. 17 primo comma (indennità di fine rapporto), d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente, “il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. L’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni o frazione di anno preso a base di comunicazione, e moltiplicando il risultato per 12”.
Il comma 2 dell’art. 17 del d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente, prevede che “le altre indennità e somme indicate alla lettera a) del comma 1 dell’art. 16, anche se commisurate alla durata del rapporto di lavoro e anche se corrisposte da soggetti diversi dal datore di lavoro, sono imponibili per il loro ammontare complessivo, al netto dei contributi obbligatori dovuti per legge, con l’aliquota determinata agli effetti del comma 1”.
Pertanto, l’art. 16 (tassazione separata) del d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente, dispone che la tassazione separata si applica ai redditi indicati nella successiva lettera A), quindi al trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente.
L’aliquota era invece determinata ai sensi del comma 1 dell’art. 17 del d.P.R. n. 917 del 1986; ciò ai fini della “imposta sostitutiva”.
L’art. 48 del d.P.R. n. 917 del 1986 (determinazione del reddito di lavoro dipendente), all’epoca vigente, prevede, al comma 2, che “non concorrono a formare il reddito: a) i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge”.
4. Questa Corte (Cass., sez. 6-5, 1 luglio 2020, n. 13353; Cass., sez. 5, 26 maggio 2021, n. 14571), con orientamento consolidato (Cass., sez. 6-5, 10 dicembre 2020, n. 28125; Cass., sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33828), ha ritenuto che la prestazione di capitale in Fondo di previdenza complementare per il personale di un istituto bancario (nella specie, il Fondo di previdenza complementare per il personale della Banca Commerciale Italiana), effettuata in favore di un ex dipendente, in forza di accordo risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo in godimento (“zainetto”), costituisce, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, reddito della stessa categoria della “pensione integrativa” cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la predetta forma di pensione. Ne consegue che la base imponibile su cui calcolare l’imposta è costituita dall’intera somma versata dal Fondo, senza che sia possibile defalcare da essa i contributi versati, in quanto, ai sensi della lettera a) dell’art. 48 del d.P.R. n. 917 del 1986, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, gli unici contributi previdenziali e/o assistenziali che non concorrono a formare il reddito sono quelli versati in ottemperanza a disposizioni di legge (Cass., sez. 5, 8 maggio 2019, n. 1215; Cass., sez. 6-5, 4 gennaio 2018, n. 124; Cass., sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33827).
Si è chiarito che l’imponibile delle prestazioni erogate dai fondi di previdenza complementare per il personale degli istituti bancari include pertanto anche i contributi versati al dipendente, attesa la natura facoltativa (Cass., n. 27078 del 2016; Cass., n. 27079 del 2016). Sono dunque fiscalmente esenti a norma dell’art. 48 del d.P.R. n. 917 1986 soltanto i contributi previdenziali obbligatori, quelli versati “in ottemperanza a disposizioni di legge”.
4.1.La Commissione regionale, come visto, avendo statuito che l’assoggettamento a tassazione doveva essere effettuato sulla somma erogata in forma di capitale, ma “al netto dei contributi versati dal lavoratore in misura non eccedente il 4% della retribuzione annua”, si è discostata da tale pacifico orientamento giurisprudenziale che, come detto, non consente tale decurtazione, trattandosi di contributi versati in modo volontario dal lavoratore, e non per disposizione di legge.
5. Questione ancora diversa è poi quella relativa alla tassazione delle somme nella misura, non integrale, ma in quella ridotta dell’87,5%.
L’art. 47, primo, comma, lettera h-bis (redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente), del d.P.R. 917 del 1986 “sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente:…h-bis) le prestazioni pensionistiche di cui al d.lgs. 21 aprile 1993 n. 124, comunque erogate”.
L’art. 48, comma 7-bis (determinazione del reddito di lavoro dipendente), all’epoca vigente, prevede che “le prestazioni periodiche indicate alla lettera h-bis del comma 1 dell’art. 47 costituiscono reddito per l’87,5% dell’ammontare corrisposto”.
Tale norma è, poi, transitata nell’art. 48-bis del d.P.R. n. 917 del 1986, al primo comma, lettera d) (” per le prestazioni periodiche indicate alla lettera h-bis del comma 1 dell’art. 47 non si applicano le disposizioni del richiamato art. 48 e le stesse costituiscono reddito per l’87,5% dell’ammontare lordo corrisposto”).
5.1. Sul punto, questa Corte (Cass., sez. 5, 26 settembre 2019, n. 24009; Cass., sez. 6-5, 9 gennaio 2018, n. 2201) ha ritenuto che sussiste violazione degli articoli 47 e 48 d.P.R. n. 917 del 1986, laddove il giudice d’appello abbia riconosciuto la spettanza della detrazione del 12,50% prevista per le erogazioni periodiche di previdenza complementare, posto che, a norma dell’art. 47, comma 1, lettera h-bis, e 48-bis, comma 1, lettera d, d.P.R. 917 del 1986, all’epoca vigente, l’imponibile è ridotto al 87,50% soltanto per le pensioni complementari erogate “in forma di trattamento periodico”, ciò in ragione di un’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente che viene meno per le dazioni una tantum, come quella in esame.
5.2. Successivamente la disciplina è stata modificata dall’art. 10 comma 1, lettera f) del d.lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, entrato in vigore il 1° gennaio 2001 e con effetto relativamente ai contributi versati, ai rendimenti maturati, ai contratti stipulati, alle prestazioni maturate e alle rendite erogate a decorrere dal 1° gennaio 2001, con il quale si è previsto che alle prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis, del comma 1, dell’art. 47 Tuir, non si applicano le disposizioni dell’art. 48. Le stesse si assumono al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e di quelli di cui alla lettera g-quinquies del comma 1, dell’art. 41, se determinabili; analoga disposizione è contenuta nel Tuir, all’art. 52, comma 1, lettera d) (così numerato l’art. 48 dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1) che, nella formulazione in vigore dal 1° gennaio 2004 e fino al 31 dicembre 2006, disponeva: “d) per le prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis), del comma 1, dell’art. 47, erogate in forma periodica non si applicano le disposizioni del richiamato art. 48. Le stesse si assumono al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettate ad imposta ed a quelli di cui alla lettera g-quinquies del comma 1, dell’art. 1, se determinabili.
Pertanto, dal 1° gennaio 2004, le prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis del comma 1 dell’art. 47, erogate in forma periodica, sono tassabili non già sull’87,5% dell’ammontare lordo corrisposto, a seguito della sostituzione del nuovo testo, ma sull’intero (Cass., 7 maggio 2010, n. 11156; Cass., 12 gennaio 2015, n. 240).
5.3. A decorrere dal 1° gennaio 2001 è stato abrogato il riferimento all’imponibile sino al 87,5%, con detrazione del 12,5% sulle prestazioni erogate dal Fondo pensioni e, a norma dell’art. 47, comma 1, lett. h-bis del Tuir, vigente ratione temporis, l’imponibile è ridotto all’87,5% soltanto per le pensioni complementari erogate “in forma di trattamento periodico”, ciò in ragione di un’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente che viene meno per le dazioni una tantum, come quella in esame (Cass., 30 gennaio 2018, n. 2201; Cass., sez. 6-5, 21 giugno 2019, n. 16677).
Il d.lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 10, lettera f) (avente effetto, come detto, dal 1° gennaio 2001) è rimasto in vigore sino al 31 dicembre 2003, essendo stato soppresso dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, a decorrere dal 1° gennaio 2004.
6. Avendo il contribuente ricevuto le somme nel 2006 (come emerge dallo svolgimento del processo della sentenza del giudice di appello “i contributi versati producevano nel periodo 1.1.1996 al 31.12.2003 la prestazione di una pensione diretta, negli anni 2004 e 2005 modeste somme una tantum e nel 2006, l’erogazione di un importo mediante pagamento di capitale in sostituzione della rendita originaria”), non aveva diritto alla detrazione del 12,5%, con imponibile, quindi, solo sino all’87,5%. Pertanto, ha errato il giudice d’appello a non tenere conto della circostanza che la somma corrisposta dall’istituto di credito in favore dell’ex dipendente era assoggettabile a tassazione per intero e non nella percentuale ridotta dell’87,5%.
7. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
8. Le spese delle fasi di merito vanno compensate interamente tra le parti, sussistendone giusti motivi. Le spese del giudizio di legittimità, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico del contribuente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente.
Condanna il contribuente a rimborsare in favore dell’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi di merito.
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