CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 novembre 2018, n. 29290
Tributi – Accertamento – Impresa – Deduzione dei costi e detrazione Iva – Fattura – Presunzione di veridicità – Mera regolarità formale – Assenza dei requisiti di contenuto formale – Mancata indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto delle singole operazioni – Inversione dell’onere di prova a carico del contribuente
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 361/05/2014, depositata in data 25 febbraio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di F. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore avverso la sentenza n. 95/04/2010 della Commissione tributaria provinciale di Modena che aveva accolto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento n. R7Q039P00775 con il quale l’Ufficio aveva contestato a quest’ultima, per l’anno 2006, un maggiore reddito di impresa, ai fini Ires, Irap e Iva.
1.1. Il giudice di appello, in punto di fatto, premetteva che: 1) sulla base di p.v.c. della Guardia di Finanza, Nucleo di Polizia tributaria di Modena, con l’avviso di accertamento n. R7Q039P00775, l’Agenzia delle entrate aveva contestato alla società F. s.p.a., per l’anno 2006, ai fini Ires, Irap e Iva, l’indebita deduzione di costi e detrazione di imposta, in relazione ad operazioni di facchinaggio effettuate dalla T.I.C. s.r.l., a provvigioni corrisposte alla I.E. di A.L.O. per attività di procacciamento di affari, ricerca di mercato e promozione vendite, a servizi di consulenza resi dalla F. s.r.l., a spese di rappresentanza e ad acquisti di carburante; 2) avverso il suddetto avviso di accertamento, la F. s.p.a. aveva fatto ricorso alla CTP di Modena che l’aveva accolto; 3) avverso la sentenza della CTP aveva proposto appello l’Agenzia rilevando la mancata prova da parte della società contribuente della certezza, congruità e inerenza dei contestati costi, ed, in particolare, la mancata produzione di documentazione di supporto alle fatture, non essendo queste ultime sufficienti a comprovare i requisiti per la deducibilità delle dette spese; 4) aveva controdedotto la società contribuente rilevando la mancata necessità, in relazione ai singoli costi, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. 1986 n. 917, di documentazione di supporto alle scritture contabili regolarmente tenute.
1.2. La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) nella specie, quanto ai contestati costi, non era necessaria la produzione di alcuna documentazione di supporto, in quanto non esisteva alcun elemento che rendeva incerta la prova fornita dalle scritture contabili regolarmente tenute e conformi ai criteri di inerenza, ai sensi degli artt. 109 del TUIR e 19 del d.P.R. n. 633 del 1972; 2) in particolare, tutti i costi ritenuti dall’Ufficio indeducibili erano di importo coerente con il volume di affari dell’impresa, regolarmente documentati, regolari sul piano civilistico e tributario e chiaramente connessi all’attività da cui l’impresa traeva i propri ricavi; 3) era infondato il motivo di appello relativo all’assunta irregolarità nella documentazione dei costi per i carburanti poiché tutti i dati da indicare nelle schede carburanti erano inclusi, con maggiore certezza, nella fattura emessa dalla società petrolifera.
2. Avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la F. s.p.a.
Ragioni della decisione
1. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c.p.c., per avere la CTR rigettato l’appello dell’Ufficio, con una motivazione apparente, senza esplicitare – tranne che per il recupero afferente i costi per carburante – le ragioni della ritenuta infondatezza della pretesa tributaria in ordine ai singoli rilievi, ognuno dei quali era stato oggetto di uno specifico motivo di gravame.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. La Corte ha già avuto occasione di rimarcare (vedi, in particolare, tra le tante, Cass. n. 11710 del 2011; n. 4964 del 2017) che non adempie il dovere di motivazione il giudice che non formuli alcuna specifica valutazione dei fatti rilevanti di causa, e, dunque, non ricostruisca la fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta.
Soltanto al cospetto della mancanza di valutazione il sillogismo, che distingue il giudizio, finisce per esser monco della premessa minore, e, dunque, necessariamente privo della conclusione razionale. Di contro, la sentenza impugnata espone un percorso logico, giacché fa leva sull’esistenza della regolarità formale delle scritture contabili, affermando che, in mancanza di elementi atti a rendere incerta tale documentazione, tutti i costi erano di importo coerente con il volume di affari dell’impresa, regolarmente documentati, regolari sul piano civilistico e tributario e riferiti all’attività da cui l’impresa traeva i propri ricavi.
Una tale motivazione esclude che la si possa qualificare come apparente, ossia nei fatti mancante.
Ciò in base all’insegnamento delle sezioni unite della corte, secondo cui la mancanza si configura quando la motivazione manchi del tutto, nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione, oppure la motivazione formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, punto 14.5.1 nonché sez.un., 22 settembre 2014, n. 19881).
Peraltro, il denunciato mancato esame da parte della CTR delle contestazioni oggetto degli specifici motivi di appello, poteva tutt’al più integrare il vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c.
2. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, per non avere la CTR argomentato in ordine alle contestazioni mosse dall’Ufficio nell’atto impositivo, anche attraverso il richiamo al p.v.c., e riproposte nell’atto di appello con riguardo ai singoli rilievi fiscali.
Al riguardo, la ricorrente deduce la insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa la eccepita mancata produzione da parte della società contribuente: 1) quanto alla contestata indebita deduzione di costi relativi a lavori di facchinaggio effettuati dalla T.I.C. a.r.l., di documentazione di supporto rispetto alle fatture, atta a comprovare la esistenza e quantificazione delle dette spese; 2) quanto alla contestata indebita deduzione di costi per provvigioni corrisposte alla I.E. di A.L.O., di alcun contratto o documentazione – né tantomeno della loro registrazione – giustificativa delle spese; 3) quanto alla contestata indebita deduzione di costi per servizi di consulenza resi dalla F. s.r.l., di alcun contratto o accordo scritto idoneo a comprovare i requisiti di certezza e determinabilità delle spese; 4) quanto alla contestata indebita deduzione di spese di rappresentanza, di alcuna documentazione atta a comprovare la natura delle dette spese ovvero il collegamento tra i costi sostenuti e il fine di aumentare il prestigio della società.
2.1. Premessa la non applicabilità alla sentenza impugnata della regola della pronuncia c.d. «doppia conforme» di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. (stante la proposizione del gravame il 7 marzo 2011), va ribadito che il vizio specifico denunciarle per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 25 febbraio 2014) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015).
Nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non già di un “fatto storico”, ma bensi di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte.
3. Con il primo motivo, la Agenzia delle entrate, denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR, nel ritenere illegittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti della F. s.p.a., fatto ricadere erroneamente sull’Amministrazione finanziaria l’onere di fornire elementi che rendessero incerta la prova della esistenza, congruità e inerenza dei contestati costi fornita dalla società contribuente mediante l’esibizione delle mere scritture contabili formalmente regolari.
3.1.Il motivo è fondato.
3.2. Nel caso di esistenza di regolare fattura deve ritenersi operante la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, con conseguente onere dell’Agenzia di fornire prova dell’indeducibilità, per non inerenza, del costo (cfr. Cass. n. 7881 del 2016; n. 21446 del 2014, n. 24426 del 2013, n. 5748 del 2010). Ciò sempre che, come reiteratamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21980 del 2015, n. 21446 del 2014, n. 24426 del 2013, n. 9108 del 2012, n. 5748 del 2010), sia in tema di imposizione diretta che in tema di Iva, la fattura sia redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (v.,anche, art. 226 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006).
Già in passato questa Corte ha stabilito che, in tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo; per conseguenza l’amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21446, e da ultimo, Cass. 211 del 2018).
In tema di Iva, la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliàrios e Turísticos SA c. Autoridade Tribudria e Aduaneira), seguita dalla giurisprudenza interna (Cass. 6 ottobre 2017, n. 23384, n. 10211 e n. 13882 del 2018), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’Iva. Senz’altro, ha aggiunto la Corte, l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta.
Nella specie, il giudice a quo non si è conformato ai suddetti principi in quanto, a fronte della contestazione dell’Ufficio circa i requisiti di contenuto delle fatture in questione (quanto alla mancata indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto delle singole operazioni ed, in particolare, della quantificazione dei lavori di facchinaggio-movimentazione della merce, dell’entità, modalità di espletamento e durata delle attività di procacciamento di affari, di promozione vendite etc., dei servizi di consulenza nonché della natura delle spese di rappresentanza), ha, senza invertire l’onere probatorio a carico della società contribuente, ritenuto sussistenti i requisiti per la deducibilità dei costi, in base alla mera regolarità formale della documentazione contabile, desumendo da ciò la prova della effettività, congruità, inerenza dei medesimi. Tanto più erroneamente onerando l’Amministrazione finanziaria di fornire elementi che rendessero “incerta la prova fornita dalle scritture contabili regolarmente redatte”.
4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia: 1) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), 19 e 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, 1 del d.P.R. n. 444 del 1997, per avere la CTR erroneamente ritenuto illegittimo il rilievo relativo alla assunta indebita deduzione del costo per il rifornimento di carburante, ancorché la procedura c.d. di netting fosse irregolare in mancanza di produzione da parte della società contribuente delle necessarie schede carburanti; 2) in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, qual era la certezza e l’inerenza dei costi per l’acquisto di carburante, stante la mancata esibizione da parte della società contribuente delle bolle di consegna ovvero la produzione di bolle di consegna prive dei dati idonei a consentire la imputazione dei costi ai beni strumentali utilizzati per l’attività di impresa.
4.1. Il primo profilo del quarto motivo è infondato.
Va, al riguardo, ribadito che «In tema di imposte dirette ed IVA, la possibilità di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per l’acquisto di carburanti destinati ad alimentare i mezzi impiegati per l’esercizio dell’impresa, è subordinata al fatto che le cosiddette “schede carburanti”, che l’addetto alla distribuzione è tenuto a rilasciare, rispettino i requisiti di forma e di contenuto richiesti dalla legge e, quindi, siano redatte in conformità al modello allegato al d.P.R. n. 444 del 1997, compresa l’indicazione chilometrica, necessaria a fini antielusivi, non surrogabile da altri documenti» (Cass. n. 24409 del 2016; Cass. n. 9855 del 2018).
Questa Corte ha, altresì, precisato che «gli acquisti di carburante a mezzo di apposite carte di credito e di appositi contratti di somministrazione (c.d. netting), non esonerano il contribuente dal comprovare, con idonea documentazione, la inerenza del costo dell’acquisto dei carburanti all’esercizio dell’impresa. Ne consegue che laddove la fatturazione sia priva degli elementi che consentano di comprovare che gli acquisti dei carburanti si riferiscano ai beni strumentali utilizzati dalla stessa, va esclusa la deducibilità dei costi medesimi» (Cass. n. 8699 del 2014).
Nella specie, il giudice a quo si è attenuto al suddetto principio, in quanto, premesso l’indiscusso ricorso da parte della società contribuente alla procedura contabile c.d. di netting – della quale era contestata solo la irregolarità delle modalità di svolgimento – ha attestato – con una valutazione in fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità – che tutti i dati da indicare nelle schede carburanti erano inclusi nella fattura emessa dalla società petrolifera e, dunque, che la contabilità aziendale verificata corrispondeva ai requisiti formali prescritti dalle sopra richiamate disposizioni legislative, ai fini della riferibilità degli acquisti di carburanti ai beni strumentali utilizzati dalla società contribuente.
4.2. Il secondo profilo del quarto motivo incorre nel medesimo vizio di inammissibilità di cui al terzo motivo, non avendo la ricorrente rispettato le prescrizioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., e, avendo, comunque, nella specie, il giudice di appello, lungi dall’avere omesso di esaminare il “fatto” di cui l’Agenzia lamenta la pretermissione, dichiarato di avere raggiunto il proprio convincimento in ordine al deducibilità del costo per l’acquisto carburanti sulla scorta degli argomenti dedotti dalla controparte.
5. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, respinti gli altri;con cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Emilia-Romagna, in diversa composizione.
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