CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 novembre 2019, n. 29622
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo – Pressioni verso un’impresa fornitrice -Tentativo di ottenere benefici non autorizzati – Termini per impugnazioni
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 25/2017, pubblicata il 20 aprile 2017, la Corte di appello di Trento ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto il ricorso proposto da M.E. nei confronti di SAIT – Consorzio delle Cooperative di Consumo Trentine soc. coop., volto a ottenere l’accertamento della natura ritorsiva e, in subordine, della illegittimità del licenziamento intimatogli per giustificato motivo soggettivo in data 18/2/2015 per avere, essendo addetto all’Ufficio Acquisti, esercitato pressioni verso un’impresa fornitrice del Consorzio, a partire dal 2003 per sé e, dal 2012, anche a favore di un collega del medesimo ufficio, al fine di ottenere benefici non autorizzati, consistiti nella fruizione di uno skipass stagionale.
2. La Corte di appello, esclusa la tardività della contestazione e la natura ritorsiva del licenziamento, ha osservato come il dipendente si fosse costantemente preoccupato di ottenere il beneficio, sollecitandolo anno dopo anno: ciò che costituiva violazione del dovere di garantire l’imparzialità nella trattazione degli acquisti aziendali e rendeva giustificata la sanzione applicata, senza che potesse rilevare, per la evidente rilevanza della condotta, il fatto che essa non fosse stata prevista dal codice disciplinare, fermo restando il suo ripetersi anche dopo che sulla questione era intervenuta (nel 2012) una specifica disciplina aziendale.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con cinque motivi, assistiti da memoria, cui il Consorzio ha resistito con controricorso.
4. All’udienza del 19 febbraio 2019 è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo della causa, al fine di acquisire dalla Cancelleria della Corte di appello di Trento informazioni in ordine all’avvenuta comunicazione del testo integrale della sentenza impugnata.
5. In data 20 febbraio 2019 risultano acquisite le informazioni richieste.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo viene dedotta l’applicazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 5 l. n. 604/1966 e 7 l. n. 300/1970, per avere la Corte di appello errato nella valutazione delle prove, documentali e testimoniali, offerte dal ricorrente.
2. Con il secondo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 7, comma 1, l. n. 300/1970, per avere la Corte erroneamente ritenuto che il ricorrente non avesse sostenuto con idonee argomentazioni in fatto e in diritto la censura relativa alla mancata affissione del codice disciplinare.
3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2104 e 2105 cod. civ. e all’art. 3 l. n. 604/1966, per avere la Corte errato nella valutazione della proporzionalità della sanzione irrogata rispetto ai fatti oggetto di contestazione disciplinare.
4. Con il quarto viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 7, comma 2, l. n. 300/1970, per avere la Corte erroneamente disatteso l’eccezione di tardività della contestazione.
5. Con il quinto viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per avere la Corte omesso di esaminare l’eccezione proposta dal ricorrente con riferimento alla nullità del licenziamento in quanto ritorsivo/discriminatorio.
6. Il ricorso risulta inammissibile.
7. Si deve premettere che nella specie è applicabile il rito di cui alla l. n. 92/2012, il cui art. 1, comma 67, stabilisce che i commi da 47 a 66, che disciplinano il procedimento, “si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge medesima”.
8. La presente controversia è stata introdotta con ricorso del 13 maggio 2015, con conseguente operatività delle disposizioni del rito speciale, delle quali in particolare rilevano, ai fini in esame, il comma 62 (“Il ricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore“) e il co. 64 (“In mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’art. 327 del Codice di procedura civile”).
9. Ne consegue che il c.d. “termine lungo”, di cui all’art. 327 cod. proc. civ., può trovare applicazione nella sola ipotesi in cui non vi sia stata comunicazione o notificazione della decisione sul reclamo (commi 62 e 64).
10. La maggiore novità introdotta dalla l. n. 92/2012, rispetto alla disciplina di cui agli artt. 325 ss. cod. proc. civ. (disciplina che resta applicabile in tutti i casi in cui non opera la normativa speciale de qua), è data, quindi, dal rilievo processuale attribuito anche alla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria del giudice che lo emette, mentre il Codice di rito non prevedeva alcuna decorrenza in caso di mera comunicazione della sentenza ma unicamente dalla notificazione, ovvero, in mancanza di questa, dal trascorrere del c.d. “termine lungo”.
11. Nel caso in esame, dall’attestazione in data 20/2/2019 della Cancelleria della Corte di appello di Trento e relativi allegati, trasmessi a seguito dell’ordinanza di questa Corte che aveva disposto il rinvio della causa a n. r., risulta che la sent. n. 25/2017, pubblicata in data 20 aprile 2017 e non notificata, è stata portata – nel suo testo integrale – a conoscenza, tramite PEC, sia dell’avv. E.S., difensore domiciliatario in grado di appello dell’odierno ricorrente, sia dell’avv. F.V., difensore del Consorzio appellato.
12. Il presente ricorso per cassazione, in quanto notificato il 19 ottobre 2017, oltre il termine (60 giorni) stabilito dal co. 62 della l. n. 92/2012, risulta, pertanto, tardivamente proposto.
13. A tale conclusione non osta l’art. 133 cod. proc. civ., là dove dispone – con il comma aggiunto dall’art. 45, comma 1, lett. b) del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, nella l. n. 114/2014 – che “la comunicazione” della sentenza “non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325”.
14. Si richiama in tal senso Cass. n. 23526/2014 (conforme Cass. 10525/2016), per la quale “la novella del secondo comma dell’art. 133 cod. proc. civ., operata con l’art. 45, comma 1, lett. b), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni in legge 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 cod. proc. civ., è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni, solo nel caso di atto di impulso di controparte, ma non incide sulle norme processuali, derogatorie e speciali (come l’art. 348 ter, terzo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui fa decorrere il termine ordinario per proporre il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis cod. proc. civ.), che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria, senza che rilevi che la comunicazione sia integrale o meno“.
15. Si richiama altresì Cass. n. 19177/2016, per la quale “il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, di cui all’art. 1, comma 62, della l. n. 92 del 2012, decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di previsione speciale, che in via derogatoria comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell’art. 133, comma 2, cod. proc. civ., nella parte in cui stabilisce che la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 cod. proc. civ., norma attinente al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria”; nonché, fra le più recenti, Cass. n. 794/2017, ove ulteriori riferimenti giurisprudenziali.
16. Dalla inammissibilità del ricorso discende il passaggio in giudicato della sentenza impugnata e la conseguente preclusione ad esaminare nel merito i motivi con lo stesso proposti.
17. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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