CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 novembre 2019, n. 29629
Appalto – Responsalità solidale del committente – Differenze retributive – Beneficio di preventiva escussione dell’appaltatore – Decorrenza del termine di decadenza biennale – Momento della cessazione definitiva dell’appalto
Fatti di causa
Con sentenza del 23 gennaio 2017, la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello proposto da F. Cantieri Navali s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione dell’opposizione proposta dalla società avverso il decreto con il quale era stata ingiunta, in qualità di committente ai sensi dell’art. 29 d.lg. 276/2003, al pagamento della somma di € 4.453,00 oltre accessori, a titolo di differenze retributive spettanti per il periodo da gennaio a dicembre 2008 a S. M. per prestazioni rese in favore di R. s.r.l. (alle cui dipendenze egli aveva lavorato dal gennaio 2008 al marzo 2009), in riferimento ad un appalto da questa avuto dalla prima società.
A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la decadenza del lavoratore dall’azione proposta, per la decorrenza del termine biennale dalla data, correttamente individuata dal Tribunale nell’anno 2011 (essendo stato adito il giudice in via monitoria nel 2012), di cessazione dei lavori navali (commessi da F. s.p.a. a R. s.r.l. con contratti di appalto conseguenti a quello normativo stipulato tra le parti il 29 settembre 2004), nei quali il predetto aveva prestato la sua attività, ritenuta provata in base alle scrutinate risultanze istruttorie.
Infine, essa negava l’applicabilità, ratione temporis (per la novellazione dell’art. 29, secondo comma per effetto del d.lg. 5/2012 conv. in I. 35/2012 e quindi dell’art. 4 I. 92/2012), del beneficio di preventiva escussione dell’appaltatore, in quanto istituto di natura sostanziale, introdotto successivamente all’assunzione da F. s.p.a. dell’obbligazione solidale ex lege.
Con atto notificato il 12 luglio 2017, F. s.p.a. ricorreva per cassazione con otto motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., mentre non svolgevano difese né il lavoratore né R. s.r.l. (già contumace in appello), intimati.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia sulle questioni, sottese al (primo) motivo relativo alla decadenza del lavoratore dall’azione proposta a norma dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003, riguardanti la natura del contratto 29 settembre 2004 tra F. s.p.a. e R. s.r.l., non già di appalto ma normativo e l’autonomia e indipendenza di ognuno dei successivi contratti di appalto stipulati tra le parti, aventi ad oggetto opere diverse.
2. Con il secondo, essa deduce violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte territoriale fondato la decisione su fatti allegati da F. s.p.a. non specificamente contestati dal lavoratore, relativi alla breve durata (mai superiore ad un mese) degli ordini di lavori commessi a R. s.r.l. e alla cessazione dei contratti di appalto stipulati nel 2008 nello stesso anno.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 2697 c.c., per le stesse ragioni.
4. Con il quarto, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1655 c.c., 29 secondo comma d.lg. 276/2003, per erronea ricostruzione della fattispecie dalla Corte d’appello, anche per non corretta interpretazione della volontà delle parti, come un’unica serie di lavori affidati da F. s.p.a. a R. s.r.l. e proseguiti fino a settembre 2011, anziché nei termini convenuti di un contratto (in data 29 settembre 2004) normativo, pertanto regolante la disciplina degli eventuali futuri contratti stipulandi (con assunzione di un obbligo non già di contrarre, in assenza di alcuna efficacia dispositiva e pertanto incoercibile a norma dell’art. 2932 c.c., ma di come contrarre) e dei singoli contratti di appalto successivamente stipulati, autonomi l’uno dall’altro anche negli effetti di decorrenza dalla cessazione della decadenza dall’azione giudiziale e di corretta riferibilità del credito retributivo comportante responsabilità della committente.
5. Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 29 secondo comma d.lg. 276/2003, per illegittima estensione della responsabilità prevista dalla norma denunciata, limitata alla prestazione dell’attività lavorativa nell’esecuzione del contratto di appalto e al collegamento causale del credito retributivo garantito con esso, sul rilievo dell’irrilevanza della data di cessazione del rapporto di lavoro subordinato tra S. e R. s.r.l. o della sua prosecuzione presso altri committenti.
6. Con il sesto, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per acritica recezione dalla Corte d’appello, in ordine alla riconducibilità dei crediti retributivi di S. ai contratti di appalto di R. s.r.l. con F. s.p.a., della testimonianza di un teste (P.D.), senza indicazione delle ragioni del proprio convincimento, neppure avendo il predetto indicato a quale appalto avrebbe lavorato S., ignorandolo e avendo tuttavia la Corte territoriale ritenuto, in modo carente e manifestamente illogico, riconducibile il suo credito retributivo all’appalto con F. s.p.a.
7. Con il settimo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 29, secondo comma d.lg. 276/2003, 2697 c.c., 115 c.p.c., per carenza di prova, sull’esclusiva base della testimonianza di P.D. e addirittura sua illegittima inversione (nell’inesistenza dei presupposti di applicazione del principio di “vicinanza della prova”) in ordine alla riconducibilità dei crediti retributivi di S. ai contratti di appalto di R. s.r.l. con F. s.p.a..
8. Con l’ottavo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 29 secondo comma d.lg. 276/2003, per la natura, non già sostanziale (restando inalterato il rapporto sottostante, senza alcun mutamento dell’obbligazione da solidale in sussidiaria), ma processuale, in quanto incidente sulle modalità di esecuzione della pretesa creditoria del lavoratore garantito, dell’eccezione di bene ficium excussionis dell’appaltatore in favore del committente, quindi immediatamente applicabile.
9. Il primo motivo, relativo a nullità della sentenza per omessa pronuncia sulle questioni relative alla natura del contratto 29 settembre 2004 tra F. s.p.a. e R. s.r.l. sottese alla decadenza del lavoratore dall’azione proposta a norma dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003, è infondato.
9.1. Il vizio denunciato non sussiste, per l’evidente implicito assorbimento (Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 12 novembre 2018, n. 28995), se non rigetto (Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718), come anche adombrato da F. s.p.a. (al primo periodo, sub 21 di pg. 32 del ricorso), delle due questioni nell’accertata prestazione da parte del lavoratore di un’attività alle dipendenze di R. s.r.l. (dal gennaio 2008 al marzo 2009), riguardante opere di carpenteria navale appaltatele da F. s.p.a. ed ultimate soltanto nel 2010 e 2011 (dal terzo capoverso di pg. 7 al secondo di pg. 8 della sentenza).
10. Il secondo, terzo e quarto motivo, relativi alla contestazione di non corretta individuazione della decorrenza del termine di decadenza dell’azione ai sensi dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 sotto i profili sopra illustrati, possono essere congiuntamente esaminati, per ragioni di stretta connessione.
10.1. Essi sono infondati.
10.2. In via di premessa, deve essere esclusa l’esistenza delle violazioni di legge denunciate in ordine alla ricostruzione della fattispecie negoziale dalla Corte territoriale, per la sua progressiva formazione, nella distinta autonomia dell’accordo o contratto normativo tra le parti del 29 settembre 2004 (il quale, avendo ad oggetto la disciplina di negozi giuridici eventuali e futuri dei quali fissa preventivamente il contenuto, pure non comportando il sorgere di un rapporto da cui scaturiscano immediatamente diritti ed obblighi per i contraenti, contiene tuttavia norme intese a regolare il rapporto, qualora le parti intendano crearlo: Cass. 18 dicembre 1981, n. 6720) e dei contratti di appalto documentati dagli ordini prodotti, integrati nella loro disciplina dallo specifico richiamo del suddetto contratto “a monte”, qualificata dalle due corti di merito, sulla base degli accertamenti operati, nel senso di un rapporto sostanzialmente unitario ai fini in esame, di riferibilità della prestazione lavorativa di S. M., dipendente di R. s.r.l.
Sicché, in base a tale qualificazione, esse hanno individuato il momento di “cessazione definitiva dell’appalto tra la committente F. e l’appaltatrice R.” (così al secondo capoverso di pg. 7 della sentenza).
10.3. Non si configurano poi le violazioni di legge denunciate in relazione alle norme disciplinanti il regime probatorio, posto che si risolvono in una censura sostanziale di errore di valutazione, insindacabile in sede di legittimità. Esse non attingono, in riferimento all’art. 115 c.p.c., l’errore di percezione, che cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356); né integrano violazione dell’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395).
10.4. I suindicati mezzi consistono piuttosto nella contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto della Corte territoriale, adeguatamente argomentato (per le ragioni dal terzo capoverso di pg. 7 al secondo di pg. 8 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197), tanto meno nella più circoscritta possibilità di devoluzione prevista dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
11. Il quinto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 29 secondo comma d.lg. 276/2003 per illegittima estensione della responsabilità in esso prevista, è infondato.
11.1. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della logica della solidarietà tra l’appaltatore ed il committente sancita dalla norma denunciata, di garanzia al lavoratore del pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all’appalto cui abbia personalmente dedicato le proprie energie lavorative, confermata dal dato testuale, che fa riferimento al periodo di esecuzione del relativo contratto, così imponendo di ritenere che la solidarietà sussista solo per i crediti maturati con riguardo al periodo del rapporto lavorativo coinvolto dall’appalto stesso, con esclusione di quelli sorti in altri periodi (Cass. 18 luglio 2017, n. 17725).
In questo senso deve pertanto essere intesa l’affermazione della rilevanza – ai fini di operatività della garanzia ex lege della committente e della relativa decorrenza del termine di decadenza biennale – della “cessazione definitiva dell’appalto tra la committente F. e l’appaltatrice R.” , risultando invece “irrilevante la data di cessazione del rapporto di lavoro subordinato tra S. e R., ovvero la circostanza che il rapporto di lavoro de quo sia proseguito presso altri committenti” (così ancora al secondo capoverso di pg. 7 della sentenza): posto che, fermo il riferimento ai crediti maturati in costanza di appalto, il termine biennale previsto dalla suddetta disposizione, per la proposizione dell’azione giudiziale per i crediti per i quali ciò sia possibile, ha natura di decadenza dalla cessazione dell’appalto (Cass. 18 luglio 2017, n: 17725).
12. Il sesto e il settimo motivo, relativi a violazione e falsa applicazione delle norme suindicate per acritica recezione dalla Corte d’appello della testimonianza di un teste in ordine alla riconducibilità dei crediti retributivi del lavoratore ai contratti di appalto di R. s.r.l. con F. s.p.a., sono congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione.
12.1. Neppure qui si configurano le violazioni di norme di legge denunciate per le richiamate ragioni illustrate in riferimento ai motivi sopra congiuntamente esaminati, per l’accertamento in fatto compiuto, sulla scorta delle risultanze istruttorie scrutinate e giustificato da argomentazione congrua (per le ragioni esposte in particolare agli ultimi due capoversi di pg. 9, in combinazione con quelle dal terzo capoverso di pg. 7 al secondo di pg. 8 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità.
12.2. In particolare, si deve escludere la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto censurabile per cassazione soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395).
La Corte ha infatti accertato la riferibilità dei crediti retributivi fatti valere dal lavoratore, che ne ha offerto piena dimostrazione, alla prestazione di attività alle dipendenze di R. s.r.l. nell’ambito del rapporto di appalto, come sopra ricostruito, con F. s.p.a. Né quest’ultima ha offerto prova, a suo carico secondo l’applicazione del regime probatorio in via ordinaria senza neppure necessità di ricorso al principio di vicinanza della prova (Cass. 25 luglio 2008, n. 20484; Cass. 17 aprile 2012, n. 6008; Cass. 14 gennaio 2016, n. 486), della circostanza contraria, anzi smentita dalla sua stessa documentazione (come in particolare illustrato agli ultimi due capoversi di pg. 7 della sentenza).
13. L’ottavo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 29 secondo comma d.lg. 276/2003 per la natura processuale dell’eccezione di beneficium excussionis, immediatamente applicabile, è infondato.
13.1. Bene la Corte veneziana ha applicato la legge vigente nel tempo di assunzione dell’obbligazione, dovendosi ribadire il principio, secondo cui, in tema di appalto di opere o di servizi, nella successione delle disposizioni diversamente regolanti, alla stregua di solidarietà in senso stretto ovvero sussidiaria (per la previsione di un beneficio di escussione), la responsabilità del committente imprenditore o datore di lavoro con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003, si applica, per la sua natura sostanziale, il regime di solidarietà vigente al momento di assunzione dell’obbligazione, e, quindi, di insorgenza del credito del lavoratore (Cass. 7 dicembre 2018, n 31768; Cass. 13 febbraio 2019, n. 4237).
14. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il lavoratore vittorioso svolto difese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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