CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 novembre 2019, n. 29647
Imposte dirette, Iva e dell’Irap – Accertamento fiscale – PVC
Fatti di causa
1. La S. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante prò tempore, ed i suoi soci S. G. ed A. G., propongono ricorso, affidato a sei motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 260/67/11, depositata l’11 ottobre 2011, che ha parzialmente accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia, che aveva accolto, dopo averli riuniti, i ricorsi dei medesimi contribuenti avverso gli avvisi con i quali l’Ufficio, a seguito del processo verbale di constatazione n. 212/2008, aveva accertato:
a) nei confronti della S. s.r.l., per l’anno d’imposta 2005, ai fini delle imposte dirette, dell’Iva e dell’Irap, il maggior reddito d’impresa di euro 675.000,00, relativo a costi indebitamente dedotti, in quanto connessi ad operazioni inesistenti; e per l’anno d’imposta 2006, ai fini delle imposte dirette considerato che la contribuente aveva utilizzato in compensazione con il reddito d’impresa la perdita d’esercizio di cui all’anno d’imposta precedente, rettificata a seguito del predetto accertamento, il conseguente maggior reddito imponibile di euro 47.482,00;
b) nei confronti di ciascuno dei predetti soci – in considerazione della rispettiva partecipazione, pari al 50%, al capitale della medesima s.r.l., qualificata ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 917 del 1986, e visto il combinato disposto degli artt. 3, comma 3, lett. a e 44 e 47 del d.P.R. n. 917 del 1986, come modificato dal d.lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003, secondo cui gli utili distribuiti derivanti da partecipazioni qualificate costituiscono reddito da capitale limitatamente al 40% del loro ammontare, e 27 del d.P.R. n. 600 del 1973- per l’anno d’imposta 2005, ai fini Irpef, il maggior reddito da capitale di euro 135.000,00.
2.Il processo verbale di constatazione posto a base degli accertamenti aveva per oggetto una complessa vicenda negoziale, sintetizzabile nei seguenti passaggi essenziali:
2.1. il 3 febbraio 2005 A. G. e la GP s.r.l. concludevano una scrittura privata avente ad oggetto un contratto preliminare di compravendita di un immobile condotto in leasing da quest’ultima società, promittente alienante, ma di proprietà della terza Leasimpresa s.p.a.
Il contratto, che avrebbe dovuto essere eseguito previo riscatto della proprietà del bene da parte della GP s.r.l., conteneva la riserva di nomina da parte del promissario acquirente, con termine sino alla nomina del dispositivo, da concludersi entro il 31 marzo 2005;
2.2. con successive scritture private tra le parti contraenti, il termine veniva via prorogato sino al 31 luglio 2005, con conferma dei patti originari;
2.3. A. G. versava alla controparte complessive euro 550.000,00, di cui 250.000,00 a titolo di caparra confirmatoria prima della stipula del contratto preliminare, ed ulteriori 300.000,00 (di cui 100.000,00, a titolo di caparra confirmatoria e 200.000,00 a titolo di acconto sul prezzo di acquisto definitivo dell’immobile) prima della scrittura di proroga del termine di stipulazione del contratto definitivo;
2.4. il 29 luglio 2005, tuttavia, A. G. e la S. s.r.l.
– con la partecipazione della ceduta GP s.r.l., che prestava il suo consenso- concludevano, con scrittura privata, un contratto di cessione, dal primo alla seconda, del predetto contratto preliminare, per il corrispettivo di euro 550.000,00;
2.5. successivamente, la S. s.r.l., dopo aver pagato altri acconti alla GP s.r.l., con atto pubblico del 25 agosto 2005, concludeva con quest’ultima la cessione del contratto di leasing immobiliare intercorrente tra la stessa GP s.r.l., cedente, e la ceduta concedente, Leasingimpresa s.p.a., che pure partecipava all’accordo, prestando il proprio consenso. La cedente GP s.r.l. emetteva quindi fattura, nei confronti della cessionaria S. s.r.l., per la parte del corrispettivo (di euro 1.098.000,00, iva compresa) della cessione già incassata, di cui euro 550.000,00 già versati dal socio A. G., a titolo di caparra confirmatoria e di acconto del contratto preliminare di compravendita dell’immobile, originariamente concluso dal predetto con la stessa GP s.r.l., ed i restanti pagati dalla S. s.r.l., prima della conclusione dell’atto del 25 agosto 2005.
2.6. Il 19 ottobre 2005 S. s.r.l., subentrata nel contratto di leasing, riscattava, al prezzo di euro 376.502,41, l’immobile e lo rivendeva ad una terza società di leasing , verso il corrispettivo di euro 1.300.000,00.
3. L’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che l’operazione commerciale, nel suo complesso, presentasse profili di antieconomicità tali da giustificare l’accertamento induttivo del maggior reddito d’impresa di euro 675.000,00, relativo a costi che assumeva indebitamente dedotti dalla società ricorrente, in quanto connessi ad operazioni inesistenti. In particolare, l’Ufficio rilevava che il corrispettivo della cessione del contratto preliminare che sarebbe stato pagato dalla S. s.r.l., sommato al prezzo del riscatto dell’immobile che quest’ultima avrebbe sopportato, ed alle spese direttamente connesse all’operazione commerciale in questione, conduceva ad un costo superiore al prezzo di vendita dello stesso bene incassato successivamente dalla medesima società, evidenziando pertanto una perdita contabile di euro 24.076,87. La conseguente antieconomicità dell’operazione, secondo l’Ufficio, neppure poteva essere giustificata dalla finalità della società ricorrente di trarre profitto dalla locazione dell’immobile, atteso che essa lo aveva ceduto subito dopo averne acquistato la proprietà.
La non convenienza imprenditoriale dell’operazione era poi confermata, secondo l’Ufficio, dal fatto che la società ricorrente, per effetto delle descritte operazioni negoziali, aveva anticipato, prima che le venisse ceduto il contratto di leasing, a titolo di caparra ed acconti, una parte assai rilevante (euro 800.000,00) del corrispettivo (euro 915.000,00) dovuto a tale titolo, senza ricevere in cambio adeguate garanzie circa il buon esito finale del negozio, e quindi assumendosi un rischio inusuale nella prassi imprenditoriale.
Tali circostanze, unite alla condotta della cedente GP s.r.l. ( che non aveva presentato le dichiarazioni dei redditi ed Iva ed aveva fatturato alla S. s.r.l. la parte del corrispettivo del contratto di cessione del contratto di leasing immobiliare già versatale invece da A. G., per il diverso titolo di caparra confirmatoria e di acconto dell’originario contratto preliminare di compravendita dell’immobile) e ad ulteriori rilievi circa l’effettività ed i tempi dei relativi pagamenti, conducevano quindi l’Ufficio a ritenere che nel contratto del 25 agosto 2005 tra S. s.r.l. e GP s.r.l. fosse stato indicato un corrispettivo superiore di euro 675.000,00 rispetto a quello effettivo, allo scopo di trasferire artificiosamente alla GP s.r.l. (che aveva acquistato originariamente l’immobile per euro 231.445,00), interponendola nell’operazione negoziale complessiva quale società “cartiera” ed inadempiente nei confronti del fisco, la plusvalenza conseguente alla cessione finale del bene, contemporaneamente creando costi in realtà non esistenti, perché superiori a quelli effettivi, che la S. s.r.l. avrebbe dedotto.
4.1 ricorsi dei contribuenti sono stati accolti dalla Commissione tributaria provinciale adita, che ha escluso che la ricostruzione induttiva dell’Ufficio fosse suffragata da indizi gravi, precisi e concordanti, idonei a costituire valida prova per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.
5. L’ appello dell’Agenzia è stato solo parzialmente accolto dalla Commissione tributaria regionale, che ha ritenuto fondati gli accertamenti limitatamente al minor importo di euro 550.000,00, corrispondente alla somma pagata da A. G. a titolo di caparra confirmatoria e di acconto dell’originario contratto preliminare di compravendita dell’immobile, contenente la clausola che consentiva al predetto la successiva nomina del promittente acquirente.
Il giudice a quo, infatti, rilevato che, ai sensi degli artt. 1401 e 1402 cod. civ., l’electio amici deve essere comunicata alla controparte entro tre giorni (salvo non sia convenuto un termine diverso) e deve essere accompagnata dall’accettazione del soggetto nominato (ove questi non abbia rilasciato una procura antecedente al contratto), ha dato atto che non risultavano adempiute tale modalità da A. G. ed ha quindi ritenuto che il contratto preliminare, ai sensi dell’art. 1405 cod. civ.,, avesse prodotto i suoi effetti tra le parti originarie, con la conseguenza che gli importi anticipati dallo stesso contraente Galvani avrebbero dovuto essere imputati e fatturati esclusivamente a quest’ultimo, e non favore della S. s.r.l., che ha quindi illegittimamente detratto costo ed Iva corrispondenti.
E’ stato invece respinto l’appello dell’Ufficio con riferimento al resto del corrispettivo fatturato dalla GP s.r.l. alla S. s.r.l., «in quanto la ricostruzione … circa l’antieconomicità e rischiosità dell’operazione non appare fondata su indizi gravi, precisi e concordanti, peraltro anche frutto di presunzioni di presunzioni.».
6.1 contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione della sentenza impugnata.
7. L’ufficio si è costituito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
8.1 ricorrenti hanno depositato controricorso incidentale e successiva memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo costituito dalla fissazione, nel contratto preliminare de quo, del termine per l’esercizio della facoltà di nomina dell’amicus sino alla stipula del contratto definitivo.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e ss. cod. civ., quali regole dell’ermeneutica contrattuale, per non avere il giudice a quo correttamente interpretato il medesimo contratto preliminare, e le successive scritture di proroga del termine per la stipula del contratto definitivo, nel senso che le relative pattuizioni consentissero l’esercizio della facoltà di nomina del terzo sino alla stipula del contratto definitivo.
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1401 e 1402 cod. civ., per avere il giudice a quo erroneamente escluso che le parti, nel predetto contratto preliminare e nelle successive scritture di proroga del termine per la stipula del contratto definitivo, nel pattuire che l’esercizio della facoltà di nomina del terzo avrebbe potuto essere esercitata sino alla stipula del contratto definitivo, abbiano efficacemente derogato al termine di tre giorni dettato dall’art. 1402 cod. civ..
4. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1406 cod. civ., per non avere il giudice a quo considerato che il contratto preliminare in questione è stato ceduto da A. G. alla S. s.r.l., che successivamente si è resa cessionaria dalla GP s.r.l. del contratto di leasing immobiliare avente ad oggetto lo stesso bene. Quest’ultimo contratto, secondo i ricorrenti, avrebbe comportato pertanto l’estinzione delle obbligazioni conseguenti al precedente contratto preliminare, con conseguente diritto dello stesso G. alla ripetizione di quanto già pagato da quest’ultimo per tale titolo alla GP s.r.l.. Tale diritto, per effetto della cessione delle posizioni attive inclusa nella cessione del contratto preliminare dal G. alla S. s.r.l., sarebbe traslato a quest’ultima, che lo avrebbe compensato con il credito della GP s.r.l. a titolo di corrispettivo per il successivo e diverso titolo di cessione del contratto di leasing immobiliare, concluso tra queste ultime parti.
5.1 primi quattro motivi, per la loro connessione, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati, sebbene la motivazione in diritto della CTR sul punto, fondata sulla forma e sul termine di esercizio dell’electio amici, debba essere in questa sede riconsiderata, non essendo tale aspetto della fattispecie sub iudice determinante ai fini della decisione.
Infatti, costituisce un dato incontestato che nel contratto preliminare de quo l’esercizio della facoltà di nominare un terzo non è mai stata esercitata dal G., promittente acquirente, il quale pertanto, secondo la stessa ricostruzione dell’operazione prospettata dai ricorrenti (pag. 3 del ricorso), al momento del dedotto pagamento alla GP s.r.l. di euro 550.000,00, a titolo di caparra confirmatoria e di acconto del contratto di compravendita dell’immobile , e prima della cessione dello stesso contratto preliminare, era parte di quest’ultimo e solvens effettivo del predetto importo, quindi, dal punto di vista fiscale, così come sostenuto dall’Ufficio, destinatario necessario della fattura dell’accipiens, atteso che «Ai fini della determinazione del periodo d’imposta cui riferire il versamento dell’acconto sul corrispettivo di un contratto preliminare di compravendita immobiliare assume rilievo il momento del versamento della somma con emissione della relativa fattura che costituisce operazione imponibile ai sensi dell’art. 6, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (come modificato dal d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 793), il quale, in tali ipotesi, prevede che l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o del pagamento.» (Cass., 26/11/2014, n. 25088).
E’ quindi al momento del pagamento effettuato dal G. alla GP s.r.l. (e non a quello di una successiva traslazione soggettiva del preliminare, per effetto di una electio amici mai avvenuta o della posteriore cessione del contratto preliminare) che, ai fini che qui interessano, il relativo esborso va imputato alla persona fisica che lo ha effettivamente sostenuto in proprio.
Tanto premesso, sufficiente al rigetto dei motivi in esame, deve pure aggiungersi che l’ulteriore circostanza che una parte del corrispettivo della cessione del contratto di leasing sarebbe stata estinta, dalla società ricorrente, attraverso la descritta compensazione, non è supportata dal relativo atto pubblico di cessione, concluso tra S. s.r.l. e GP s.r.l., riprodotto nel ricorso (alle pag. 55 e 56 ), a titolo di corrispettivo per il successivo e diverso titolo di cessione del contratto di leasing immobiliare, concluso tra queste ultime parti, nel quale, rispetto ai pagamenti già intervenuti, si precisa invece che i relativi importi sono stati «già versati prima d’ora».
6. Con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 del d.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917, per non avere il giudice a quo considerato che, comunque, S. s.r.l., per effetto dell’operazione negoziale controversa, anche nella ricostruzione accolta dalla sentenza impugnata, avrebbe sostenuto il costo deducibile di euro 550.000,00, a titolo di corrispettivo convenuto per la cessione del contratto preliminare trasferitole dal G..
Il motivo è inammissibile, in quanto generico e non autosufficiente con riferimento all’asserito costo, atteso che, nel corpo dello stesso – in contrasto con i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, che devono essere assolti necessariamente con il ricorso (Cass., 13/11/2018, n. 29093; Cass., 04/10/2018, n. 24340, ex plurimis) – non viene specificato quando e con quali modalità la società ricorrente avrebbe effettivamente pagato al socio G. il corrispettivo della cessione del contratto preliminare, circostanza sulla quale nulla dice neppure la scrittura privata di cessione datata 29 luglio 2005, allegata dai ricorrenti al ricorso, nella quale il prezzo viene determinato, ma senza alcuna specifica previsione in ordine a termini e modalità del suo adempimento.
7. Con il sesto motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num, 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 3, del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600; e, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere il giudice a quo – pur in assenza di presunzioni grave, precise e concordanti, e senza motivare il proprio convincimento- presunto la realizzazione da parte della società ricorrente, e la distribuzione ai suoi soci, di utili extra-bilancio, per euro 550.000,00, sebbene tale importo corrispondesse ad un costo effettivamente sostenuto dalla stessa S. s.r.l.
Il motivo si basa su un presupposto – l’imputabilità alla S. s.r.l. di un costo effettivamente sostenuto di euro 550.000,00 – la cui ricorrenza è esclusa già per effetto delle argomentazioni di cui ai motivi precedenti, ed è quindi assorbito dalla decisione già resa su questi ultimi.
8. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ., l’Agenzia denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’antieconomicità e la rischiosità dell’operazione controversa.
Il motivo è ammissibile, a differenza di quanto dedotto dai ricorrenti principali nel loro controricorso. Infatti, l’Ufficio non si limita a contestare la valutazione del giudice a quo in ordine all’insussistenza, nel complesso della fattispecie negoziale sub iudice, dell’insussistenza dell’antieconomicità e della rischiosità, e non pretende sic et simpliciter di sostituire a tale giudizio la propria contrastante conclusione. Piuttosto, la ricorrente incidentale lamenta che la CTR non abbia motivato, se non con formula generica, con riferimento ad alcuni fatti, concreti e specifici, sui quali gli accertamenti controversi, e le difese in giudizio della stessa Agenzia, fondavano la predetta valutazione di difformità della condotta della S. s.r.l. da canoni imprenditoriali coerenti con la finalità di profitto. In particolare, il ricorso censura la mancanza di considerazione, nella motivazione, in ordine al complessivo effetto deficitario dell’operazione in questione per la S. s.r.l., derivante strutturalmente dalla sommatoria di dati concreti (il corrispettivo della cessione del contratto preliminare, il prezzo del riscatto dell’immobile, le spese direttamente connesse all’operazione commerciale in questione, il prezzo di vendita del bene incassato successivamente dalla medesima società, rivenduto subito dopo l’acquisto) estratti dalle varie operazioni negoziali, e non da mere sopravvenienze accidentali.
Inoltre, il ricorso censura la mancanza di considerazione, nella motivazione, anche in ordine al dato oggettivo rappresentato dal pagamento anticipato, da parte dell’originario promissario acquirente A. G. e poi della sua cessionaria S. s.r.l., di caparre ed acconti in percentuale quasi coincidente (euro 800.000,00 rispetto ad euro 915.000,00) rispetto al corrispettivo finale convenuto.
Tutti tali elementi oggettivi, come si ricava dalla lettura della parte della sentenza impugnata attinente lo svolgimento del processo, appartenevano al contraddittorio processuale tra le parti ed erano stati oggetto delle contrapposte difese, che invero contestavano l’interpretazione di tali dati, ritenendo, in particolare, i contribuenti di poter giustificare razionalmente tali risultanze.
Tuttavia, come lamentato dall’Ufficio, la formula generica utilizzata dal giudice a quo, che – senza specifico riferimento ai predetti fatti, o ad altre specifiche circostanze, e senza precisare quali sarebbero state le «presunzioni di presunzioni» utilizzate dall’Amministrazione- ha rilevato che «la ricostruzione dell’Ufficio circa l’antieconomicità e rischiosità dell’operazione non appare fondata su indizi gravi, precisi e concordanti, peraltro anche frutto di presunzioni di presunzioni», non rende adeguatamente conto dell’avvenuta valutazione, da parte del giudice a quo, di tali circostanze oggettive concrete, al fine di escluderne la rilevanza per l’eventuale qualificazione dell’operazione come antieconomica.
Né, peraltro, potrebbe porsi in dubbio la natura decisiva per il giudizio dei fatti in questione, atteso che, ove la loro effettiva valutazione conducesse a ravvisare elementi sintomatici della contestata antieconomicità dell’operazione ( che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave: Cass., 30/10/2018, n. 27552), giustificando la determinazione induttiva del maggior reddito effettuata dall’Amministrazione, sarebbe allora onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa ed alle scelte imprenditoriali, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (Cass., 31/10/2018, n. 27804; Cass., 17/07/2018, n. 18904).
8.1. Va quindi accolto il ricorso incidentale e la sentenza impugnata va cassata ed essendo necessari i predetti accertamenti in fatto, il giudizio va quindi rinviato al giudice a quo, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia- sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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