CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 novembre 2019, n. 29669
Variazione del classamento e della rendita dell’immobile – Documentazione Docfa – Correzione della rappresentazione planimetrica
Premesso che
1. a seguito di presentazione da parte di V.A. e di D.C., rispettivamente in qualità di usufruttuaria e di nudo proprietario di un immobile sito in Roma, di documentazione Docfa per la correzione della rappresentazione pianimetrica del medesimo immobile perché riportante erroneamente la presenza non di una ma di due cantine, l’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di variazione del classamento e della rendita dell’immobile da A/2, con rendita di € 3593,25, ad a A/1, con rendita di €6117,43;
2. l’avviso, impugnato dai contribuenti per dedotta carenza di motivazione, considerato legittimo dalla adita commissione tributaria provinciale di Roma, veniva considerato illegittimo dalla commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n.4933, depositata l’8 agosto 2017, la quale richiamava la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito di cosiddetta procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. 12497/2016; Cass. n.23237/2014 e Cass. n.3394/2014) ed evidenziava che l’avviso impugnato conteneva “soltanto riferimenti alla normativa di settore nonché i dati di classamento e rendita precedenti e quelli attribuiti dall’ufficio senza qualsivoglia elemento concreto e specifico sull’immobile, sul suo stato, sulla sua ubicazione, sul raffronto con locali similari e/o diversi, ecc. che consenta di comprendere le ragioni dell’assegnazione ad una categoria diversa da quella proposta dal contribuente”
3. la sentenza della commissione regionale è impugnata dall’Agenzia delle Entrate la quale ne chiede la cassazione per dedotto errore nell’applicazione dell’art. 3. l. 241/90 e ciò sul presupposto che, a dire di essa Agenzia, l’avviso sarebbe congruamente motivato;
4. I contribuenti resistono con controricorso illustrato con memoria;
Considerato che
1. dopo la pagina 3 del ricorso per cassazione, è trascritto, con la sovraimpressa dizione “stampa provvisoria”, quello che l’Agenzia dice essere il testo dell’avviso della cui legittimità si controverte e la cui trascrizione (alternativa alla produzione) è requisito di autosufficienza (art. 366 c.p.c.) e dunque di ammissibilità del ricorso;
2. i contribuenti negano che quello trascritto sia davvero l’avviso in questione e, a supporto di quanto sostengono, producono come allegato n. 7 del controricorso, l’avviso loro notificato;
3. evidenziato che il testo trascritto dall’Agenzia è una “stampa provvisoria”, a fronte delle differenze tra il testo trascritto dall’Agenzia e il documento prodotto dai contribuenti, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c.). L’avviso della cui legittimità si tratta non è stato prodotto dalla ricorrente né è stato trascritto nel ricorso per cassazione e ciò preclude alla Corte di poter verificare se l’avviso sia o non sia motivato e così di poter valutare la fondatezza della doglianza sollevata contro la sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio. Né il difetto può considerarsi superato proprio in forza della produzione effettuata dai contribuenti. Il requisito dell’autosufficienza è un requisito intrinseco del ricorso e deve dunque essere soddisfatto dal contenuto del ricorso stesso senza possibilità di integrazione con altri atti. Alla produzione dei contribuenti non può pertanto essere annesso altro effetto se non quello di aver fatto emergere la non autosufficienza del ricorso;
4. le spese seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile;
condanna la Agenzia delle Entrate a rifondere a V.A. e a D.C. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 2650,00, oltre spese forfetarie e accessori di legge.
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