CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 novembre 2022, n. 33492
Licenziamento collettivo – Crisi aziendale – Risoluzione della totalità dei rapporti di lavoro – Cessione in affitto dell’azienda – Prosecuzione del rapporto di lavoro
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto il reclamo principale proposto dalla Manifatture O. s.r.l. e il reclamo incidentale della Società V.M. s.r.l. unipersonale in liquidazione, confermando la sentenza di primo grado emessa all’esito della fase di opposizione. Con la citata sentenza il Tribunale di Castrovillari aveva confermato l’ordinanza, emessa all’esito della fase sommaria, con cui era stata dichiarata l’illegittimità dei licenziamenti intimati ai lavoratori attuali controricorrenti e disposta la prosecuzione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della società Manifatture O. s.r.l., a norma dell’art. 2112 cod. civ., con condanna di quest’ultima alla reintegra dei lavoratori e al risarcimento del danno.
2. La Corte territoriale, con ampi richiami alla sentenza di primo grado, ha così ricostruito la sequenza dei fatti che hanno preceduto il licenziamento: – in data 23.5.2016, con comunicazione ai sensi degli artt. 4 e 24, legge n. 223 del 1991, la V.M. Fabbrica Materassi e Reti s.r.l. ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per “crisi aziendale”;
– in data 28.6.2016 è stato sottoscritto un verbale di accordo sindacale in cui si dava atto che “l’azienda […] intende procedere alla interruzione delle attività di produzione e alla conseguente risoluzione della totalità dei rapporti di lavoro.
Risultando prevista la cessazione delle attività di produzione e la risoluzione dei rapporti di lavoro, non si renderà necessaria l’adozione di alcuna graduatoria di fuoriuscita”;
– in data 21.7.2016 la società ha inviato ai dipendenti le lettere di licenziamento, che sono state tempestivamente impugnate;
– il 5.8.2016 è stata costituita la Società Manifatture O. s.r.l., per lo svolgimento di attività di fabbricazione di materassi;
– 18.8.2016 è stata sottoscritta la scrittura privata di cessione in affitto dell’azienda sita in O., esercente attività di fabbricazione di materassi e rivestimenti per materassi, di proprietà della V.M. Fabbrica Materassi e Reti s.r.l., alla Società Manifatture O. s.r.l.;
nella citata scrittura privata l’affittante dichiarava che “non vi sono in essere rapporti di lavoro dipendente”;
3. La sentenza d’appello, in conformità a quella di primo grado, ha accertato come l’attività di produzione della società V.M. Fabbrica Materassi e Reti s.r.l. non fosse mai cessata ma fosse proseguita presso la cessionaria successivamente all’affitto di azienda, come desumibile da una serie di elementi tra cui l’identità di oggetto sociale della cedente e della cessionaria, l’utilizzo da parte della cessionaria degli stessi stabilimenti e beni aziendali della cedente, lo svolgimento dell’attività con gli stessi clienti e fornitori.
4. I giudici di appello hanno ritenuto che l’omessa comunicazione, in sede di avvio della procedura di licenziamento collettivo, delle reali finalità di parte datoriale, cioè della volontà di procedere alla cessione dell’attività aziendale, avesse inficiato l’intero iter della procedura; che fosse pertanto integrata la violazione dell’obbligo di fornire le informazioni di cui all’articolo 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, con conseguente inefficacia dei licenziamenti intimati; i rapporti di lavoro dovevano quindi considerarsi in essere al momento della stipula del contratto di affitto di azienda e gli stessi proseguiti, ai sensi dell’articolo 2112 cod. civ., alle dipendenze della società Manifatture O. s.r.l.
5. Avverso tale sentenza la Società Manifatture O. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. I lavoratori hanno resistito con controricorso. La Società V.M. srl unipersonale in liquidazione non ha svolto difese.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ., sul rilievo che la cessione di azienda presupponga la contemporanea esistenza di cedente e cessionario, circostanza nel caso di specie mancante per essere la Società V.M. s.r.l. cessata di fatto e di diritto alla data del 29.7.2016 mentre la Società Manifatture O. s.r.l. è stata costituita solo in data 5.8.2016. Si rileva, inoltre, come il passaggio dei lavoratori alle dipendenze della cessionaria presupponga l’esistenza del rapporto di lavoro all’atto del trasferimento, là dove, nel caso in esame, i rapporti di lavoro erano stati già risolti all’epoca di stipula del contratto di affitto di azienda.
7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce erronea applicazione del principio di successione aziendale e carenza assoluta di motivazione su questo punto decisivo della controversia.
8. Si ribadisce come non possa configurarsi successione nel contratto di lavoro se questo è cessato prima della costituzione della società cessionaria; si afferma la legittimità del licenziamento collettivo in conseguenza della cessazione totale dell’attività aziendale; si invoca il difetto di legittimazione passiva della Società Manifatture O. s.r.l. con declaratoria di estraneità della stessa al giudizio; si deduce che il contratto di affitto di azienda stipulato il 18.8.2016 fosse relativo unicamente al complesso di beni e strumenti e si contesta la ritenuta coincidenza dell’oggetto sociale della cedente e cessionaria, nonché l’identità della sede sociale, della struttura organizzativa, della compagine sociale e quindi l’assenza dei requisiti per ritenere integrato un trasferimento d’azienda.
9. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’articolo 18, legge n. 300 del 1970.
Si critica la statuizione di illegittimità del licenziamento collettivo per motivazione generica e per difetto di prova; si assume che, in ipotesi di illegittimità della procedura di licenziamento collettivo, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare le conseguenze di cui all’articolo 18, comma 5, con esclusione della tutela reintegratoria.
10. Nel controricorso è preliminarmente eccepita l’inammissibilità del ricorso in cassazione per difetto di specifica procura speciale.
11. La censura va disattesa, poiché, dovendo la procura stessa considerarsi apposta in calce al ricorso e recando la stessa una data successiva alla pubblicazione della sentenza impugnata, si applica l’insegnamento secondo cui «Il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, è, per sua natura, speciale e non richiede alcuno specifico riferimento al processo in corso, sicché è irrilevante la mancanza di un espresso richiamo al giudizio di legittimità ovvero che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al procedimento di merito» (così Cass. n. 18468 del 2014; in senso analogo v. Cass. n. 24670 del 2019, secondo cui «nel caso di procura apposta in calce o a margine del ricorso per cassazione, il requisito della specialità resta assorbito dal contesto documentale unitario, derivando direttamente dalla relazione fisica tra la delega, ancorché genericamente formulata, e il ricorso»).
12. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con la complessa ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto l’intera operazione di licenziamento collettivo, di cessazione dell’attività e di affitto di azienda, elusiva delle disposizioni di cui all’art. 2112 c.c. e che ha dichiarato inefficace il licenziamento intimato ai lavoratori a causa della violazione dell’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 4, comma 3, della legge 223 del 1991, per essere stata nascosta la reale finalità datoriale di cessione dell’attività aziendale.
13. Questa Corte ha chiarito che il rapporto di lavoro del lavoratore, illegittimamente licenziato prima del trasferimento di azienda, continua con il cessionario dell’azienda qualora, per effetto della sentenza intervenuta tra le parti originarie del rapporto, il recesso sia stato annullato, senza che rilevi l’anteriorità del recesso rispetto al trasferimento d’azienda, salva la possibilità per il cessionario, convenuto in giudizio ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., di opporre le eccezioni relative al rapporto di lavoro, alle modalità della sua cessazione o alla tutela applicabile al cedente avverso il licenziamento, a prescindere dalle difese spiegate da quest’ultimo e dalla formazione del giudicato nei suoi confronti ed in favore del lavoratore (v. Cass. n. 4130 del 2014; Cass. n. 5507 del 2011).
14. A tali principi si è attenuta la Corte di merito che, a seguito della declaratoria di inefficacia dei licenziamenti e in ragione della cessione d’azienda nel frattempo intervenuta, ha dichiarato la prosecuzione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della cessionaria.
15. Nessun rilievo può attribuirsi alla sfasatura temporale tra la cessazione dell’attività della cedente e la costituzione della società cessionaria, atteso che, dal punto di vista logico e giuridico, la conclusione del contratto di affitto di azienda presuppone necessariamente la contemporanea esistenza dei due soggetti giuridici e la dichiarata inefficacia del licenziamento consente il passaggio dei lavoratori, unitamente al complesso aziendale, alle dipendenze della cessionaria, “senza che rilevi l’anteriorità del recesso rispetto al trasferimento d’azienda”, come statuito da questa S.C.
16. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso che è formulato senza indicazione dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c. e contiene nella rubrica un generico riferimento alla violazione del “principio di successione aziendale” e alla carenza assoluta di motivazione.
17. Sul primo aspetto deve ribadirsi che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c. (v. Cass. n. 11603 del 2018; Cass. 17224 del 2020; Cass., S.U. n. 32415 del 2021). Tali requisiti difettano nel caso in esame in cui si invoca, peraltro, la violazione del “principio di successione aziendale”, senza alcun riferimento normativo o specificazione ulteriore.
18. Non ricorre il vizio di motivazione atteso che non è denunciata e non è ravvisabile nella sentenza impugnata alcuna delle anomalie motivazionali come definite dalle S.U. di questa Corte nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 ai fini della integrazione della violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c.
19. Le censure mosse si rivelano inammissibili anche perché fondate su una diversa ricostruzione in fatto e quindi su una critica alla valutazione dei dati probatori come operata dalla Corte di merito, che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (v. Cass., S.U., nn. 8053 e 8054 del 2014 cit.), nella specie non rispettati.
20. Neppure il terzo motivo può trovare accoglimento in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza che ha dichiarato inefficace il licenziamento ai sensi dell’art. 4, comma 12, della legge 223 del 1991 e reitera un generico vizio di motivazione in assenza delle caratteristiche sopra indicate.
21. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
22. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dei controricorrenti segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Non luogo a provvedere sulle spese nei confronti della VM s.r.l. rimasta intimata.
23. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dei controricorrenti che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore degli avvocati F.S. e M.C., antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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