CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 settembre 2022, n. 27130
Pubblico Impiego – Licenziamento – Reato di frode informatica – Efficacia del giudicato penale di assoluzione nel procedimento disciplinare
Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 1336 del 2020, ha rigettato l’appello proposto da B.F. nei confronti dell’Agenzia Entrate Riscossione (già E.R. spa ed E.S.) avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Frosinone.
A seguito di esposto-querela presentato nel 2007 dall’Amministrazione E.F. spa, in merito ad una presunta scomparsa di fascicoli cartacei inerenti le posizioni di alcuni contribuenti, il Procuratore della Repubblica aveva avviato indagini penali nel corso delle quali erano emerse alcune incongruenze del sistema e della conseguente conservazione ed archiviazione dei dati informatici.
Con lettera del 3 marzo 2008 l’Amministrazione aveva contestato al ricorrente di aver manipolato il sistema informatico della società e in data 14 agosto 2008 aveva proceduto al licenziamento.
2. Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento. Il Tribunale respingeva il ricorso.
3. La Corte d’Appello nella sentenza oggetto del presente ricorso ha ricordato che il Tribunale riteneva infondata la contestazione di genericità dei fatti contestati, essendo ammissibile la contestazione per relationem mediante richiamo degli atti del procedimento penale; alla contestazione era poi seguito il dettagliato elenco delle cartelle esattoriali in relazione alle quali erano state riscontrate le cancellazioni dei dati delle avvenute notifiche oggetto di addebito.
Il Tribunale aveva ritenuto, altresì, infondata la censura relativa alla mancanza di istruttoria, avendo la società correttamente irrogato il licenziamento sulla scorta dei compiuti accertamenti esperiti dalla polizia giudiziaria, all’esito dei quali la stessa aveva comunicato ai diretti interessati e ad E.F. spa, in qualità di parte offesa, la conclusione delle indagini preliminari che avevano portato al rinvio a giudizio del lavoratore per il reato di frode informatica ex art.640- ter, cod. proc. civ. (ndr: art 640-ter cod. pen.) , a nulla rilevando che i fatti contestati in sede disciplinare non erano stati penalmente accertati, stante l’autonomia tra i due procedimenti.
La Corte d’Appello, in particolare, confermava l’assenza di genericità della contestazione.
Quanto alla censura relativa alla violazione dell’art.6 dello Statuto di F.R. spa, che prevedeva che “l’adozione di provvedimenti disciplinari inclusa la risoluzione del rapporto di lavoro è subordinata al compimento di un processo istruttorio svolto dal responsabile delle risorse umane e, quando necessario, stante la particolarità del caso, e del tipo di indagine, anche con l’intervento dell’Internal audit”, osservava la Corte d’Appello che trovava applicazione la giurisprudenza di legittimità sull’art. 55- bis e ter, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Cass., n. 5284 del 2017) sull’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale per la valutazione degli atti del processo penale Infine, con riguardo alla deduzione dell’intervenuta assoluzione perché il fatto non sussisteva, osservava il giudice di secondo grado che il lavoratore non veniva assolto con formula piena , ma con formula dubitativa “quando manca è insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste”, come si evinceva dalla sentenza, dove si affermava che in esito alla lunga istruttoria non era stata raggiunta la prova piena della responsabilità dei prevenuti. Ciò rilevava perché l’assoluzione in sede penale non vincolava automaticamente il giudice civile.
Richiamava gli artt. 652 e 654, cod. proc. pen., e affermava come tale disciplina era coerente con l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale.
4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando quattro motivi di ricorso, assistiti da memoria.
5. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate – Riscossione.
6. Il Procuratore Generale ha concluso per iscritto, chiedendo l’accoglimento del secondo motivo di ricorso con assorbimento degli altri, e ha confermato le suddette conclusioni all’udienza pubblica.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., in relazione all’art. 34 del CCNL, all’art. 6 dello statuto societario, all’art. 117 del dPR n. 3 del 1957, all’art. 3 della legge n. 97 del 2001, nonché ai sensi dell’art. 55- ter del d.lgs. n. 165 del 2001, dal momento che la Corte d’Appello di Roma ha stabilito che nel caso in esame deve applicarsi una disposizione normativa introdotta il 16 novembre 2009, e dunque in data successiva al licenziamento che era stato irrogato il 13 agosto 2008, con violazione della ratione temporis.
Il ricorrente denuncia l’illegittimità del procedimento disciplinare in quanto lo stesso non era stato sospeso nella pendenza del procedimento penale, benché la fattispecie, in quanto antecedente, non fosse regolata dal d.lgs. n. 150 del 2009, e la sospensione era prevista dalla disciplina sopra richiamata.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n.3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 654 cod. proc. pen., dal momento ce la Corte d’Appello non aveva tenuto in considerazione che il datore di lavoro si era costituito parte civile nel procedimento penale, con la conseguenza che gli effetti del giudicato si erano prodotti nei confronti della stessa parte, nonché violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 530, cod. proc. pen., ed alla legge delega n. 81 del 1987, nonché in relazione all’art. 654, cod. proc. pen., dal momento ce la Corte d’Appello ha omesso l’accertamento materiale del fatto così come ricostruito nella sentenza penale divenuta irrevocabile, nonché violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, n.
4, in relazione all’art. 654, cod. proc. pen., all’art. 116 cod. proc. civ. La decisione di appello è censurata in quanto non aveva considerato che c’era stato l’accertamento in sede penale che il fatto non era stato commesso.
3. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Gli stessi sono fondati.
3.1. La Corte d’Appello, come il Tribunale, ha ritenuto la legittimità della sanzione espulsiva avendo riguardo alla cartella n. 047200600010301906, emessa per l’importo di euro 237,82, relativa al contribuente U.B. (padre del ricorrente) che risultava inserita il 24 maggio 2006 e cancellata il 31 maggio 2006, nonostante risultasse correttamente notificata all’indirizzo esatto.
Il giudice di secondo grado ha premesso che l’assoluzione in sede penale non vincola automaticamente il giudice civile, e che tale principio è coerente con quello dell’autonomia della valutazione degli atti del processo penale da parte della pubblica amministrazione, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità nel fare applicazione degli artt. 55-bis e 55-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001. Con riguardo alla suddetta cartella vi erano presunzioni gravi e concordanti sull’addebitabilità della cancellazione al B., atteso che nel sistema l’ingresso era avvenuto con la password dello stesso.
3.2. Occorre rilevare che il licenziamento per cui è causa è intervenuto il 13 agosto 2008 in relazione a fatti accaduti in precedenza.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 21193 del 2018) in tema di procedimento disciplinare nei confronti di dipendente del pubblico impiego contrattualizzato, la nuova disciplina procedurale, di cui al d.lgs. n. 150 del 2009, che sancendone la rispettiva autonomia ha escluso la sospensione necessaria del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale, si applica ai fatti disciplinarmente rilevanti per i quali la notizia dell’infrazione risulti acquisita dagli organi dell’azione disciplinare dopo l’entrata in vigore della riforma, ossia dal 16 novembre 2009. Tale circostanza non si è verificata ratione temporis nella specie.
Tuttavia, anche a voler dare rilievo nella disciplina previgente al d.lgs. n. 150 del 2009 alla autonomia tra i due procedimenti, come ha fatto la Corte d’Appello, occorre considerare che l’efficacia delle sentenze penali nel giudizio disciplinare è regolata dall’art. 653, cod. proc. pen. – disposizione che fa sistema con l’art. 654, cod. proc. pen. nel definire l’efficacia del giudicato penale di condanna o di assoluzione – che attribuisce efficacia di giudicato alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione e a quella di condanna, rispettivamente quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso e quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
La giurisprudenza di legittimità ha pertanto affermato che in tema di rapporti tra processo penale e procedimento disciplinare nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, l’accertamento contenuto nella sentenza penale passata in giudicato, seppure non preclude una nuova valutazione dei fatti in sede disciplinare, attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, incontra il limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità – e dunque, della ricostruzione dell’episodio posto a fondamento dell’incolpazione – operato nel giudizio penale (Cass., n. 3659 del 2021).
Si è altresì precisato che la sentenza penale di assoluzione per gli stessi fatti posti a base del licenziamento non ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, solo quando la formula assolutoria adottata è “perché il fatto non costituisce reato”, in quanto, ai sensi dell’art. 653, cod. proc. pen., tale efficacia opera solo quando l’accertamento sia relativo alla insussistenza del fatto, alla mancata commissione dello stesso da parte dell’imputato o alla mancata rilevanza penale dell’illecito (Cass., n. 17221 del 2020).
3.3. Nella specie, la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, atteso che la sentenza penale pronunciata dal Tribunale penale di Frosinone (riportata nel ricorso a pagg. 49-51 e non contestata nel controricorso), nel richiamare l’art. 530 cpv cod. proc. pen. (che recita al primo cpv: “Se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo”, e al secondo cpv: “Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”), ha assolto, tra gli altri, il B. con la formula “perché il fatto non sussiste”, e nella motivazione si legge che era dubbia la riferibilità in concreto delle cancellazioni all’operatore con le cui credenziali erano state eseguite le operazioni incriminate.
Di talché, la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione della disciplina dell’efficacia del giudicato penale di assoluzione nel procedimento disciplinare; ciò, considerando che la Corte d’Appello non ha escluso che la cartella n. 047200600010301906 aveva costituito oggetto del processo penale concluso con la sentenza di assoluzione, come peraltro è dedotto nel ricorso (pagg.4 e 5 del ricorso) e non è stato contestato dalla controricorrente (a pag. 3 del controricorso sono indicate le cartelle oggetto della contestazione intervenuta a seguito della conclusione delle indagini preliminari, tra cui quella sopra citata, e a pag. 4 del controricorso si afferma che “avendo potuto prendere visione degli atti presenti nel fascicolo del PM la società riscontrava la fondatezza degli addebiti mossi e quindi con lettera del 13 agosto 2008 contestava il licenziamento per giusta causa”).
4. All’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso segue l’assorbimento del terzo e del quarto motivo del ricorso, con i quali, rispettivamente, si contesta ai sensi dell’art. 360, n. 4 e 5, cod. proc. civ., la valutazione delle risultanze probatorie in relazione ai fatti addebitati, e ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la ricostruzione del rapporto fiduciario con il datore di lavoro.
5. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso. Assorbiti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso. Assorbiti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
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