Svolgimento del processo
La controversia promossa da X s.r.l. contro l’Agenzia delle Entrate è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il rigetto dell’appello proposto dalla società contribuente contro la sentenza della CTP di Sondrio n. 49/1/2009 che ne aveva respinto il ricorso avverso l’avviso di accertamento per Irpeg ed Irap relative all’anno 2004. La CTR riteneva legittimo il recupero a tassazione di parte del compenso corrisposto all’Amministratore Unico in quanto costo sproporzionato, non avendo peraltro la contribuente né dedotto né fornito prova dell’esistenza di ragioni economiche giustificative.
Il ricorso proposto si articola in due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c. chiedendo il rigetto del ricorso. Il presidente ha fissato l’udienza del 27/2/2013 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Il P.G. ha concluso aderendo alla relazione.
Motivi della decisione
Con primo motivo (con cui deduce: violazione e comunque falsa applicazione di legge – artt. 109 e 95 del dpr 917/86; art. 41 bis del dpr 600/73) la ricorrente censura la decisione della CTR laddove ha riconosciuto all’Amministrazione Finanziaria il potere di valutare la deducibilità del compenso corrisposto all’Amministratore Unico.
La censura è infondata. Questa Corte ha affermato (Sez. 5, sentenza n. 9497 del 11/04/2008), che rientra nei poteri dell’Amministrazione Finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, con possibile negazione della deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, non essendo l’Ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali o nei contratti. Ha altresì ripetutamente ritenuto (di recente, Sez. 5, sentenza n. 4554 del 25/02/2010; Sez. 5, sentenza n. 26480 del 30/12/2010), che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, incombe al contribuente l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del d.P.R. n. 597 del 1973 e del d.P.R. n. 598 del 1973, che del d.P.R. n. 917 del 1986; e che, poiché rientra nei poteri dell’Amministrazione Finanziaria, in sede di accertamento, la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi.
Tali principi non risultano incompatibili con la formulazione dell’art. 95, vigente pro tempore, secondo cui “I compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’articolo 72, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”. Ed invero, il mancato riferimento a tabelle o altre indicazioni vincolanti, che pongano limiti massimi di spesa, oltre i quali essi non possano essere deducibili, non confligge con il suesposto principio generale; di talché va in questa sede riaffermato che la deducibilità ai sensi dell’articolo 62 del DPR n. 917 del 1986 dei compensi degli amministratori non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere sociali o contratti (conf. Sez. 5, sentenza n. 1348 del 30/10/2001; Cass. 27 settembre 2000 n. 12813), rientrando nei normali poteri dell’ufficio la verifica dell’attendibilità economica delle rappresentazioni esposte nel bilancio e nella dichiarazione.
Con secondo motivo la ricorrente lamenta la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio laddove la CTR, pur dando atto del contrasto giurisprudenziale in materia, escluso l’esistenza di obiettive condizioni di incertezza.
La censura è infondata non ravvisandosi nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, né le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata.
Consegne da quanto sopra il rigetto del ricorso.
La natura della controversia, le pregresse incertezze giurisprudenziali giustificano la compensazione delle spese del giudizio.
PQM
La Corte rigetta il ricorso dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio.
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