CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 aprile 2021, n. 10022
Procedura di riduzione di personale – Accordo sindacale – Identificazione di strumento di ricollocazione dei lavoratori in esubero – Domande risarcitorie
Fatti di causa
1. Con sentenza pubblicata il 9 ottobre 2016, la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto tutte le domande risarcitorie proposte da G.B. nei confronti di W.L. Spa nell’atto introduttivo del giudizio.
2. La Corte ha esaminato l’accordo del 28 novembre 2016, stipulato dalla società con le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori nell’ambito di una procedura di riduzione di personale, con il quale le parti convenivano “di identificare come ulteriore strumento di ricollocazione dei lavoratori in esubero una società che effettua informazione scientifica per conto terzi” ed a tal fine la W. si impegnava ad identificare un soggetto “che assicurerà l’assunzione con il mantenimento delle medesime garanzie occupazionali contrattuali e dello stesso territorio di lavoro, precedentemente in essere in W.”.
La Corte ha constatato poi che la B., in conseguenza di tale accordo, era stata assunta da M.P.Services srl e che quest’ultima, dopo circa un anno, aveva dato avvio ad una procedura di licenziamento collettivo che aveva coinvolto anche l’appellata.
Ha quindi argomentato che “in assenza nel ricorso introduttivo della lite di qualsiasi deduzione ed allegazione sulla validità degli accordi collettivi ed individuali sopra richiamati, sulla coartazione del consenso o su altri vizi della volontà, in mancanza di allegazioni e di deduzioni idonee a ricostruire come e in quali termini la condotta della W. sia sussumibile entro lo schema di un’azione contrattualmente inadempiente o illecita, le domande risarcitorie azionate nei confronti della W. vanno respinte”. Ha aggiunto che, nel ricorso di primo grado, non vi era “allegazione di condotte datoriali fraudolente o in altro modo illecite o inadempienti, che consentano di affermare la responsabilità datoriale nella causazione dei danni enunciati, e senza alcuna articolazione di mezzi istruttori, diversi dai documenti relativi alla conciliazione sindacale, al nuovo contratto di lavoro, alla procedura di conciliazione ed al licenziamento collettivo”. Analoga mancanza di allegazione e deduzione la Corte ha ravvisato in ordine al nesso di causalità tra “condotta dedotta come inadempiente e i danni assunti come sofferti. Ha concluso che la società aveva adempiuto a tutte le obbligazioni assunte e che “le pattuizioni sindacali collettive”, che avevano fatto da cornice agli accordi individuali, escludevano “ulteriormente, in assenza di qualsiasi allegazione, la possibilità di configurare in capo alla società appellante principale condotte inadempienti e generatrici di danni”.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G.B. con 3 motivi; ha resistito con controricorso W.L. Srl.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.; ha inoltre comunicato sentenza del Tribunale penale di Milano n. 1147 del 2020, da ritenersi inammissibile perché al di fuori dei limiti imposti alle produzioni documentali dall’art. 372 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia testualmente: “Violazione dell’art. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c. – azione di responsabilità extracontrattuale che non impone di impugnare accordi transattivi su diritti contrattuali – omessa pronuncia violazione art. 112 c.p.c.”. Si deduce che “con la produzione documentale iniziale e acquisita agli atti, per il principio di non contestazione, si è data abbondante prova di una valutazione di adeguatezza di M.P. (rispetto all’obbligo assunto al punto 7 dell’accordo del 28.11.2006) che W. ha compiuto senza l’uso dell’ordinaria diligenza, tanto da dimostrare certamente un comportamento contra jus”. Si eccepisce poi che, con le specificazioni operate in appello, la Corte avrebbe dovuto pronunciarsi sul punto della responsabilità ex art. 1175 e 1375 c.c., mentre avrebbe omesso sul punto ogni statuizione violando l’art. 112 c.p.c..
2. Il motivo è inammissibilmente formulato perché, in insanabile contraddizione, contemporaneamente denuncia una omessa pronuncia da parte della Corte territoriale, quale error in procedendo, e, nello stesso tempo, lamenta che, invece, la decisione resa violerebbe norme di diritto e di Costituzione, quale errores in iudicando, con censure le quali presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto (cfr. Cass. n. 1755 del 2006; Cass. n. 8097 del 2006; Cass. n. 1196 del 2007; Cass. n. 22759 del 2014).
3. Il secondo motivo testualmente denuncia: “Il difetto di motivazione quale motivazione apparente affermazione di adempimento degli obblighi di W.L. – Violazione 360 n. 5 c.p.c. omessa pronuncia sulla violazione del dovere di correttezza e diligenza – violazione art. 112 c.p.c.”. Si deduce che “il thema decidendum e i fatti storici oggetto della domanda nella sua globale qualificazione, unita ai fatti storici provati documentalmente, non erano evidentemente il mancato adempimento dell’accordo del 28.11.2006, cioè la non scelta della CSO per come testualmente riportato in ricorso, quanto la invocata violazione dell’obbligo assunto per mancanza di adeguata diligenza nelle valutazioni e nelle qualità promesse in capo alla CSO scelta”, per cui si sostiene che la motivazione impugnata è apparente o comunque omessa.
4. La censura non può trovare accoglimento.
La Corte territoriale ha compiutamente argomentato sulle ragioni che l’hanno spinta a rigettare le domande attoree che stanno tutte nel rilievo che nell’atto introduttivo del giudizio, il quale nel rito del lavoro delimita i confini del thema decidendum e del thema probandum, non erano stati specificati fatti sufficienti a giustificare le richieste risarcitorie della B. e non erano state neanche articolate prove idonee sui danni e sul nesso causale tra essi e la condotta tenuta dalla società.
La ricorrente in cassazione non si misura con tale ratio decidendi, limitandosi a contrapporre una diversa interpretazione del contenuto del ricorso introduttivo, inammissibile in questa sede di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005), senza peraltro neanche indicare, nell’illustrazione del motivo, un contenuto testuale dell’originario ricorso dal quale evincere che in esso era stato effettivamente prospettato che ci si doleva della “mancanza di adeguata diligenza nelle valutazioni e nelle qualità promesse” in capo alla società che avrebbe assunto la B..
5. Il terzo mezzo denuncia: “Omessa pronuncia sulla domanda per come riqualificata in grado di appello anche in relazione all’appello parziale alla luce dei fatti storici dedotti e allegati in primo grado e per le produzioni di atti giudiziari successivi violazione art. 112 c.p.c.”. Secondo la ricorrente la Corte territoriale nulla avrebbe detto in ordine al valore dell’obbligo assunto da W. nell’accordo del 28.11.2006 punto 7, nulla avrebbe chiarito sulla violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede, nulla avrebbe precisato “in ordine ai doveri dell’imprenditore nel rapporto di lavoro”, nulla, infine, sul danno subito dall’istante.
6. Il motivo è inammissibile.
La violazione dell’art 112 c.p.c. è ipotizzabile nel caso in cui la Corte di Appello non si pronunci su un motivo di impugnazione ma non è configurabile nel caso in cui è – come nella specie – la parte appellata che si duole della mancata valutazione di una, del tutto irrituale, riqualificazione della domanda introduttiva del giudizio in grado di appello, atteso che l’appello incidentale della B. era sulla quantificazione del risarcimento tanto da essere considerato assorbito nella sentenza impugnata.
Inoltre la doglianza è anche infondata per le ragioni innanzi espresse, atteso che la Corte territoriale argomenta esaustivamente le ragioni del rigetto delle domande attoree con un ratio che non viene adeguatamente confutata se non opponendo una diversa opinione di parte ricorrente.
3. Conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 5.250,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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