CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 dicembre 2021, n. 40214
Tributi – Disciplina del “transfer pricing” – Natura antielusiva – Esclusione – Accertamento dell’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di S. Srl, esercente attività di commercio all’ingrosso di materiali non ferrosi, avviso di accertamento per l’anno 2006 per Ires e Irap, con il quale recuperava a tassazione la differenza in relazione al valore normale rispetto alle transazioni dei suddetti materiali alla società svizzera D.A.F.R. appartenente al medesimo gruppo e contestava, altresì, l’indebita deduzione di sopravvenienze attive, di interessi e costi non di competenza.
L’Ufficio, in particolare, accertava che la merce, di cui la S. Srl curava anche il trasporto, era ceduta alla società estera del gruppo per un corrispettivo costituito da una parte fissa, di € 600,00 a trasporto, e da una variabile, di € 30,00 per tonnellata movimentata, ma che la tariffa concordata era sistematicamente disattesa per quest’ultima voce, sicché il reale ed effettivo corrispettivo percepito era inferiore a quello pattuito, in violazione della disciplina del transfer pricing ex art. 110, comma 7 TUIR.
L’impugnazione della contribuente era accolta dalla CTP di Milano limitatamente alla ripresa per costi non di competenza. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.
S. Srl propone ricorso per cassazione con sette motivi, poi illustrato con memoria.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma 7, Tuir per aver la CTR ritenuto legittimo l’accertamento dei maggiori ricavi per € 186.325,00 non valutati in base al valore normale dei servizi prestati e ricevuti e del principio della libera concorrenza, presupposti necessari per la contestazione in tema di transfer pricing.
1.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma 7, Tuir per aver la CTR ritenuto legittimo l’accertamento dei maggiori ricavi per € 186.325,00 senza considerare che la società operava principalmente come spedizioniere senza assunzione del rischio d’impresa, sicché sussisteva la convenienza economica, seppur minima.
1.2. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 110, comma 7, Tuir e 2967 c.c. per aver la CTR ritenuto legittima la ripresa a tassazione da parte dell’Ufficio pur non avendo questi provato: a) l’esistenza di una tassazione più favorevole in Svizzera; b) la fatturazione a prezzi inferiori al valore di mercato; c) la fruizione da parte del gruppo di un più favorevole regime fiscale; d) il mancato rispetto del principio dell’arm’s lenght, ossia della libera concorrenza.
1.3. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi, con riguardo ai punti a, b e d del motivo precedente.
2. I motivi, che possono essere esaminati unitariamente per evidente connessione logica riguardando la corretta applicazione dei principi in tema di transfer pricing, sono in parte infondati, in parte inammissibili.
3. Occorre considerare, in primo luogo, che, secondo i consolidati orientamenti di questa Corte (v. Cass. n. 27018 del 15/11/2017; Cass. n. 898 del 16/01/2019; Cass. n. 1232 del 21/01/2021; Cass. n. 13571 del 19/05/2021), dai quali non vi è ragione di discostarsi, la disciplina contenuta nell’art. 110, comma 7, tuir:
a) non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato;
b) la prova gravante sull’Amministrazione finanziaria non riguarda la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale; va sottolineato, sul punto, che la prova del comportamento antieconomico idoneo a trasferire sulla contribuente l’onere della prova contraria è proprio il prezzo inferiore al valore normale (l’art. 9 del modello di convenzione fiscale OCSE del 1995-1996, tendenzialmente recepito dal legislatore italiano, precisa che la disciplina sul valore normale nei rapporti infragruppo si applica «quando le condizioni convenute o imposte tra le due imprese, nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle due imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza»);
c) incombe sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali.
3.1. Quest’ultima nozione è poi specificata dall’art. 9, comma 3, tuir, secondo il quale «Per valore normale […] si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. […]».
Ciò comporta una valutazione comparativa che tenga conto dei criteri di determinazione dei prezzi secondo le linee guida OCSE, rilievo che non esclude, tuttavia, che si debba fare riferimento – come prescrive la norma stessa – anche «ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni».
Va sottolineato, sul punto, che, sulla base della stessa prassi OCSE, non esiste più una stretta gerarchia tra i vari metodi, ma occorre utilizzare il metodo ritenuto più appropriato alle circostanze del caso.
4. Orbene, la CTR si è attenuta ai principi sopra esposti atteso che dall’accertamento in fatto operato era emerso:
a) tra la S. Srl e la società svizzera D., appartenenti al medesimo gruppo, gli accordi prevedevano un corrispettivo articolato su una duplice componente: una fissa per ogni trasporto (pari a € 600,00) e una variabile (pari ad € 30,00 per ogni tonnellata movimentata);
b) in sede di regolamentazione economica, peraltro, emergeva che nell’emissione delle fatture di chiusura «l’importo del compenso variabile veniva utilizzato per “compensare” sia i costi relativi ai trasporti che il compenso fisso con la conseguenza che i costi rimanevano a carico definitivo della S. la quale percepiva un compenso inferiore a quello che avrebbe dovuto ricevere sommando la parte fissa e quella variabile secondo quanto pattuito».
c) il valore normale era identificato nel prezzo pattuito, la cui congruità non era stata messa in discussione né dall’Ufficio, né dalla contribuente.
È sufficiente sottolineare, sul punto, che la metodologia applicata è del tutto coerente con il criterio del CUP interno tenuto conto che i prezzi si riferivano alle medesime operazioni ed erano ancorati alle tariffe indicate dalla stessa contribuente.
4.1. In altri termini, a fronte di un prezzo pattuito, il corrispettivo effettivamente erogato era costantemente inferiore in una misura pari all’intero importo della componente variabile e, quindi, era inferiore, nella stessa misura, al valore normale.
E del resto ai fini della valutazione sulla conformità del prezzo rilevano non solo i prezzi fissati ma anche i costi eventualmente aggiunti, ovvero gli eventuali sconti riconosciuti e le complessive condizioni economiche in concreto praticate.
5. Ne deriva che, da un lato, non sussistono le contestate violazioni dell’art. 110, comma 7, tuir, avendo la CTR correttamente applicato la norma, né l’asserita violazione dei criteri di riparto dell’onere della prova (articolata su elementi estranei alla fattispecie in giudizio), né, tantomeno, il contestato omesso esame.
Dall’altro, le censure neppure attingono l’effettiva ratio della decisione, ancorata alla discrepanza tra prezzo pattuito e prezzo in concreto praticato e all’importanza del primo come valore normale delle transazioni, continuando a trascurare quanto evidenziato dalla CTR, ossia che le «spese se effettivamente sostenute, in prima battuta, dalla finanziaria del gruppo, venivano poi, in sede della elaborazione finale dei conteggi e di emissione della “fattura di chiusura”, riaddebitati alla S. “compensandoli” con la corrispondente quota di compenso variabile».
6. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 115 c.p.c. per non aver la CTR considerato che le spese non erano effettivamente sostenute dalla S. e non venivano riaddebitate in sede di fatture di chiusura e che la società svolgeva attività di spedizioniere.
6.1. Il motivo è inammissibile.
6.2. Come affermato recentemente dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 20867 del 30/09/2020), infatti, «in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.».
6.3. Nella specie, a fronte delle esplicite valutazioni della CTR sulle risultanze in atti, la doglianza mira, in evidenza, a contestare, la valutazione di merito delle prove o la sufficienza della motivazione, da cui l’inammissibilità della censura.
7. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. per non essersi la CTR pronunciata sulla illegittimità della sentenza di primo grado per travisamento dei fatti.
7.1. Anche tale doglianza è inammissibile.
Al di là del rilievo che la CTR, in realtà, ha preso in esplicita considerazione la doglianza, escludendone la fondatezza, è dirimente che la censura mira ad un riesame del merito ed è, in concreto, diretta a censurare la statuizione di primo grado e non anche – come deve essere operato con il ricorso per cassazione – la decisione di appello, che ha riesaminato, con autonomia, l’intero sviluppo della vicenda e le prove in giudizio.
8. Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 12 e 16 d.lgs. n. 472 del 1997 per aver ritenuto legittimo il provvedimento sanzionatorio ancorché viziato per omessa ed insufficiente motivazione.
8.1. Il motivo è inammissibile per carenza di specificità e genericità.
A fronte dell’esplicita motivazione del giudice d’appello («Ritiene la Commissione che anche su questo punto la decisione di primo grado debba essere confermata in quanto la applicazione delle sanzioni discende direttamente dalla legge, l’Ufficio ha assolto l’onere di indicare i criteri applicati, né il contribuente ha mai indicato elementi idonei ad escludere la ricorribilità dei presupposti di applicazione delle sanzioni») era infatti onere della contribuente riprodurre il testo dell’atto contestato, sì da consentire alla Corte la verifica delle censure, che, peraltro, sono del tutto generiche attesa l’assente di qualsiasi ulteriore precisazione.
9. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, sono regolate per soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna S. Srl al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi € 7.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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